Intervista a Francesco Manfio socio con Sergio Manfio del Gruppo Alcuni

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Promo - pubblicata il 22 Dicembre 2015


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A cura di Silvia Trevisan

In questo numero di EMT 04/2015 per la rubrica “Aziende di successo che sfidano la crisi”, abbiamo il piacere di intervistare Francesco Manfio socio con Sergio Manfio del Gruppo
Alcuni.


1/Siete famosi e conosciamo ciò che fate, ma non vogliamo dare nulla per scontato, pertanto ci può raccontare di cosa vi occupate?

Ci occupiamo di qualsiasi aspetto della cultura rivolta all’infanzia. E’ chiaro che siamo conosciuti maggiormente per i cartoni animati, perché il cartone animato in tv e al cinema ha un impatto
maggiore, ma è riduttivo perché noi ci occupiamo di televisione e di cinema per l’infanzia, di rappresentazioni teatrali, di libri per ragazzi, di giochi, di fumetti e di tutto ciò che è legato
alle nuove tecnologie, quindi App e giochi interattivi.
Abbiamo anche ideato il “Parco degli Alberi Parlanti”, uno spazio che si diversifica da quelli proposti dai nostri competitor in quanto non ha ottovolanti o scivoli giganti ma vuole condurre i
bambini, i genitori e gli insegnanti in un viaggio nel mondo delle immagini in movimento e della creatività, naturalmente accompagnati dai personaggi dei nostri cartoons.

2/ Quante persone sono coinvolte nella vostra attività?

L’animazione è un’attività che ci impegna 12 mesi all’anno e richiede pertanto una struttura fissa importante che coinvolge 75 persone. Naturalmente il numero dei collaboratori raggiunge le
parecchie centinaia di persone quando sono in lavorazione i film o le grandi produzioni internazionali. Possiamo dire di avere una struttura molto significativa; ce ne sono poche uguali in Europa.
In media le aziende che producono cartoni animati sono costituite da 4/5 persone.
Evidentemente poi aumentano l’organico quando hanno l’opportunità di produrre, ma poi ritornano alla piccola struttura iniziale. La scelta di Gruppo Alcuni è di avere una struttura fissa che possa
da una parte ideare costantemente nuovi progetti, e dall’altra gestire quelli che sono stati realizzati. E’ indispensabile una struttura commerciale permanente che distribuisca nel mondo ciò che
hai creato.
Abbiamo dunque un’area ideativa fortissima, un’area produttiva che può dilatarsi aumentando i propri componenti, guardando al mercato italiano ed Europeo, e una struttura fissa che distribuisce e
vende nel mondo le nostre produzioni.


3/Non è sempre chiaro se il business e l’arte vadano d’accordo. Ci può dire se si può fare veramente impresa con l’arte?

La domanda va bene ma dovrebbe essere formulata in questo modo: Si può fare impresa con l’arte in Italia?[ndr sorride]. In Francia, ma anche nella maggior parte
dei paesi non solo europei, la risposta sarebbe scontata. Certo che sì, perché da noi in Francia o in Germania è sempre stato così.
Le confermo che fuori dal nostro paese ci sono pochi settori in cui si può dire che sia stato investito così tanto. Aggiungo che negli altri paesi quello della cultura è considerato un settore
strategico, in quanto trainante anche di tutti gli altri comparti.
Ma venendo all’Italia le rispondo che, anche se è un po’ più difficile, questo è possibile: si può fare impresa con l’arte.
L’esperienza di Gruppo Alcuni conferma che questo è fattibile. Abbiamo iniziato una ventina di anni fa, come dicevamo, occupandoci di spettacoli teatrali, giochi per l’infanzia e fumetti, e poi ci
siamo fortemente orientati alla produzione cinematografica e televisiva. Oggi siamo presenti in 137 paesi al mondo… ma la nostra presenza nei nuovi mercati è in costante aumento.
Venendo alle difficoltà di cui parlavo prima, in Italia è più complesso occuparsi di cultura perché il sistema pubblico ha difficoltà a capire che proprio in questo settore si possono creare spazi
e possibilità di lavoro.
E quando parlo di opportunità lavorative mi riferisco ai giovani e ai meno giovani. Nel nostro settore più che in altri non è questione di età ma di spirito; è chiaro comunque che essendo Gruppo
Alcuni un’impresa relativamente giovane, l’età media delle persone che ci lavorano è bassa. Credo nell’esperienza e nella capacità di trasmettere abilità, sono convinto che questo sia uno degli
elementi del nostro successo. Penso che questo settore, in cui si mescolano la capacità di disegnare, di avere delle idee e poi di trasformarle con l’aiuto della tecnologia, offra davvero lo spazio
per professionalità diverse e anche per maturità differenti dal punto di vista lavorativo.


