Competitività aziendale e cooperazione interaziendale

Tutti i liberi mercati (locali, nazionali, internazionali, mondiali) sono universalmente retti dai principi della concorrenza


Tutti i liberi mercati (locali, nazionali, internazionali, mondiali) sono universalmenteretti dai principi della concorrenza. Anche ove si sono affermati monopolistied oligopolisti, nonostante le
resistenze di questi, è sempre possibilel’inserimento di nuovi concorrenti se non vengono imposte dai governi regoleprotezioniste di chiusura.

Ogni impresa operante in un libero mercato, indipendentemente dalle dimensioni, è soggetta alla concorrenza di altre imprese (esistenti o potenziali) e pertanto deve possedere un certo grado di
competitività per prevalere (almeno in qualche misura e per qualche aspetto) sulla pressione concorrenziale esercitata da queste ultime.
Si tratta, in altri termini, di offrire i beni e servizi prodotti a condizioni più favorevoli di altri per il consumatore (in generale sotto l’aspetto del binomio inscindibile qualità/prezzo).

In tutti gli articoli precedenti di questa rubrica “Il Punto”, pur trattando di temi differenti, è sempre stata evidenziata la difficoltà delle PMI, per motivi diversi, di possedere una
competitività aziendale adeguata ad affermarsi stabilmente sui mercati di sbocco delle proprie produzioni, soprattutto se si tratta di mercati vasti ed internazionali. In ogni occasione si è fatto
presente, comunque, che il rafforzamento competitivo delle imprese minori deve passare obbligatoriamente (a meno che non venga effettivamente incrementata la dimensione aziendale) per
l’aggregazione con altre imprese o comunque per la cooperazione interaziendale.

Se per la grande impresa, ma recentemente anche per la media, l’alleanza con altre imprese è facoltativa e può avvenire per iniziative particolari o comunque ben definite (e generalmente avviene
anche tra aziende concorrenti), per la piccola ed ancor più per la microimpresa l’aggregazione è necessaria per raggiungere nelle diverse aree di attività aziendale quella dimensione minima
sufficiente affinché il “business” diventi conveniente e remunerativo, pur in presenza di mercati fortemente concorrenziali. Le aggregazioni, inoltre, nella maggior parte dei casi, devono avvenire
più convenientemente proprio tra imprese dello stesso settore od offerenti beni o servizi simili, cioè tra unità tra loro concorrenti. Proprio qui sta il paradosso della piccola dimensione: per
competere con i concorrenti più forti, i concorrenti più deboli debbono allearsi per divenire più forti complessivamente senza intraprendere tra loro una rovinosa lotta tra deboli che li porterebbe
in tempi più o meno brevi alla definitiva perdita di ogni grado di competitività. Ogni azienda minore che non abbia una posizione forte sul mercato (unicità del prodotto, posizione dominante in una
nicchia ristretta, attività tipica od artistica, ecc.) deve necessariamente prendere atto della propria intrinseca debolezza e ricercare alleanze proprio con altre unità concorrenti e/o con unità
che operano a monte od a valle della catena produttiva sino allo sbocco di mercato.
Si tratta, in altri termini, di attuare forme di aggregazione di varia natura giuridica ed economica (consorzi, società, intese di cooperazione, ecc.) per:

raggiungere una dimensione minima in grado di ridurre i costi e/o incrementare i ricavi;

collaborare sfruttando le eccellenze di ciascun partecipante in grado di conseguire risultati parziali migliori nel prodotto/servizio offerto rendendolo più competitivo sul mercato.

Tutto questo non annullerebbe completamente l’individualità e l’autonomia dell’imprenditore (si tenga presente che non si propone di fondere più imprese in una più grande o di formare gruppi di
imprese con partecipazioni variamente articolate), il quale continuerebbe a gestire la propria piccola impresa, ma alcune politiche di produzione e di mercato dovrebbero essere concordate e
condivise con gli altri soggetti partecipanti all’aggregazione. Ovviamente perché tutto funzioni sarà necessario che:

i vantaggi comuni superino i singoli vantaggi individuali dei soci se agissero separatamente;

ciascun partecipante debba avere comunque un vantaggio e questo non debba andare a scapito di altri;

la gestione dell’aggregazione sia imparziale e trasparente.

Proprio questi ultimi elementi spesso sono difficili da concretizzare e frenano le collaborazioni tra PMI, ma l’affidabilità e la “pazienza” nel raggiungimento dei vantaggi auspicati devono
prevalere perché l’alternativa di agire separati porta inevitabilmente ad uno svantaggio competitivo.

Gli stessi principi e rimedi valgono anche per la cooperazione internazionale, cioè per l’aggregazione tra imprese di Paesi diversi. In questo caso le piccole e microimprese presentano qualche
difficoltà ulteriore per la lontananza e la diversità degli approcci necessari al conseguimento degli stessi fini e quindi forse è opportuno che aggregazioni già formate “in loco” si alleino con
piccole unità o con aggregazioni di altri Paesi. In ogni modo, la cooperazione internazionale può essere più vantaggiosa se riesce a coagulare: strategie di mercato internazionale che altrimenti
non si potrebbero realizzare; sinergie tra fattori produttivi (lavoro, capitale, conoscenze) molto più diversificati e quindi con prospettive più ampie.

La Camera di Commercio e le associazioni imprenditoriali dei singoli settori produttivi da tempo vanno promuovendo queste aggregazioni, ma ancora la risposta del tessuto delle PMI è modesta e
diffidente. La realtà è che questa situazione di prudente attesa non potrà durare a lungo.

Renato Chahinian
Tratto da “L’Economia della Marca Trevigiana”, Giugno 2005