INTERVISTA A GUIDO MAX MANTOVANI SUL NUOVO MODELLO DI RATING. #conlecameredicommercio.

INTERVISTA A GUIDO MAX MANTOVANI SUL NUOVO MODELLO DI RATING. #conlecameredicommercio.

UNIVERSITÀ E CAMERA DI COMMERCIO INSIEME PER FAVORIRE IL CREDITO ALLE IMPRESE [ECONOMIA] [RICERCA] [UNIVERSITÀ’] [RATING]

Abbiamo il piacere di approfondire il progetto anticipato dal Presidente della Camera di Commercio Nicola Tognana, in occasione del Ventennale del Campus Treviso, sul nuovo
Modello di Rating e lo facciamo intervistando il principale ideatore il prof. Guido Max Mantovani, Docente e Ricercatore di Finanza Aziendale dell’Università Ca’ Foscari di
Venezia e presso l’Ecole de Management de Strasbourg
Lo incontriamo nella sede della Camera di Commercio di Treviso . Il prof Mantovani saluta il Dott. Federico Callegari dell’ufficio Studi della Camera di Commercio con cui
collabora ormai da dieci anni .

Intervista a cura di Silvia Trevisan Redazione di ” Economia della Marca” e trevisobellunosystem.com

Gentile prof. Mantovani ci può spiegare com’è nato il progetto?


Nasce da una collaborazione tra il Campus di Treviso e la Camera di Commercio che, per quanto riguarda la mia esperienza, festeggia quest’anno 10 anni di collaborazione molto stretta. Iniziammo nel
2004 con il monitoraggio della performance delle imprese trevigiane che abbiamo svolto, a più riprese, con gruppi di lavoro variamente composti. Nel 2004 il Campus di Treviso era diretto
da Ferruccio Bresolin, io venni chiamato per una collaborazione sull’analisi dei rischi delle imprese. Il progetto è andato avanti dal 2006 al 2008, poi è emerso, con la crisi,il problema dei
vincoli al credito erogato alle imprese, di piccole dimensioni, ma non solo. E’ nata pertanto l’idea di far partire un progetto che, forte di quello che avevamo già fatto, potesse sviluppare un
modello di rating innovativo.
Oggi esistono due problemi per quanto riguarda il credito alle imprese:
Il primo è legato alla crisi economica che abbiamo vissuto negli anni scorsi. E’ stata una crisi lunga , dolorosa con caratteristiche che non sempre hanno potuto essere riscontrate storicamente.
Una serie di peculiarità che comprensibilmente ha messo in difficoltà il modo di fare credito. La crisi è stata all’origine di questa difficoltà delle imprese nel raccogliere credito. Ma c’è stato
anche un altro problema, legato alla regolamentazione del credito, che invece di permettere di dare credito alle imprese migliori, cioè quelle con un buon rapporto fra utili e rischi con cui li
producono,ha costretto le banche a ridurre i rischi…e basta! E il miglior modo per ridurre i rischi è stato quello di non prenderli, cioè non dare il credito necessario.
Dunque è questa la motivazione profonda del credito carente:la crisi ed il sistema regolamentare. Accanto a questi due punti generali oggettivi, ci sono poi stati comportamenti opportunistici sia
da parte delle banche sia da parte di chi prende il credito. Ed è per questo che con il nuovo modello di rating si è voluto studiare un sistema che non fosse in mano ad una sola delle parti, cioè
di quella che gestisce il credito o di quella che lo prende. Se facciamo decidere i rischi solo a chi fa credito o solo a chi lo prende il sistema sarà sempre sbilanciato: perché i contratti si
fanno in due. Da lì è nato il progetto rating integrato per organizzare un sistema che permettesse di avere una maggiore oggettività e trasparenza per un’effettiva valutazione dei
rischi legati al credito.
Abbiamo messo assieme una mole impressionante di competenze grazie alla Camera di Commercio che detiene la conoscenza del territorio e che rappresenta buona parte del tessuto economico. A questa
conoscenza abbiamo unito le competenze scientifiche dell’università e a queste due competenze di base abbiamo aggregato quelle del mondo bancario. C’è stato un interesse all’iniziativa e un
interesse fattivo del Credito Cooperativo della provincia di Treviso grazie in particolare al Presidente della Fondazione che li riunisce, dott. Cenedese, che ha messo a disposizione una delle
risorse umane coinvolte. Le due competenze chiave comunque sono quelle della Camera di Commercio e dell’Università Cà Foscari di Venezia che sono stati gli ideatori. Elemento indispensabile, quello
delle competenze. Perché c’è una regola base della finanza, purtroppo poco conosciuta, che dice che il denaro è fungibile, le persone no. Il denaro è tutto uguale sia che venga dalle banche che
da altre parti, sempre soldi sono, ma le competenze prese dalla persona A non sono uguali alle competenze della persona B.