4/Che tipo di innovazione avete apportato alle produzioni artistiche?

Bisogna fare un distinguo, nel senso che noi siamo una società creativa per definizione: creiamo nuove idee, il che significa nuove storie da raccontare, nuovi modi per farlo, ecc… D’altra parte
siamo inseriti in un sistema fortemente competitivo e quindi dobbiamo farlo utilizzando al meglio le nuove tecnologie. In sostanza dobbiamo mixare creatività e tecnologia, non credo che una delle
due cose da sola sarebbe sufficiente. La tecnologia, nel nostro ambito, significa aiutare a raccontare delle storie, non si tratta dunque di tecnologia tout court. Per dire, siamo stati tra i primi
a portare i personaggi dei nostri spettacoli nei cartoni animati; siamo stati tra i primi in Europa a utilizzare la stereoscopia e i primissimi nel mondo ad averla utilizzata in televisione. Quando
non era ancora di moda abbiamo realizzato su RAI 1 un gioco interattivo che permetteva ai ragazzi di modificare lo svolgimento della storia.

5/Quali profili professionali richiede la vostra attività? Possiamo cogliere l’occasione dell’intervista per indicare le nuove professioni dell’innovazione nel vostro settore?

E’ importante che i giovani abbiano fantasia e la capacità di canalizzarla in un processo produttivo. Quello che cerchiamo nei nostri collaboratori è la capacità di fare sintesi tra i due mondi,
coniugando la tecnologia con la capacità creativa. Mi piace rifarmi al concetto di alta “bottega artigiana”, che proprio su questi principi lavorava.
Nel nostro settore abbiamo persone che: 1) scrivono delle storie usando linguaggi nuovi per narrare anche storie conosciute, ma in modo innovativo; 2) inventano i personaggi (character designer);
3) realizzano le ambientazioni; 4) compongano la musica per le nostre produzioni; 5) sono capaci di approcciare i mercati internazionali con nuove idee. Sono i profili che noi stiamo cercando. La
sensazione è che in linea generale Confartigianato,Unindustria, le associazioni di categoria, formino i giovani alle professioni che ci sono sempre state e che non vedano l’opportunità di formare
nuovi profili che hanno invece delle potenzialità enormi.

6/Come interpretate la comunicazione per le aziende con le vostre produzioni artistiche?

