Fonte: Ufficio stampa Presidenza della Camera di Commercio di Treviso – Belluno | Dolomiti
Le previsioni per il primo trimestre 2023 allontanano l’ipotesi di una più grave recessione. Si prefigura di nuovo, però, uno scenario di marcate differenze fra settori: più penalizzate le
industrie di beni di consumo, più esposte alla pressione inflazionistica.
Treviso, 14 febbraio 2023.
Il commento del Presidente Mario Pozza
Quello che presentiamo è un bilancio tutto sommato di tenuta del comparto manifatturiero veneto, trevigiano e bellunese – è il primo commento del Presidente di Unioncamere del Veneto,
Mario Pozza, nonché Presidente della Camera di Commercio di Treviso-Belluno. I segnali di rallentamento ci sono tutti – prosegue subito Pozza -si è indebolita molto la raccolta ordini
e hanno sofferto maggiormente i settori legati ai beni di consumo, più esposti alla pressione inflazionistica.
Però – aggiunge subito – il “sentiment” dei nostri imprenditori per i primi tre mesi del 2023 torna ad essere più
cautamente ottimista. Il 45% delle imprese venete e trevigiane prevede un aumento della produzione contro un 21-22% che invece ne teme la contrazione. Ben diversa era la situazione a giugno, quando
giudizi di aumento e di flessione quasi si andavano a bilanciare. Di poco si discosta il “sentiment” bellunese: gli ottimisti per la produzione sono il 40%, i pessimisti il 27%.
Sembra dunque allontanarsi l’ipotesi di recessione – afferma Pozza – lo dice anche la Commissione europea, nelle recenti stime economiche sul 2023 rilasciate non più tardi di ieri. Ma
la cosa trova conferma anche nei dati Excelsior sui programmi di assunzione delle imprese: per il primo trimestre sono previste oltre 45.000 assunzioni in Veneto nel manifatturiero, +7.000 rispetto
allo stesso periodo dell’anno scorso. Trend analogo anche a Treviso (10.500 programmi di assunzione nel comparto, +1.500 rispetto al primo trimestre 2022) e a Belluno (2.500 assunzioni, +800
rispetto al periodo di confronto).
Certo, non è da farla facile, continua ad esserci una guerra nel cuore dell’Europa e resta alta l’inflazione nonostante i costi energetici abbiamo iniziato a diminuire -aggiunge il
Presidente: questo tema dell’inflazione resta fondamentale per capire come proseguirà l’economia nel 2023, perché potranno risentirne i settori maggiormente sensibili alla perdita del potere
d’acquisto delle famiglie. I dati ci mostrano un’industria alimentare “fuori dal coro” quanto a possibile ripresa nel primo trimestre dell’anno. E poi, se permane l’inflazione alta, c’è il rischio
di un’ulteriore stretta sul costo del denaro, che potrebbe frenare ulteriormente l’economia. Ma – conclude il Presidente – faccio mie le considerazioni del Governatore della Banca
d’Italia, Ignazio Visco: se da un lato è innegabile una situazione di estrema incertezza, che ci impone di vigilare sull’inflazione, la stessa incertezza suggerisce anche di muoversi gradualmente e
prudentemente rispetto ai tassi d’interesse per non uccidere nella culla la ripresa con una politica monetaria troppo restrittiva.
Il quadro internazionale e nazionale
Nel quarto trimestre 2022, sotto l’effetto dello shock energetico e inflazionistico, è proseguito il rallentamento dell’economia mondiale, come dell’area euro, anche se con minore intensità di
quanto previsto. Infatti, nel World Economic Outlook di gennaio 2023 il FMI ha dovuto rivedere al rialzo sia le stime di crescita per il 2022 del PIL mondiale (+3,4% contro il +3,2% di
ottobre) sia le stime per il 2023 (+2,9% contro il +2,7%) (cfr. tabella 1).
In questo processo di aggiustamento delle stime di crescita è coinvolta anche l’area euro e in particolare due importanti partner come Germania e Italia. L’Italia chiude il 2022 meglio del
previsto, con un PIL al +3,9% contro il +3,2% stimato ad ottobre, un dato a sostegno del quale hanno giocato un ruolo importante la ripartenza del turismo e il ciclo positivo delle costruzioni.
Nelle proiezioni 2023 questa spinta va ad esaurirsi: ma ad ottobre le stime erano di segno negativo, seppur di poco (-0,2%), mentre nell’update di gennaio il FMI prevede per l’Italia una
sorta di stabilizzazione nella stazionarietà (+0,6%).