Operativamente come si è svolto il progetto di ricerca?


Questo progetto di ricerca ha una specificità che non sempre c’è nei progetti universitari. Essendo un’iniziativa in cui si uniscono competenze differenti tra Camera di Commercio, mondo
universitario e sistema bancario ha permesso di avere una gestione imprenditoriale. La forte gestione imprenditoriale del progetto è merito del presidente della Camera di Commercio Nicola Tognana
che ha richiesto che il progetto avesse degli step di valutazione e che solo attraverso i risultati dei vari step si potesse proseguire. Il primo obiettivo era di arrivare ad un
prototipo che fosse applicabile alle imprese e non solo a girandole di supposizioni statistiche. Questo prototipo lo abbiamo raggiunto dopo sei mesi di lavoro analizzando oltre 20.000 società e
120.000 bilanci aziendali. Questa immensa mole di lavoro è stata svolta da un gruppo di coordinamento e con l’aiuto di due ricercatori più giovani: i dott. Basilico (più esperta, che abbiamo fatto
rientrare da Denver e St. Gallen) e Mestroni (giovanissimo fresco di laurea del Campus di Treviso). Su queste 20.000 aziende analizzate abbiamo cercato di studiare quali elementi generavano i
rischi, da un lato, e gli utili, dall’altro. Da questo lavoro di base abbiamo cominciato a capire quali fossero le determinanti degli utili sui rischi. Abbiamo capito quali fossero le
caratteristiche delle imprese che mantenevano utili soddisfacenti con rischi minori, anche durante la crisi

L’idea è che i rischi delle imprese (diversamente da quelli dei mercati finanziari) derivano principalmente da due fonti:

1. Rischi esogeni, per esempio fatti catastrofici o di ordinaria amministrazione, aumento del prezzo del petrolio. Per questi non c’è capacità di controllo da parte dell’imprenditore. Solo
ragionevoli aspettative… e basta. Questi rischi sono studiati solitamente dagli economisti finanziari.
2. Rischi endogeni, che nascono dalle scelte assunte dall’imprenditore, dati i rischi esogeni. Se decido di caricare più costi fissi a parità del fatto che il petrolio salga o meno, se investo in
formazione per la qualificazione professionale del personale,se decido di internazionalizzare, ecc. i rischi risulteranno influenzati anche da queste mie scelte. Sono questi i rischi che studiano
gli aziendalisti.

Il problema dei professori di finanza aziendale è che stanno nel mezzo degli studiosi delle due categorie. Questo fa sì che spesso sappiano misurare bene i rischi esogeni ma non quelli endogeni.
Che, spesso, sono addirittura trascurati, prova ne sia che sono pochi a scrivere sulla gestione dei rischi endogeni delle imprese e delle decisioni da assumere da parte degli imprenditori.

