LA REALTÀ DELLE AZIENDE DEI KIBS A TREVISO

LA REALTÀ DELLE AZIENDE DEI KIBS A TREVISO

INTERVISTA AD ALESSANDRO MINELLO DOCENTE UNIVERSITÀ CÀ FOSCARI [INNOVAZIONE] [TECNOLOGIA] [KNOWLEDGE] [SERVICES] [KIBS]

Abbiamo il piacere di intervistare il dott. Minello per addentrarci nel concetto di KIBS Knowledge Intensive Business Services le aziende ad alto contenuto di conoscenza.

Intervista a cura di Silvia Trevisan della Redazione di ” Economia della Marca” e trevisobellunosystem.com

Qual è la realtà dei KIBS nella Provincia di Treviso?


Treviso, a livello del regionale, è la seconda provincia per presenza di attività ad alto contenuto di conoscenza : i KIBS. Realtà in crescita che rappresenta una risposta efficace ed
efficiente alla crisi. Se guardiamo alla dinamica delle attività, delle unità locali nel Veneto, e andiamo a vederne la composizione settoriale possiamo osservare come il manifatturiero, il
primario e in parte anche del terziario tradizionale soffrano, mentre i KIBS, anche se devono affrontare non poche difficoltà, sono attività che si sono sviluppate, si sono guadagnate una nicchia
di mercato che permette loro di fare nuovi investimenti. Sono società che fanno innovazione applicando la conoscenza che hanno accumulato nel tempo, oggi il fattore più importante di competitività.
Riescono a rinnovare il proprio business, la propria formula imprenditoriale e questo è il risultato di un’attività vincente per combattere la crisi. Le altre attività non sono riuscite ad
integrare la conoscenza come vero e proprio fattore di competitività, appoggiandosi sempre ad un supporto esterno, mentre i KIBS hanno lavorato al loro interno, si sono reinventati, riposizionati e
questo è l’apporto che anche i giovani hanno saputo dare al comparto dei KIBS. D’altronde la disoccupazione giovanile al 33% ha portato molti giovani ad avviare attività KIBS ad alto livello di
conoscenza per uno stato di necessità, come alternativa occupazionale. Sappiamo che nella storia la “necessità” è stata foriera dell’innovazione. La faccia per così dire bella della crisi è quella
che induce i soggetti più intraprendenti ad esplorare nuove strade e compiere nuove scelte.

La conoscenza accumulata si basa anche sull’esperienza pregressa del contesto imprenditoriale manifatturiero?

In parte sì, per molti aspetti no e questo è l’elemento cruciale. Joseph Schumpeter, economista, diceva che “il nuovo si affianca al vecchio e lo distrugge”. In Veneto, nel passato, questa
sua intuizione non è sembrata credibile perché le innovazioni che si sono avute erano innovazioni incrementali, di continuità, dove il back ground ed il know how pregresso erano,
nell’insieme, la leva che consentiva di innovare. Ora invece con la globalizzazione e lo sviluppo delle nuove tecnologie c’è un salto di paradigma, di livello. Si richiedono linguaggi e
skill del tutto nuovi. Se ero bravo ad utilizzare una fresa non è detto che ora sappia fare altrettanto con i computer. Il rischio è che ci sia un nuovo digital divide che porti
una fascia di persone a sapersi appropriare appieno delle funzioni delle nuove tecnologie e molti altri no. Una buona fetta della popolazione sa utilizzare gli strumenti, ma non appieno. Le
attività che guadagnano mercato sono quelle che riescono a sfruttare appieno la conoscenza e le applicazioni delle tecnologie. Il know how precedente ha molto meno impatto sui nuovi
saperi, ripeto, mentre una volta il passaggio era dolce. Ora invece c’è “un salto” per cui devo sapere che cosa posso fare con le nuove tecnologie. Per esempio i social network richiedono
un linguaggio che non abbiamo fatto nostro, c’è bisogno di un forte adattamento, culturale anzitutto, alle nuove tecnologie mentre una volta bastava apprendere osservando perché bastava l’on
the job.

Quali sono le aziende che si qualificano KIBS?

La catalogazione dei veri e propri KIBS è basata sui codici ATECO. Esiste un nucleo condiviso di attività, il core (KIBS puri), le quali presentano elevati livelli di contenuto di
conoscenza, tecnologica e/o professionale, nei servizi che erogano. Attorno al core, con il gruppo di ricerca di EconLab Research Network, abbiamo lavorato per tracciare uno o più
ring dove si trovano attività che non sono KIBS al 100% ma che tuttavia presentano alcuni dei criteri di base (quasi KIBS).
In generale i KIBS sono attività di ricerca, sviluppo ed innovazione. Sono società private. E’ escluso il “pubblico” così come il mondo primario e secondario. Sono attività di servizi, di
consulenza aziendale, di management oltre ad altre forme di consulenza organizzativa, per la qualità, per la certificazion ,di progettazione, di ingegneria, società di ICT, società di architettura,
di consulenza di marketing e comunicazione, le attività di consulenza legale e assicurativa. La conoscenza può essere dunque più di natura tecnologica o più professionale, ma in ogni caso è il
fattore competitivo chiave che contraddistingue i KIBS e che consente alle aziende di essere competitive .Sembra che le aziende manifatturiere si siano spacchettate, una volta erano più “hardware”,
più concentrate sull’operazione manuale, sulla struttura, ora anche entrando in una azienda del manifatturiero tutto il valore che producono è immateriale, l’ambito materiale è molto basso e spesso
viene svolto in filiere di produzione esterne.

