INNOVAZIONE E RAZIONALIZZAZIONE DI PROCESSO. Intervista al Presidente della Camera di Commercio di Treviso-Belluno Mario Pozza

INNOVAZIONE E RAZIONALIZZAZIONE DI PROCESSO. Intervista al Presidente della Camera di Commercio di Treviso-Belluno Mario Pozza

Il Veneto si posiziona nel primo quartile fra i territori europei quanto ad incidenza d’ imprese che introducono innovazioni, sia di natura tecnologica che di mercato o organizzative [innovazione] [imprese] [tecnologia] [ricerca] [veneto] [Treviso] [Belluno] [Camera di Commercio] [infrastrutture] [capitale umano] [sviluppo] [filiere] [università] [fornitori]

INNOVAZIONE E RAZIONALIZZAZIONE DI PROCESSO
Intervista al Presidente della Camera di Commercio di Treviso-Belluno
Mario Pozza

Parliamo di innovazione Presidente. Com’è l’innovazione in Veneto e come è percepita?


Come ha messo in evidenza, la ricerca commissionata da Unioncamere del Veneto all’Università di Padova, non è un valore riconosciuto dalle statistiche alle nostre imprese.
Nell’ultima edizione del 2016, del rapporto sull’Innovazione, siamo classificati soltanto come “moderatamente innovatori”, perché un indice fa sintesi delle diverse variabili che misurano la
capacità di un sistema di essere innovativo.
Nello stesso Rapporto, tuttavia, il Veneto si posiziona nel primo quartile fra i territori europei quanto ad incidenza d’ imprese che introducono innovazioni, sia di natura tecnologica che
di mercato o organizzative
. Quindi, su questo aspetto risultiamo allineati alle principali regioni nord-europee.
Le variabili che ci penalizzano sono: la spesa in Ricerca e sviluppo (pubblica e privata), gli accordi formali di cooperazione per l’innovazione, la
disponibilità locale di infrastrutture per l’innovazione, il livello di istruzione formale del capitale umano (tasso di laureati, etc.).
Stando a questo Rapporto, emergerebbe in definita un Veneto dotato sì d’ imprese che introducono innovazioni, ma “senza ricerca”. Dove l’innovazione è basata prevalentemente su processi di
apprendimento empirici non strutturati.

Lo studio dell’Università di Padova ha provato a verificare sul campo se queste conclusioni fossero davvero fondate. Sono state intervistate circa 200 aziende manifatturiere operanti in Veneto dai
10 ai 250 addetti.
Ne è risultato che
l’89% delle imprese intervistate ha al suo interno addetti che si occupano in modo specifico d’ innovazione, anche se per 2/3 non operano all’interno di una
struttura appositamente dedicata alla Ricerca e Sviluppo.
Una buona parte degli addetti che in azienda generano innovazione, lavorano in altri reparti o in altre funzioni aziendali.
Ecco perché l’indicatore della capacità innovativa di un’impresa o di un territorio sottostima la presenza d’ imprese, soprattutto piccole e medie, con buona performance innovativa, anche se non
sostenuta da una struttura interna di Ricerca e Sviluppo.
Inoltre
anche dove è presente un reparto di Ricerca e Sviluppo, e dunque uno specifico investimento di risorse finanziarie e umane per l’innovazione, questo reparto resta di
piccole dimensioni.
In media sono reparti composti da meno di 3 addetti (2,86 per l’esattezza, nel campione considerato). Però ai circa 3 addetti formalmente dedicati all’innovazione, in queste aziende vanno aggiunti
almeno altri 3 addetti che generano innovazione in altri reparti.
Così sale al 17% l’incidenza di addetti dedicati (in modo formale o informale) all’innovazione sul totale addetti d’impresa. Che incomincia ad essere uno stock di risorse non indifferente per la
dimensione media delle imprese nel nostro territorio.


Che importanza hanno le filiere per l’innovazione?

Le imprese venete non fanno innovazione soltanto con risorse interne, ma anche con risorse esterne. Parlo del modello che viene definito “open-innovation” che si definisce tale quanto un’impresa
fa parte di una rete più estesa che fa innovazione.
Bene: la totalità delle imprese intervistate con reparto di Ricerca e Sviluppo e la quasi totalità (98%) delle imprese senza reparto, ma con addetti dedicati all’innovazione è immersa in
una rete più o meno estesa di partnership, formali o informali, tramite le quali sviluppa attività innovative: soprattutto con fornitori di macchinari, di materie prime, di servizi, ma anche con
clienti
. Molto meno, purtroppo, con strutture universitarie, cosa che ci penalizza nelle statistiche che valutano i “sistemi regionali per l’innovazione”.
Questo utilizzo di risorse esterne per l’innovazione non è sostitutivo ma complementare rispetto alle attività interne. E allora da qui capiamo che c’è una attività formale-informale di
ricerca, soprattutto tecnica, che scorre lungo tutta la filiera, che avviene parallela al business corrente
, in buona parte si alimenta da esso e che, nei casi migliori, concorre a
definirne le traiettorie evolutive con impatti significativi.
E’ questo dunque il modello d’ innovazione praticato in prevalenza dalle imprese venete, sfuggente alle statistiche internazionali e che merita di essere conosciuto.
Iniziative come queste, caro Luciano, aiutano a rendere questo modello evidente e a questo modello “praticato” d’ innovazione devono guardare i policy-maker.

Quali sono le criticità di questo sistema?

Se fra le imprese della filiera non c’è una visione strategica su quali debbano essere i principali fattori di cambiamento che ne condizionano il futuro, l’innovazione immersa nella filiera corre
il rischio di essere miope.
Faccio un esempio: come si può oggi innovare nella filiera della casa, senza pensare al processo irreversibile d’ invecchiamento della popolazione?
Inoltre in questo modello d’ innovazione, come si è visto, l’anello debole resta il rapporto tra impresa e università. Parliamo in Veneto di polo universitario unico, ma ancora c’è
molto lavorare affinché tra imprese e ricerca universitaria si instauri un vero dialogo. Che ci darebbe davvero un’importante accelerazione nei processi innovativi.
Infine, se possiamo dire che siamo molto bravi a fare innovazione di prodotto e di processo e abbiamo imparato anche a fare innovazione organizzativa, siamo però carenti nell’innovazione di
marketing.
Nel campione utilizzato solo un’azienda su due fa innovazioni in questo ambito e con intensità di risultati inferiori rispetto agli investimenti più prettamente tecnologici.
Dunque possiamo dire che l’innovazione in Veneto c’è e c’è grazie alle imprese, alle filiere che si creano con soggetti terzi, in primis con i fornitori e clienti.
Sappiamo però che i mercati stanno diventando sempre più complessi, l’economia sociale impone nuove regole, i cicli di vita dei prodotti e servizi sono sempre più rapidi.
Alla capacità tecnica riconosciuta nel mondo è necessario affiancare dunque un’intelligenza commerciale di pari livello.