Abbiamo messo un set di 24 indicatori capaci di rappresentare abbastanza bene il mix di rischi endogeni ed esogeni.
Ci sono parecchi colleghi che di questi temi se ne sono già occupati, ma quasi sempre dalla prospettiva degli economisti finanziari. Di conseguenza, in base alle indagini empiriche sulle evidenze
dei soli rischi esogeni, dicono che non ci sono relazioni statisticamente rilevanti. Noi pensiamo, invece, che queste relazioni ci siano, se si guarda anche ai rischi endogeni. Ed, infatti,le
abbiamo trovate: forse perché più fortunati, forse perché abbiamo saputo cercare meglio, forse perché abbiamo adottato degli indicatori migliori, probabilmente perché abbiamo avuto il coraggio di
operare da economisti d’azienda
Quindi: 24 indicatori che sono risultati migliori,rispetto ad altri,per misurare i rischi (endogeni ed esogeni) e gli utili. Questa ricerca conferma che rischi e utili sono due facce della stessa
medaglia: perché, paradossalmente, il rischio è un fattore della produzione (come vado dicendo dall’ormai lontano 1998). Se io pretendo di guadagnare di più, a lungo termine, senza rischiare di
più, non ho possibilità di successo perché su quella stessa opportunità i miei concorrenti arriveranno sempre prima di me, dato che non sono degli stupidi.
Se voglio guadagnare di più a lungo termine devo avere il coraggio e la capacità di rischiare di più. Il problema imprenditoriale è quindi la proporzionalità fra utili e rischi. Cioè se io voglio
raddoppiare i miei guadagni ma triplico i miei rischi aziendali allora non c’è proporzionalità e beneficio aziendale. E’ bravo, invece, l’imprenditore che raddoppia i guadagni portando a solo +1,8
volte il rischio aziendale, cioè a meno di due volte. Il sistema di rating integrato, con i suoi 24 indicatori, cerca di capire se c’è proporzionalità tra la dinamica degli utili e la dinamica
dei rischi nel lungo termine e riesce così a dividere gli imprenditori virtuosi, cioè quelli capaci di far migliorare gli utili più che proporzionalmente rispetto ai rischi, dagli imprenditori meno
virtuosi. Ma dietro questo risultato confezionato e “banalizzato” ci sono sei mesi di lavori impressionanti, di prove ed errori. In questi mesi, ci siamo ritrovati più volte a dirci che non ne
saremmo usciti; ed, invece, abbiamo analizzato 120.000 bilanci esaminandoli più volte ed, alla fine, scovare i 24 indicatori soddisfacenti.

Quale metodologia è stata adottata?


La metodologia è basata su due approcci teorici:
· Il primo è l’approccio per la stima dei valori delle competenze imprenditoriali. Che sin dal 2004 stiamo seguendo con la Camera di Commercio e, soprattutto,con la Fondazione
Teofilo Intato, che proprio questo anno compie i 10 anni di vita

Il Metodo è statisticamente abbastanza complesso: ci sono almeno cinque, sei scritti che abbiamo pubblicato di una trentina di pagine ciascuno per spiegare il metodo stesso. Il metodo sta nel saper
valutare quel asset che molte imprese hanno e che è legato non tanto agli impianti, attrezzature, macchinari , ma sulla capacità di far lavorare gli impianti, le attrezzature i macchinari
e che si chiama valore delle competenze imprenditoriali.

· Il secondo approccio è l’applicazione di un vecchissimo teorema della finanza (1965, lo stesso anno in cui sono nato), noto come teorema di Lintner che identificò un sistema di
ricerca degli equilibri finanziari di sistema alternativo a quello normalmente adottato e noto come “sistema degli equivalenti certi”.

Il teorema può essere raccontato pressappoco così: c’è un’impresa che produce un utile rischioso di 100 ed un investitore che le richiede un rendimento del 10% perché l’investimento è più
rischioso di un BTP che rende, ipotizziamo, solo il 4% perché senza rischio.. Quanto vale l’ impresa che guadagna 100 e dovrebbe ottenere un rendimento del 10%?. Dovrebbe valere 1000 perché 1000
è quel capitale che ho investito al 10% e dà 100 di rendimento, dato che si tratta di un investimento rischioso. Lintner fa un’osservazione banale: se io prendo un BTP non rischioso che rende 40,
dal momento che l’investitore si soddisfa soltanto con un 4%, anche il BTP vale 1000. Ho così un paradosso: perché quello che rende 100 vale 1000 e una cosa che rende molto meno, 40, vale anch’essa
1000! Come mai? La risposta è che valgono uguale perché la proporzionalità che c’è tra 100 e 40. è la stessa che c’è tra il 10% e il 4% che ci si aspetta di guadagnare sui due investimenti .

