GLI INVESTIMENTI ESTERI DELLE IMPRESE. INTERVISTA A RENATO CHAHINIAN

GLI INVESTIMENTI ESTERI DELLE IMPRESE. INTERVISTA A RENATO CHAHINIAN

[INVESTIMENTI] [ECONOMIA] [ATTRATTIVITA’] [IMPRESA] [ESTERO]

Intervista per Economia della Marca Trevigiana n 05/2014
Il dott. Chahinian è autore delle rubriche l'”attrattività del sistema Treviso” – “l’Internazionalizzazione per uscire dalla crisi” – “Oltre la crisi” pubblicate sul portale economico della
Camera di Commercio di Treviso www.trevisobellunosystem.com, oltre che numerose pubblicazioni per Unioncamere del Veneto.
Con questa intervista abbiamo il piacere di approfondire la tematica degli investimenti esteri delle imprese. Per comprendere che cosa sono e che effetti hanno sull’economia del territorio.
Troverete degli utili abstract pensati per agevolare la lettura sul web e per rinviare all’approfondimento delle argomentazioni d’interesse.
1 – Dottor Chahinian, si parla molto di investimenti esteri, ma spesso senza chiarire il loro significato economico e gli effetti concreti che questi possono produrre. Ci può presentare in
merito qualche criterio di riferimento?
Abstract
L’investimento estero è molto importante e vantaggioso per la crescita del nostro Paese, se: è innovativo, cioè migliora la produttività e competitività delle imprese interessate;
è nuovo, ossia è aggiuntivo rispetto ad eventuali disinvestimenti correlati.
Nella realtà operativa ciò non sempre avviene, soprattutto nell’attuale periodo di crisi.
Innanzi tutto bisogna premettere che oggi esiste una estrema necessità di investimenti per uscire dalla crisi, dato il forte calo di questi ultimi anni. Ma occorrono investimenti convenienti,
ossia in grado di produrre un valore aggiunto sufficiente a remunerare il fattore lavoro ed il capitale investito (sia quello di credito, fornito per lo più dalle banche, sia quello di rischio,
fornito dall’imprenditore e da terzi investitori). Se ciò non avviene, si attuano investimenti ripetitivi, che perpetuano le nostre condizioni di scarsa produttività e di permanenza nella crisi.
Soltanto con l’investimento innovativo (ossia in grado di migliorare i costi e la qualità dei prodotti e servizi offerti) è possibile accrescere la produttività e la competitività e quindi siamo
in grado di uscire dalla crisi e di procedere verso un nuovo periodo di crescita. Altri interventi alternativi, che non tengano conto della validità dell’investimento (interventi monetari, di
stimolo della domanda aggregata od altro), possono sortire solo effetti limitati e temporanei.
A questo punto, ha poca importanza se l’investimento è estero oppure italiano, purché sia innovativo (anzi l’investimento italiano sarebbe preferibile in questo campo, perché rimarrebbe da noi
anche la remunerazione del capitale proprio). Ma siamo in tempi di crisi e la propensione interna all’investimento è molto bassa, quindi ben vengano anche gli investimenti esteri!
Chiarita questa condizione, bisogna precisarne un’altra: deve trattarsi di un nuovo investimento (al netto di eventuali disinvestimenti). In questo periodo di crisi, infatti, assistiamo per lo
più a scambi di pacchetti azionari e non ad aumenti di capitale, né a nuovi insediamenti di società straniere. In tal modo, l’attività rimane sempre quella: eventualmente muta (e potrebbe anche
migliorare, ma pure peggiorare), ma non cresce.
Soltanto se l’investimento straniero è aggiuntivo al capitale esistente, oppure se il ricavato di una cessione di capitale viene ulteriormente reinvestita in altre attività economiche, il
vantaggio è concreto (ma non sempre è così nell’attuale stato di crisi).
Infatti, nel 2010, ad esempio, il flusso degli investimenti esteri nel Veneto è risultato negativo (i disinvestimenti esteri hanno superato gli investimenti esteri). Fortunatamente, nel 2011 e
nel 2012 (i dati del 2013 sono in via di elaborazione) il saldo è risultato positivo, ma anche in questo caso non si hanno informazioni sugli eventuali reinvestimenti in altre attività economiche
delle cessioni di imprese italiane e pertanto non si può affermare con certezza che si tratta di maggiori investimenti nell’economia reale del nostro territorio.
2 – Ha senso parlare di attrattività di una provincia per gli investimenti esteri, o è necessario considerare l’attrattività a livello regionale e nazionale? E la nostra provincia può
considerarsi attrattiva?
Abstract
Ciascun livello territoriale ha le sue caratteristiche, che però subiscono l’influenza del sistema Paese, il quale agisce negativamente per molti aspetti ai fini dell’attrattività.
Tuttavia Treviso ed il Veneto avrebbero comunque parecchi motivi di attrazione per gli investimenti esteri. Ma tali caratteristiche non sono abbastanza conosciute.
Dopo quanto è stato sinora considerato, bisogna domandarsi cosa occorre per attrarre dall’estero “buoni” investimenti (cioè innovativi, produttivi e competitivi)?
