Economia - pubblicata il 14 Luglio 2020
A cura del dott. Renato Chahinian
Nel precedente articolo del 13 maggio si sono fornite
alcune indicazioni sul ripensamento della strategia aziendale da parte delle imprese in occasione del lockdown e sull’opportunità degli aiuti pubblici, sia in forma assistenziale (per rifondere
almeno in parte la perdita dei danni subiti dall’inattività), sia per incentivare il superamento della crisi.
Purtroppo, sebbene l’emergenza acuta sia passata, non è ancora possibile valutare l’entità dei danni e le possibilità di ripresa, in quanto i risultati rilevati sono ancora incompleti e soprattutto
la circolazione del virus non è stata azzerata nemmeno in Italia (che attualmente è tra i Paesi in una situazione migliore rispetto ad altri) e pure sono elevati i pericoli di nuove ricadute in
autunno.
Ma intanto le attività economiche sono ripartite e quindi è importante capire come essere resilienti, cioè come far fronte nel miglior modo possibile a tutti i comportamenti prudenti che la legge
ed il buon senso ci impongono, senza danneggiare ulteriormente la nostra economia e pure come reagire con innovazioni all’inevitabile livello ridotto della produzione. Infatti, è chiaro che gli
aiuti non possono coprire interamente i disagi dell’assenza di produzione e di lavoro per oltre due mesi e pure quelli di una ripresa su livelli abbastanza ridotti. Bisogna allora che ciascuno di
noi, con le proprie forze e la propria capacità, riesca a minimizzare le perdite.
In realtà, non tutto è andato in maniera catastrofica ed anzi alcuni settori, purtroppo abbastanza limitati, hanno potuto temporaneamente crescere proprio in occasione dell’epidemia. Si tratta per
lo più, senza fare un elenco esaustivo, del settore sanitario (e di tutte le forniture di beni e di servizi ad esso collegati), dell’agroalimentare (seppure con esclusione della domanda turistica e
della ristorazione), dell’informazione e dell’informatica, dell’e-commerce e di qualche altro.
Per queste attività, il problema non è la scarsità della produzione, ma il superlavoro. Sino a quando la domanda continua, occorre impegnarsi il più possibile sia nella velocità di evasione degli
ordini, sia nell’organizzazione aziendale, per migliorare l’efficienza e per cogliere un’opportunità che forse non arriverà mai più. A questo punto, anche uno sviluppo temporaneo delle dimensioni
aziendali non è da scartare, sia con personale a termine, sia con investimenti in capitale circolante ed in beni strumentali (magari acquisiti in leasing, data la temporaneità
dell’utilizzo).
Non deve sfuggire la circostanza che tutto il mondo è ormai interessato dalla pandemia e che solo l’Italia e pochi altri Paesi l’hanno sperimentata per primi e quindi hanno cumulato un insieme di
esperienze e di know-how ora utile anche per il resto del globo, chiaramente impreparato ad affrontare ogni tipo di bisogno emergenziale attuale. Per fare un banale esempio, sino alla fine completa
del coronavirus oltre sette miliardi di persone avranno quotidianamente bisogno di mascherine, igienizzanti e guanti monouso e non c’è alcun sistema produttivo in grado di soddisfare
esaurientemente una tale domanda.
Ma i maggiori suggerimenti ovviamente devono riguardare le imprese bloccate nella produzione per oltre due mesi e che ora operano ancora a ritmi molto ridotti. Per queste, si impone qualche
riflessione generale e poi alcune indicazioni per ampi settori, sempre con l’avvertenza che i veri spunti operativi non possono che derivare dalla situazione pratica di ogni singola azienda.
Sotto l’aspetto generale, si può notare che, immediatamente prima dell’epidemia, l’economia italiana non andava male ed anzi erano stati accertati validi sintomi di crescita per il biennio 2020 –
2021, anche se inferiori alla media europea. Ora, per l’effetto Covid, una parte di dette tendenze è peggiorata, sia per una nuova povertà aggiuntasi nel frattempo, sia per una mutata disponibilità
al consumo verso livelli inferiori. Ma esiste ancora una moderata propensione all’acquisto, che è stata soltanto posticipata: chi, ad esempio, aveva intenzione di comprarsi un nuovo abito in marzo,
non potendolo fare in quel mese, avrà rinviato l’acquisto probabilmente in luglio od in autunno. Allora, si tratta di tener alta l’attenzione del consumatore e di portarsi al più presto verso un
livello di offerta adeguato. Esistono infatti ancora molti ordini anche precedenti al lockdown che non sono stati tuttora evasi.