Si discute di “zerovirgola”, d’accordo. Ma l’ipotesi che sta prendendo corpo, sopra questo scarto di decimali, è se l’Italia e l’area euro, nonostante il palese rallentamento della domanda
internazionale, possano evitare la recessione. Alcuni elementi giocano a favore di questa ipotesi: come osservano gli analisti di Congiuntura Ref. (27 gennaio 2023), nel corso del nuovo anno
dovremmo “sperimentare gli effetti di un controshock dal lato dell’offerta, tale da permettere una riduzione dell’inflazione e un rafforzamento della congiuntura”. Se in effetti troveranno
conferma la tendenza alla flessione dei prezzi dell’energia(a gennaio 2023 l’indice di fonte Banca Mondiale scende a quota 119,3 contro un indice medio per il 2022 pari a 152,6) e la progressiva
normalizzazione degli approvvigionamenti, le ragioni di scambio dovrebbero migliorare, anche se non per tutte le merceologie (cfr. tabella 2).
Si aggiunge anche un elemento inedito fino a qualche anno fa, figlio sia della pandemia che delle tensioni geopolitiche in atto (guerra Russia-Ucraina) e potenziali (chi ha delocalizzato in Cina
teme di trovarsi in una situazione scomoda, anche verso gli USA, nel caso di un conflitto con Taiwan). A seguito di ciò, alla ricerca di maggiore sicurezza e continuità nei funzionamenti delle
catene del valore, le aziende stanno ulteriormente rilocalizzando le attività. I fornitori europei di componentistica per l’automotive hanno già tagliato del 10% i loro investimenti in
Cina (Repubblica, 29 gennaio 2023).Ma, come evidenziato anche dai focus sul manifatturiero, condotti dal Centro Studi Unioncamere del Veneto, questo processo riguarda anche le aziende italiane e
venete: quando ne hanno le condizioni, riavvicinano alcuni processi nell’est Europa o addirittura in Italia, sostenendo così l’attività produttiva pur a fronte di una domanda indebolita.
Certamente, questo scenario non è lineare. Come avvertono gli stessi analisti di Congiuntura Ref, esso presenta diversi elementi di incertezza: si sta fisiologicamente esaurendo l’accelerazione sui
consumi legati alla ripartenza del turismo post-pandemia; la filiera estesa delle costruzioni sta andando incontro ad una fase di stabilità o forse di stallo, dopo l’exploit al traino degli
incentivi fiscali, considerato anche l’impatto sui mutui immobiliari del più alto costo del denaro; non è scontata la stessa ipotesi di normalizzazione degli approvvigionamenti, viste le nuove
ondate pandemiche in Cina. Infine, al netto dell’energia, restano incerti i tempi di decelerazione dell’inflazione, il trasferimento sui prezzi finali dei minori costi degli input: le aziende, nel
corso del 2022, avevano ritardato o parzializzato i rincari, per non perdere quote di mercato, ma ora indugiano, comprensibilmente, sul riallineamento dei listini per recuperare le marginalità
compresse.
La permanenza dell’inflazione alta non favorisce i consumi. Già nei dati sul manifatturiero che andremo poi a commentare nel dettaglio risulta evidente la maggiore sofferenza dei settori legati ai
beni di consumo, nell’ultima parte dell’anno, sia lato produzione, sia lato raccolta ordini, pressoché piatta o in contrazione.
Però, ci sono due dati positivi che possono essere posti a cornice di un’ipotesi meno pessimista per il 2023. Nell’anno appena chiuso il numero di occupati in Italia è tornato sui livelli
pre-pandemia in tutte le regioni. Non è stata dunque erosa la base occupazionale del Paese, diversamente da quanto accaduto nelle precedenti recessioni. Salvo specifici casi di crisi aziendali, il
tessuto produttivo nel complesso tende a trattenere maestranze e competenze, proprio in virtù delle sfide complesse che devono affrontare (nonché delle difficoltà di reclutamento). Inoltre, i dati
di gennaio dell’indagine PMI Markit sembrano suggerire che sia passato il punto di minimo di questa fase congiunturale di rallentamento. Tanto per l’Eurozona che per l’Italia l’indice anticipatore
Markit risale leggermente: per l’Eurozona si porta da 47,8 a 48,8 (restando di poco in zona contrazione), mentre per l’Italia l’indicatore passa da 48,5 a 50,4 riportandosi in area di (modesta)
espansione (cfr. grafico 1).
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