Siccome c’è il calo di utili -60% che è uguale al calo dei tassi, da 10 a 4 è.-60%, il valore delle due iniziative è lo stesso: 1000 la prima e 1000 la seconda.
Lintner dimostra che ciò accade perché 40 è l’equivalente certo dei 100.
Noi abbiamo utilizzato questo metodo perché abbiamo capito che (per le società non quotate nei grandi mercati finanziari, come le nostre PMI) è più facile calcolare il 40 partendo da 100 che non
calcolare il 10% di rendimento atteso partendo da 4% di tasso dei titoli di Stato: abbiamo preso il metodo più facile ed al contempo altrettanto rigoroso.
Abbiamo quindi cercato di ragionare concretamente al fine di un lavoro pratico, cioè come le persone che sono abituate a “sporcarsi le mani” nelle aziende vere, ma senza rinunciare al rigore
scientifico che la matrice accademica ci impone. Solo con l’alleanza con CCIAA e con le Banche questo è stato possibile.
Certo, ci si può chiedere legittimamente perché altri non ci siano arrivati prima. Il motivo per cui Lintner non ha potuto verificare il proprio teorema è stato perché nel 1965
non c’erano ancora i computer di oggi. Ha quindi avuto l’intuizione e scritto le formule, che noi abbiamo potuto applicare, grazie alle intuizioni contenute nella metodologia di calcolo del T-Ratio
della “Teofilo Intato” che vorrei qui ringraziare ancora.
Del nostro lavoro sono state realizzate delle pubblicazioni nel 2013 e presentate in tre conferenze internazionali e vagliate da un comitato scientifico. Nel 2014 abbiamo avuto 10 conferenze
internazionali che hanno accettato i nostri lavori di ricerca. Abbiamo presentato i Paper ed abbiamo ricevuto il Best Paper Award alla conferenza primaverile della Academy
of Business Research, tenutasi dal 26 al 28 marzo a New Orleans Stati Uniti.
Il Team è presente in questi giorni all’evento internazionale di metodologie statistiche per la finanza MAF 2014.I nostri Paper sono pubblicati con editori internazionali da Springer a New
York e dal Journal of Business, Economics & Finance qui in Europa. C’è dunque un accreditamento internazionale.

Ma sono ancor più interessanti i risultati. Alla Giunta della Camera di Commercio abbiamo recentemente presentato il prototipo e sintetizzato il suo funzionamento utilizzando questi numeri
ottenibili dal campione analizzato. Se utilizzo le metodologie di Basilea 2, scopro che 47 aziende ogni 100 sono meritevoli di maggiore credito, mentre le altre 53 hanno un rating basso. Il sistema
bancario, dunque, alloca il credito privilegiando le 47 imprese con rating alto. Ma se analizzo le stesse imprese con il prototipo di rating integrato vedo che quelle con giusta
proporzionalità fra utili e rendimenti sono 52 (e 48 quelle senza questa capacità).

E’ un po’ un gioco di numeri e sovrapposizione. Le 47 aziende “buone per Basilea-2” non sono le stesse 52 di Rating Integrato! Solo 27 aziende sono selezionate come buone da entrambe i sistemi,
segno che 20, fra le 47 scelte da Basilea, sono a rischio di saltare a lungo termine,. Fra le 52 meritevoli individuate dal nuovo modello di rating, ce ne sono invece ben 26 che i metodi di
Basilea-2 classificano fra quelle non meritevoli di ottenere credito. Questo accade perché nei metodi di Basilea2 il nodo fondamentale è rappresentato dalla c.d. probabilità di fallimento
aziendale entro i 12 mesi successivi all’analisi, diversamente da rating integrato che guarda invece la capacità di sopravvivenza aziendale nel lungo termine, come farebbe qualunque agente
economico razionale. Questa impostazione dettata dalle regole di Basilea porta il sistema bancario a valutare le aziende solo sul breve termine: così se ho un’azienda che fa un “botto” di utili nei
prossimi 12 mesi e poi, paradossalmente, fallisce, essa si potrebbe trovare ad avere più merito di credito di una azienda difficile nei prossimi 12 mesi ma stabile nei prossimi 12 anni!. Questo è
l’assurdo di Basilea2, che dunque ha tre difetti:
Fa giudicare il merito di credito solo dal versante di chi dà i soldi (non in modo indipendente)
Guarda al breve termine
Non considera le decisioni degli imprenditori,i fattori endogeni del rischio.
Ai miei studenti del corso di Finanza Aziendale a Treviso dico sempre: “Meno male che Kennedy non ha usato Basilea 2 per valutare il primo viaggio sulla luna”…perché non ci saremmo mai andati!