Se i nostri personaggi hanno successo, le aziende ci chiedono di utilizzarli per la promozione dei loro prodotti. E’ evidente che lavoriamo sia con imprese del territorio sia con aziende che hanno
la loro sede in altri paesi o continenti; la distanza non è importante, è importante invece che abbiano dei contenuti di eticità e di qualità forti. Citando un’azienda del territorio, mi piace
raccontare della nostra partnership con pasta Sgambaro. La collaborazione è nata dopo una chiacchierata con Pierantonio Sgambaro e abbiamo capito subito che tra le nostre due aziende c’era un
grande feeling. Abbiamo realizzato la Pasta dei Cuccioli, e fin qui nulla di nuovo (altri hanno utilizzato dei cartoon per promuovere la loro pasta); ma solo noi abbiamo deciso di comunicarlo con
un grande progetto per le scuole realizzato in collaborazione con l’UNESCO. Abbiamo chiesto ai bambini di inventare dei cartoni animati sul tema dell’impronta ecologica, arrivando a realizzare 3
fantastici “mini-cartoon”. Tanto è stato l’entusiasmo per il lavoro fatto insieme che oggi nelle confezioni di pasta Sgambaro c’è proprio il simbolo dell’impronta ecologica lieve a testimoniare un
modo diverso di produrre.
Questo esempio fa capire che ci sono potenzialità enormi, basta saperle cogliere. Anche il giovane che fa l’agricoltore non può limitarsi a dire che fa il grano migliore al mondo, ma deve creare un
modo per comunicarlo. Insomma, bisogna lanciare una sfida alle multinazionali utilizzando, almeno per quanto riguarda la comunicazione, i loro stessi mezzi. Dobbiamo iniziare a innescare questo
processo: è chiaro però che dobbiamo abbattere tutti quei “recinti” che spesso ci impediscono di collaborare, anche tra imprenditori veneti.
Insomma quello che ci interessa è la possibilità di creare nuove relazioni. Anche se fai il lavoro più tradizionale del mondo devi avere un approccio innovativo per presentarlo, altrimenti non hai
chance di successo. Sono convinto che sul tema della comunicazione Gruppo Alcuni possa aiutare il sistema mettendo a disposizione i propri brand, che sono amati dai bambini di tutto il mondo.
Mi preme sottolineare che, oltre al rapporto con le aziende, i nostri personaggi sono utilizzati nel mondo anche da istituzioni quali le Nazioni Unite per lo sviluppo ecosostenibile, la FAO sui
temi del cibo, l’UNESCO sui temi della cultura e dell’istruzione. Ecco, pensare che noi siamo un punto di riferimento importante nel mondo su questi argomenti ci riempie d’orgoglio.


7/È difficile creare un prodotto che possa essere esportato in paesi dalla cultura molto differente dalla nostra?

Noi non produciamo per andare a vendere nel mondo, ma raccontando le nostre storie ci accorgiamo sempre di più che queste interessano al mondo. Dunque negli Stati Uniti come in India, in Cina e
Giappone raccontiamo le nostre storie non cercando, come fanno altri, di scimmiottare culture “altre”. Alcune delle nostre avventure si svolgono a Venezia, altre raccontano i viaggi di Marco Polo,
altre ancora ci portano nel magico mondo di un giovane Leonardo da Vinci. Ci stupisce vedere che nessuno ci ha pensato prima: è strano che nessuno abbia scelto, ad esempio, di raccontare i grandi
personaggi italiani del passato in un modo simpatico e adatto a un pubblico di giovani. Il nostro Leonardo da Vinci è un quattordicenne innamorato di Gioconda, che svela i prodromi della genialità
che poi avrà da adulto. Se deve arrivare in un posto dall’alto con la sua amica Gioconda, ci va volando proprio con l’elicottero che vediamo illustrato nei suoi codici.
Più giro il mondo e più mi accorgo che c’è molta attenzione per la nostra storia e la nostra cultura, e qui dico una cosa che ripeto spesso: non ci rendiamo conto di quanto sia amata l’Italia nel
mondo, e di quanto la gente si stupisca del fatto che noi non riusciamo ad apprezzare quello che siamo e quello che abbiamo. L’altro aspetto è che c’è richiesta di storie ambientate in Italia, e
quindi di racconti che parlino delle nostre città, della nostra tradizione.
C’è una grande voglia di conoscere l’Italia, così come di conoscere ciò che accade in altri paesi nel mondo. Quello che vedo è che se vado all’estero, se parlo di Leonardo, di Venezia, i miei
interlocutori si esaltano. Per esempio in India, lo cito anche se abbiamo problemi di relazione con i Marò, per lo spot che diffonde le buone pratiche contro la diffusione del raffreddore, usano i
nostri personaggi.
Questo fa capire quanta voglia, amore e attenzione ci sia per il Made in Italy: dobbiamo però smettere di dire che il Made in Italy è rappresentato da tre sole cose, bensì parlare anche di tutti
gli altri aspetti che sappiamo fare e che potrebbero essere tantissimi, se solo ci credessimo di più. In sostanza è il Made in Italy che piace, piace per definizione agli altri. Noi raccontiamo le
nostre storie, ciò non vuol dire che non pensiamo all’estero quando produciamo per l’estero, ma sarebbe un errore rinnegarci per piacere. L’Europa imita qua e là ma è un errore straordinario,
perché l’Europa ha un’importante storia da comunicare e da difendere.
I nostri grandi stilisti hanno disegnato i loro modelli inserendo lo stile italiano, la nostra storia. Il nostro background è amato da tutti. In maniera più pragmatica è importante pensare italiano
e se pensi italiano è la strada migliore che piace nel mondo.
La Ferrari è nata in una bottega ed è un prodotto che poi è piaciuto nel mondo, ma non credo che nella bottega artigiana pensassero di fare qualcosa da esportare.
Noi raccontiamo quello che sappiamo fare e sicuramente funzionerà. Noi non abbiamo fatto un Leonardo con gli occhi a mandorla, il film in Giappone è uscito esattamente com’è uscito a “The space
Cinema” a Silea, a Treviso. Non per arroccarsi, ma per aprirsi ancora di più. Non mi viene in mente un’azienda italiana che abbia avuto successo nel mondo perché abbia copiato. Non dico che sia
sbagliato contaminarsi, apprendere dagli altri, ma filtrando sempre attraverso la nostra cultura, la nostra storia.