L’internazionalizzare riduce il livello di Knowledge per il territorio?

L’internazionalizzazione ha riguardato nel passato la delocalizzazione di molte fasi a basso valore aggiunto, ad alta intensità di lavoro, il cui obiettivo era ridurre il costo del lavoro per
conquistare margini di competitività. Poi il processo di internazionalizzazione ha avuto nuovi obiettivi, conquista di nuovi mercati di sbocco, di approvvigionamento, acquisizione di nuove
conoscenze tecnologiche, il fenomeno si è articolato. Questo processo di per sé non è negativo, l’internazionalizzazione è un fattore di competitività e innovazione. Tuttavia, con riferimento al
nostro territorio, è necessario che si mantenga un ecosistema di attività differenti, ci deve essere un equilibrio tra attività di tipo manifatturiero, di tipo primario e dei servizi. Un volta
primeggiava il manifatturo, il quale era costretto a recarsi a Milano o all’estero per avere consulenze di management o di diritto internazionale, per fare degli esempi. Oggi i servizi pregiati
sono presenti anche a livello locale, nei centri urbani maggiori della regione. Rispetto al passato,dove avevamo una quota di addetti manifatturieri del 60%, ora ne abbiamo il 30%, che però è
compatibile con il nuovo riequilibrio dell’ecosistema perché ora è cresciuto il ruolo terziario che una volta era marginale. Quello che dobbiamo capire è qual è il ruolo del Veneto nel processo di
internazionalizzazione. Il nostro ruolo è presidiare le attività ad alto valore aggiunto che si intrecciano in un ecosistema nel quale i confini settoriali tradizionali sono sfumati.

I nostri imprenditori stanno comprendendo questa trasformazione oppure no?

Chi riesce ad innovare il proprio prodotto, qualunque esso sia, dal più tradizionale al più tecnologico riesce ad avere quel vantaggio competitivo che gli permette di sfruttare delle nicchie di
mercato molto redditizie. Nicchie di mercato perché il “mercato di massa” in certe produzioni non esiste. Dobbiamo virare verso la produzione di meno volumi e più valori. E’ fondamentale sviluppare
un capitalismo di rete, di territorio. L’individualismo che è stato un punto di forza ora è un punto di debolezza, perché ora devo dialogare strategicamente lungo una catena di valore sempre più
allargata a soggetti e territori, a saperi e valori differenti, devo entrare e operare in rete. Per fare un esempio. Anche chi produce ribaltabili per camion deve fare un prodotto nuovo che abbia
un sistema particolare che gli altri non fanno, utilizzando una rete di competenze nuove. Il concetto dunque è riuscire a passare da una logica in cui prima “governavo tutto il processo produttivo,
alla logica che ora sono un tassello del processo produttivo”. E’ necessario passare dal distretto alla filiera che mette insieme, scompone e ricompone i gradi di conoscenza. Pensiamo alla rete
degli artigiani, alcuni di loro ora sono in difficoltà perché prima lavoravano come terzisti per una grande azienda committente che ora ha deciso di spostare le commesse. La grande azienda
organizzava tutta la catena di produzione, il progetto iniziale, il prototipo, il brand, la commercializzazione. E’ necessario ora replicare, adattandola, questa catena. Gli artigiani terzisti si
devono riorganizzare con altri soggetti del territorio o a livello internazionale per sviluppare quelle competenze complementari che gli permettano di continuare a produrre. L’artigiano, non più
terzista, ora deve avere il mercato come committente e non più la grande azienda. Anche i servizi si devono aggiornare e devono passare da una posizione in cui erano al traino ad una in cui sono
loro a trainare (è il passaggio da gregario a capitano). Parafrasando Andersen, è finito il tempo in cui il terziario era percepito come il brutto anatroccolo, ma non è ancora il bellissimo cigno.
Un processo non meno difficile di altre trasformazioni. Se l’industria si terziarizza così alcuni servizi si dovranno un po’ “industrializzare”, puntando di più sull’organizzazione, sulla
formazione, sul capitale umano, dovranno evolvere e diventare strutture efficienti, si dovranno strutturare in maniera più manageriale. Altri servizi, invece, dovranno essere sempre più specifici,
orientati a fornire soluzioni personalizzate, in chiave relazionale e tecnologica con il cliente, sia esso il consumatore finale oppure l’azienda. Ma in questo processo di trasformazione, anche le
associazioni di categoria non sono esenti da sfide. Un tempo erano intese come un soggetto che rappresentava gli interessi di una specifica categoria precostituita, attraverso l’attività sindacale,
in futuro dovranno diventare un soggetto che guida ed orienta altri soggetti che sono in rete e che chiedono – che cosa posso fare, che mercati posso affrontare, mentre prima le richieste erano
solo di tipo amministrativo. Le domande quindi cambiano. L’ecosistema nuovo deve essere competitivo in tutte le sue componenti.