Abbiamo ora chiuso la fase di sperimentazione del lavoro, credo con soddisfazione da parte di tutti. Ci aspetta ancora almeno un ulteriore anno di lavoro perché il prototipo va ora trasformato in
prodotto per riuscire ad arrivare, conoscendo l’imprenditorialità della Camera di Commercio, al risultato atteso e anche ambizioso di creare un’Agenzia di Rating e di metterci al
lavoro.
Intendo cioè un’agenzia di rating che lavori con le sue capacità e che sia economica, stando sulle sue gambe ed utilizzando questo sistema perché applicabile concretamente alle imprese vere. Non
come quegli strumenti “esoterici” (mi si passi il termine) che troppo spesso si usano nell’ambiente universitario per farsi sovvenzionare ricerca improduttiva o, come dicono gli anglosassoni, a
basso “impact case” anche se qualche moderno barone universitario li classifica ad alto “impact factor” (probabilmente solo sulla spesa pubblica pagata con le tasse dei
contribuenti)… Sono molto critico nei confronti del sistema universitario, ma i miei colleghi più esoterici lo sanno e, per il momento, mi sopportano ancora.

Ma dobbiamo cambiare registro. E, per fare questo è fondamentale che il sapere scientifico dell’università si metta insieme alla capacità gestionale e su questo l’apporto della Camera di Commercio
nel progetto è stato determinante perché ci ha messo di fronte ai problemi concreti.

D’altro canto noi abbiamo cercato di dare il rigore scientifico alle cose che si fanno nel concreto nella società civile. Sotto questo profilo, così come sono critico con il mondo accademico, lo
devo essere anche nei confronti della società civile, intesa ovviamente in senso sociologico. La società civile dice che esiste da un lato la pratica e dall’altro la teoria. Intendendo dire che
“chi fa la pratica sono quelli che la sanno e chi fa la teoria sono quelli che non la sanno”. Anche questi sono “esoterici”, come i moderni baroni universitari, perché mi devono spiegare come mai
quelli che fanno la sola pratica sbaglino così tanto. Forse perché non sanno la teoria?

Il punto di successo del nostro lavoro è stato quello di mettere insieme la teoria con la capacità gestionale e spero sia un’impostazione che si riesca a sviluppare anche in futuro.

Le aziende che non adottano alcuna azione in questo momento di crisi hanno un futuro?


Guardi, le dico una cosa. Ho avuto la fortuna di lavorare i miei primi sei anni di carriera con il prof. Mauro Bini della Bocconi di Milano che spesso scrive oggi sul Sole 24Ore, prima di venire
qui a Ca’ Foscari su invito del prof. Bertinetti a cui devo molto della mia fortunata carriera. Ed anche se non sempre abbiamo avuto le stesse idee, da Bini ho imparato che “esiste il costo del
non fare” e che in finanza aziendale è particolarmente importante. Il grande problema del “non fare” del post-crisi è che ha un costo e che, quando lo vedi, sei già fallito.
Questo problema c’è anche nel nostro sistema bancario perché anche non dare credito a chi non dà utili nel breve termine è un costo del non fare. Non ci si può lamentare degli incagli in cui è
oggi il sistema bancario e poi sottrarsi a dare credito nel lungo termine elargendolo solo a chi ti fa guadagnare nel breve termine. Questa è una responsabilità che vede nel sistema bancario la
mancanza di regole aziendalistiche esattamente come per il sistema imprenditoriale. Noi, con i nostri numeri questo lo abbiamo visto bene. La miglior variabile che spiega quanto credito è concesso
questo anno è il credito dello scorso anno (85% dei casi!); e quella che meglio spiega quali investimenti sono stati fatti è l’ammontare degli investimenti dell’anno scorso: la gente si rifugia
sempre nella storia, quando fa economia di crisi!

Che ruolo ha avuto la CCIAA? Direi che non ci sono in Italia molte best practice di collaborazione tra CCIAA e Università.