Se per i nuovi poveri al momento non ci sono soluzioni immediate, se non l’espansione degli aiuti pubblici, gli incentivi al consumo possono convincere chi può permetterselo ad acquistare di più.
Ciò non riguarda soltanto una ristretta cerchia di ricchi, ma in generale la maggior parte della popolazione in condizioni non indigenti e, se si pensa all’enorme massa di risparmio giacente in
forma liquida presso gli istituti di credito per mera prudenza, o agli investimenti improduttivi che spesso prendono la strada obbligata della speculazione per assenza di alternative nell’economia
reale, le potenzialità di maggiori consumi non sono affatto trascurabili.
L’offerta di una buona parte di incentivi al consumo spetta al Governo e pare che gli ultimi provvedimenti siano sulla strada giusta, anche se poi bisognerà verificare che le agevolazioni siano
effettivamente sufficienti ed efficaci. Ma molto può pure dipendere dal comportamento delle imprese, sia in termini di prezzo che di qualità, spingendo ulteriormente i propri processi produttivi
verso l’efficienza e l’innovazione. Come è noto, in ogni situazione di mercato (anche nella maggiore depressione) il prodotto o servizio con un conveniente rapporto qualità/prezzo ha sempre il
sopravvento. Bisogna tener sempre presente che, al di fuori delle situazioni di insufficiente potere d’acquisto, la scelta tra consumare e risparmiare dipende dall’appetibilità dei beni e
servizi offerti per prezzo, qualità e pure per utilità delle loro prestazioni.
In presenza delle pressanti sfide in tema di sviluppo sostenibile, che stanno sempre più affermandosi e diffondendosi tra la popolazione, un maggiore impulso al consumo può derivare pure
dall’acquisto di beni e servizi sostenibili, sia in funzione sostitutiva di prodotti ambientalmente dannosi (es. acquisto di un’auto elettrica in sostituzione di una a benzina od a gasolio), sia
in aggiunta ad altri (nuovi servizi per gli anziani, maggiore formazione per i lavoratori, nuove case e strutture turistiche sostenibili, ecc.). Anche per tali nuovi beni e servizi occorrono:
un incentivo pubblico massimo, sia nelle fasi di ricerca (per abbassare il più possibile i costi di attuazione ed innalzare le performance delle soluzioni), siaper diffondere i risultati nel
sistema produttivo;
un adeguato sforzo da parte dell’impresa nell’adottare tali pratiche innovative e nel saperle proporre efficacemente al mercato (in realtà sono ancora poco diffuse nei mercati le leve
promozionali che dovrebbero indurre il consumatore a preferire un bene sostenibile in luogo di uno che non lo è affatto).
Per completare l’argomento, si può avanzare qualche ulteriore osservazione a livello settoriale, ovviamente per ampi macrosettori, in quanto nello specifico le situazioni create dal Coronavirus
sono molto varie e diversificate.
Iniziando dall’agroalimentare, che complessivamente può considerarsi deficitario (a causa della diminuita attività di ristorazione, che, tra l’altro, comprende i prodotti di maggiore qualità e
quindi più remunerativi, anche se parzialmente controbilanciati da maggiori consumi delle famiglie), si può notare che pure il nostro diminuito fabbisogno interno viene soddisfatto per circa il 25
per cento dalla produzione estera, che attualmente non sempre è sollecita ad evadere gli ordini a causa della perdurante difficoltà generata dalla stessa pandemia nei Paesi esteri. Una maggior
produzione interna, da valutarsi nelle nicchie di mercato più opportune, potrebbe finalmente eliminare l’inconveniente e porre delle solide basi per un approvvigionamento stabile di nostri prodotti
interni in sostituzione di quelli esteri,con evidenti vantaggi per il settore a livello nazionale.
