Economia - pubblicata il 04 Novembre 2019
Fonte: ufficio stampa Unioncamere Veneto
Padova, 31 ottobre 2019 | L’incertezza derivante dal processo Brexit e le
possibili alternative in termini di risultati stanno già producendo effetti su investimenti, finanza e programmazione futura in molti comparti industriali, oltre
al timore delle conseguenze politiche. Se ne è discusso questa mattina, a Padova, nel corso dell’incontro Brexit: quali conseguenze per il sistema
economico del Veneto?, organizzato da Unioncamere del Veneto ed Eurosportello Veneto, in collaborazione con Nuovo Centro Estero Veneto e
Direzione Interregionale Agenzia Dogane Monopoli per il Veneto e il Friuli-Venezia Giulia. L’incontro ha permesso di
esporre i
principali risultati sulle ricerche e indagini svolte e le implicazioni della Brexit nel contesto imprenditoriale europeo e in particolare veneto.
Il Veneto è una regione molto legata al mercato inglese in cui nel 2018 ha esportato oltre 3,6 miliardi di euro di beni, ben il 15,6% del totale nazionale. La bilancia
commerciale è rimasta costantemente positiva per 2,9 miliardi di euro. E’ evidente che la Brexit avrà ripercussioni sulle imprese venete, le cui
esportazioni nell’ultimo anno sono aumentate del +2% e anche nel primo semestre 2019 del +7,5%, effetto delle maggiori scorte delle aziende inglesi per tamponare eventuali blocchi alle
frontiere o compensare almeno temporaneamente l’eventuale impennata dei dazi. Il Regno Unito è un mercato importante per l’economia del Veneto, dove pesa per il 5,8% delle
vendite regionali all’estero, dopo Germania, Francia e Stati Uniti. I rischi di un periodo difficile per il potere di
acquisto degli inglesi e le inevitabili turbolenze sui mercati monetari con una sterlina sotto stress incideranno non poco nei flussi delle merci. I settori con maggiori vendite dal Veneto al Regno
Unito sono quello dei macchinari (quasi 570 milioni di euro di beni venduti nel 2018 e un aumento del +6,3% rispetto all’anno precedente), delle bevande, in
particolare dei vini (495 milioni, +4,9%), dell’abbigliamento (265 milioni, +9,2%), degli occhiali (258 milioni, +4,8%) e dei mobili (248 milioni, -5,9%). Questi primi cinque
settori rappresentano oltre la metà (50,3%) delle esportazioni venete oltre Manica.
Gli effetti diretti e indiretti prodotti dalla Brexit sull’economia del Veneto sono stati analizzati anche grazie al modello input-output multiregionale-multinazionale sviluppato da
IRPET (Istituto Regionale Programmazione Economica della Toscana). Tale consolidato sistema ha quantificato che il 2,1% del Pil veneto è attivato dai network
intersettoriali e geografici che subiranno probabilmente modifiche a seguito dell’uscita del Regno Unito dall’UE, valore superiore sia alla media del Nord Est (1,8%) sia nazionale (1,4%). In
particolare, lo 0,3% della quota è dovuto agli effetti che si ripercuoteranno nel resto d’Italia e lo 0,5% agli effetti complessivi nell’Unione europea. L’esposizione del Veneto alla Brexit è stata
calcolata in base a una simulazione basata sulla sensibilità del sistema economico regionale ai flussi di scambio Regno Unito-Europa, misurando l’importanza relativa di tali scambi nel determinare
il Pil. I comparti industriali più a rischio dovrebbero essere quelli con più alto livello di specializzazione, così come quelli più esposti verso l’export (in particolare agroalimentare e
tessile-abbigliamento).
Unioncamere del Veneto non sta a guardare attendendo gli eventi sul futuro dell‘economia europea e italiana a seguito
dell‘uscita del Regno Unito dall’Unione europea, semmai si realizzerà, con o senza accordo. Con questo convegno abbiamo voluto comprendere e dare agli imprenditori una
iniziale prospettiva per le scelte strategiche come l’export verso l’UK, gli investimenti diretti, la migrazione e la finanza – commenta Mario Pozza, presidente
di Unioncamere del Veneto
-. Abbiamo voluto anche fornire informazioni utili per i connazionali che vivono e studiano nel Regno
Unito. Una cosa comunque è ben chiara a tutti: questa rottura nella creazione della Casa comune europea e interessi nazionali non coincidenti alimentano
sempre più l’incapacità dell’Europa di governare a una sola voce nei negoziati internazionali come fanno invece Cina e USA.