E’ una collaborazione che dovrebbe adottare anche il sistema camerale generale. Da quando abbiamo iniziato a collaborare nel 2004 ad oggi gli organi della CCIAA di Treviso sono cambiati più volte.
Ciò significa che le persone sono importanti, ma il progetto continua ad evolvere perché sta dentro il DNA del sistema imprenditoriale trevigiano.
Ciò che ha fatto questa Giunta e questa Presidenza è stato dare maggiore vigore di intraprendenza, ed ha messo a disposizione risorse umane e risorse finanziarie nonché di dati che i registri
camerali contengono. I dati presi a sé stanti dicono poco, ma rielaborati valgono tanto. Un lavoro difficile, ma “gustoso”: con Federico Callegari responsabile dell’ufficio studi camerale con il
quale ci si confronta anche ad orari impensabili e questo è un segno di un’interessante collaborazione. Sotto il profilo organizzativo c’è il comitato paritetico con i colleghi Corò, Bagnoli e
Gurisatti e con la partecipazione del sistema bancario e del credito cooperativo.

L’espressione camerale ha sempre partecipato molto attivamente e, parte del risultato, è l’interesse di tutte le realtà aziendali. Per noi sono tutti colleghi di progetto, con cui ci intendiamo
molto bene. Il grande asset che altri progetti forse non riescono ad avere, è che qui siedono tutti attorno ad uno stesso tavolo e contribuiscono attivamente.

Che ruolo hanno svolto le aziende in questo progetto?

Le aziende hanno fornito la materia prima con i loro bilanci, la loro storia. Abbiamo avviato laboratori su singole aziende. Sono state scelte 8 aziende.

Quale sarà il futuro del progetto?


E’ un progetto che gode , per merito,dell’interesse internazionale. Un interesse che è molto forte anche per le attività svolte attraverso conferenze, docenti stranieri, anche alla World Finance
Conference che si terrà a Venezia il prossimo 2-4 luglio, con un panel proprio di Rating Integrato
Gode poi dell’interesse della BCE e ufficialmente della commissione Europea.
Sono già partiti 3 stage per l’analisi dei dati in Germania, Francia e Spagna. per dimostrare l’ applicabilità su scala internazionale del modello. E poi sulle banche per il sostegno alle
piccole banche.

Il presidente Nicola Tognana in occasione del ventennale del Campus Treviso si è augurato l’accreditamento del modello di rating da parte della Banca d’Italia.


Il processo di accreditamento della Banca d’Italia potrà iniziare solo dal2015, terminata la seconda fase che porterà dal prototipo al prodotto di serie. perché è necessario fare un percorso di
accreditamento che deve durare 3 anni.

Papers available at www.ssrn.com

Mestroni, Mattia and Basilico, Elisabetta and Mantovani, Guido Max, ‘Corporate Finance…What Else?’ The Case of the Production Chain Networks in North-East Italy and the Scaffolding Finance
Adopted by Their ‘Leader’ (December 12, 2013). Available at SSRN:http://ssrn.com/abstract=2366723

Mantovani, Guido Max and Mestroni, Mattia and Basilico, Elisabetta, What is Worth More for the Merit of Credit? Evidence from the Credit System in the North Eastern Italian District.
(February 16, 2014). Available at SSRN: http://ssrn.com/abstract=2385466

Mantovani, Guido Max and Corò, Giancarlo and Gurisatti, Paolo and Mestroni, Mattia,Integrating Industrial and Financial Analysis into a Rating Methodology for Corporate Risk Detection: The
Case of the Vicenza Manufacturing Firms (February 23, 2014). Available at SSRN:

http://ssrn.com/abstract=2362399

Basilico, Elisabetta and Mestroni, Mattia and Mantovani, Guido Max, The Relation between Corporate Governance, Firm Performance and the Merit of Credit in SMEs (March 1, 2014). Available at
SSRN: http://ssrn.com/abstract=2403166

Basilico, Elisabetta and Mantovani, Guido Max and Mestroni, Mattia, Corporate Governance, Performance and Firm Characteristics of Productive Chain Networks in Entrepreneurial Smes in
North-East Italy. (April 28, 2014). Available at SSRN: http://ssrn.com/abstract=2430218