8/Che ruolo ha avuto il territorio trevigiano nelle vostre produzioni, sia in ambito di ispirazione artistica che di accoglienza?

E’ significativo che questa intervista la stiamo realizzando qui, piuttosto che a Milano o Parigi. Noi siamo quello che abbiamo vissuto, che abbiamo visto, letto, studiato. Solo noi italiani
potevamo ambientare una storia a Venezia, solo noi potevamo scrivere un’avventura con Leonardo da Vinci, o le nuove storie del nostro territorio partendo dal territorio dove siamo nati, noi che
abbiamo visto le bellezze di Venezia, di Asolo, o dei grandi pittori del rinascimento o il Canaletto piuttosto che Tiziano. Che poi il territorio non capisca questa è un’altra questione. Mi sembra
che siamo legati a un modo vecchio di pensare e quando vediamo l’innovazione ci entusiasmiamo. Sembra che l’innovazione sia solo delle startup. Se non sei una startup non sei interessante e questo
è un po’ difficile da mandar giù, è un po’ difficile condividere come viene visto lo sviluppo del sistema industriale del territorio.


9/Qual è il lato del vostro carattere che vi ha portato ad avere successo in questo ambito professionale?

Come sai siamo due soci, Sergio ed io, e siamo fratelli. Abbiamo iniziato a raccontare e a raccontarci facendo teatro e continuiamo a fare teatro perché l’altro aspetto che a noi piace molto è
confrontarci direttamente con i bambini veri, reali, e non solo con quelli virtuali che ci seguono in TV. E’ una cosa che non fa nessuno: quando ci raffrontiamo con i nostri pari grado di altre
aziende, manager in giacca e cravatta, sappiamo che non lo farebbero mai e non lo considerano di utilità. Il grande vantaggio di Gruppo Alcuni è che se abbiamo un’idea possiamo andare di fronte a
300/400 bambini e raccontargliela. Se stai bluffando, se sei tu che non sei convinto, se stai raccontando una sciocchezza, loro ti “sgamano” subito e capisci che è meglio lavorarci ancora e
pensare meglio a quell’idea. E questo sembra una sciocchezza, ma è fondamentale aver trovato conferma o meno sul campo. Dov’è che trovi case di produzione che ogni anno hanno 50/40mila bambini che
hanno visto dal vivo le loro produzioni? Questo permette di capire cosa dover aggiustare, come migliorare, cosa proporre. Se tu hai una platea di 100 bambini e 50 escono, capisci che la storia non
va. Per questo Gruppo Alcuni ha una marcia in più. Abbiamo iniziato facendo teatro, lo continuiamo a fare, magari non facendo più 150 spettacoli all’anno, ma 30, e diamo loro importanza come se
fosse un incontro con un top manager di una multinazionale. Anzi, magari diamo più peso a loro che al manager…

Ringraziamo per la gentile disponibilità all’intervista l’imprenditore Francesco Manfio.
Il Gruppo Alcuni è un’azienda presente nella sezione
TvDotCom le aziende di Treviso in rete. del sito economico www.trevisobellunosystem.com

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