Altrettanto può proporsi per le nostre esportazioni. Se pure all’estero la ristorazione è soggetta a vincoli analoghi ai nostri per la somministrazione alimentare (ma non sempre, dati i più blandi
vincoli adottati da taluni Paesi, con la conseguenza di un’ulteriore durata della crisi), anche la rinnovata domanda privata dei consumatori stranieri per prodotti di qualità (valutati più sicuri
anche in relazione al contagio) potrebbe accrescere le preferenze per i prodotti italiani sui mercati internazionali (e già in parte ciò si sta verificando). Pertanto ci sono le condizioni per una
maggiore offerta di prodotti agricoli all’esportazione, da parte dei nostri produttori che vorranno cercare immediatamente di inserirsi in tale tendenza.
Naturalmente, gli scambi internazionali sono regolati da norme comunitarie che spesso non tengono conto delle esigenze dell’Italia, ossia della valorizzazione della qualità e della salubrità dei
prodotti e della penalizzazione delle frodi, nonchè della mancata sostenibilità di molte produzioni extracomunitarie. Per ottenere qualche risultato normativo in questo campo chiaramente i tempi
saranno lunghi, ma occorre un impegno sin da ora delle istituzioni competenti. Intanto, rimane sempre efficace il ricorso a campagne promozionali che facciano leva sulla bontà del nostro prodotto
agricolo, perché di qualità e dotato di migliori proprietà salutari.
Per quanto riguarda l’industria (particolarmente quella manifatturiera), i mutamenti nelle preferenze dei consumatori si sono rivelati vari e di diversa intensità in questo periodo. Per citarne
soltanto alcuni, basti pensare ad un ritorno psicologico verso elementi di spiritualità e paura che si possono riflettere nella preferenza di beni culturali e di prodotti maggiormente sicuri.
Inoltre, l’esigenza di un comportamento di isolamento personale ha suscitato maggiore interesse per la casa e l’arredamento, mentre i requisiti estetici sono passati in secondo piano a favore di
quelli essenziali, di semplicità e leggerezza.
Tutte queste tendenze si sono prodotte nell’arco di pochi mesi ed è importante che la produzione ne tenga conto prontamente. Se certamente alcuni cambiamenti richiederanno tempi lunghi di
adeguamento e forse la scomparsa futura del virus potrebbe vanificare la continuità delle nuove preferenze, esistono solitamente anche facili riconversioni produttive che possono, almeno in parte,
soddisfare le diverse esigenze del mercato e per questo occorre uno sforzo aggiuntivo di adeguamento da parte delle imprese a seconda delle strategie e dei vari processi operativi. E’ poi
importante stare sempre all’erta, per intuire i cambiamenti meno appariscenti che si sono ugualmente prodotti durante la crisi e che si stanno riproducendo pure in queste fasi di ritorno alla
normalità.
Ma anche lungo tutte le filiere servono cambiamenti, per assecondare quelli decisi a valle per il prodotto finito, e pertanto le operazioni di adeguamento non sono facili, data la frammentazione e
l’internazionalizzazione dei nostri processi produttivi. Come sempre, ogni adeguamento costa fatica (oltre che risorse), ma soltanto in questo modo possiamo superare le difficoltà attuali.
Soprattutto per l’industria, l’importanza dei cambiamenti può essere declinata anche in funzione della sostenibilità, per cui si può approfittare del cambiamento per introdurre nuovi requisiti in
favore della sostenibilità e la stessa sostenibilità può rivelarsi un’occasione di mutamento dei prodotti e dei mercati relativi. Ovviamente, in una simile crisi che richiede rimedi
immediati,non si possono concepire strategie di lungo termine verso l’auspicata sostenibilità della nostra economia, ma sono
sempre possibili miglioramenti od interventi di avvio che possono essere implementati in seguito. Sotto questo aspetto, anche l’economia circolare, che richiede sistemi organizzativi complessi, può
creare lo spunto non soltanto per ottenere benefici ambientali di ampio respiro, ma pure per recuperare vantaggi economici anche di breve termine, effettuando specifici tentativi di reimpiego di
scarti (all’interno o meno dell’azienda) che inevitabilmente ogni industria più o meno produce.
Poiché il macrosettore dei servizi è molto eterogeneo, rinviamo ad un prossimo articolo qualche osservazione su come essere resilienti in questo campo.