Innanzi tutto, detti investimenti possono essere realizzati da multinazionali (o anche da PMI straniere) che posseggano buone tecnologie e metodi gestionali ed organizzativi avanzati, in grado di
conferire all’investimento quelle caratteristiche importanti di capitale umano e di innovazione. Ma allora, perché un’impresa estera tanto capace dovrebbe preferire l’investimento nel nostro
territorio, rispetto a quello in qualsiasi altra area del mondo? E qui entra in gioco il grado di attrattività, che ovviamente è diverso da territorio a territorio, ma anche da azienda ad azienda
all’interno di uno stesso territorio (se si intende investire in una unità già esistente).
Sorvolando sul concetto generale di attrattività (peraltro già illustrato e discusso nella serie di articoli sull’attrattività del sistema Treviso apparsi qualche anno fa in un’apposita rubrica
di www.trevisobellunosystem.com), qui è sufficiente precisare che si tratta di offrire ai potenziali investitori un contesto favorevole sotto l’aspetto delle risorse interne da utilizzare (umane
e finanziarie) e dal punto di vista delle economie esterne (effetti sull’attività di impresa prodotti dal contesto esterno).
A questo punto si può considerare che ciascun contesto (nazionale, regionale, provinciale, ma a volte anche distrettuale e comunale) hanno la possibilità di influire positivamente o negativamente
sui risultati dell’investimento programmato e quindi sull’attrattività del contesto per la sua realizzazione.
Iniziando dal nostro sistema-Paese, sono ben note le sue inefficienze e disfunzioni che ovviamente si riverberano negativamente sul suo grado di attrattività. Ma bisogna anche considerare la
favorevole reputazione che le nostre produzioni godono all’estero, soprattutto con il riconoscimento del made in Italy, cui recentemente si sono accostati altri aggettivi lusinghieri, quali
quelli delle “3 B” (bello, buono e ben fatto).
A livello della nostra regione sono meno sentite le esternalità negative dell’Italia (anche se non si possono sopprimere gli effetti disastrosi di una pressione fiscale eccessiva sulle imprese,
la carenza di servizi pubblici generali, quali la giustizia, ecc.). Ma è pure da osservare che il made in Veneto, pur essendo di fatto molto significativo, ancora non è abbastanza conosciuto a
livello globale.
Analogamente al Veneto, anche la provincia di Treviso ha buone capacità attrattive soprattutto nell’ampio settore manifatturiero, in cui sono diffuse ottime capacità imprenditoriali e lavorative,
che pure non sono abbastanza note nel vastissimo panorama delle attività internazionali.
Purtroppo non esistono statistiche di stock sugli investimenti esteri sotto il livello nazionale e quindi non possiamo sapere se la consistenza di tali investimenti è più o meno significativa a
livello locale (si conoscono soltanto i flussi annuali, che variano moltissimo nei diversi periodi), ma si può affermare che potenzialmente l’attrattività del Veneto e di Treviso è buona,
nonostante le gravi difficoltà del sistema nazionale e sebbene l’economia globale, con le sue generalizzazioni, se ne sia ancora poco accorta. In particolare, si possono riscontrare a livello
locale capacità del capitale umano (in termini di affezione, impegno, spirito collaborativo, flessibilità e saperi taciti), che possono più facilmente aprire la strada all’innovazione, in
presenza di saperi codificati ed avanzati propri delle multinazionali.
Le nostre PMI leader nei mercati internazionali sono una prova di corretto utilizzo di simbiosi delle capacità interne con le relazioni globali, oltre che la dimostrazione delle notevoli
innovazioni introdotte.
Purtroppo nelle statistiche ufficiali sull’innovazione e l’attrattività il Veneto non si presenta bene a livello europeo, a causa della limitata attuazione delle proprie eccellenze, compressa da
un sistema nazionale restrittivo e frustante. Eppure l’indagine Ocse Pisa denota tra i giovani una diffusione di competenze in materie linguistiche e matematiche ben superiore alla media europea.
Tutto ciò potrebbe indurre imprese straniere avanzate a programmare:
nuovi insediamenti locali, puntando sulle capacità lavorative del territorio;
nuovi investimenti in aumento del capitale delle imprese innovative esistenti (o con apposite joint venture), beneficiando così delle eccellenze imprenditoriali e tecniche locali;
l’acquisizione di imprese in crisi con buone potenzialità economiche, ma in difficoltà finanziarie, approfittando del loro prezzo attuale praticamente nullo, che potrebbe poi crescere
consistentemente con un adeguato piano di risanamento, offrendo così agli investitori opportunità di consistenti plusvalenze.
3 – Aeroporti, porti, interporti e ferrovie, insomma tutte le vie di comunicazione, hanno un ruolo nel sistema dell’attrattività? Altri fattori possono avere un ruolo rilevante per Treviso?
Abstract
Le infrastrutture di trasporto, anche se di buon livello, non sembrano sufficienti, in un’ottica di ripresa dell’economia, ad assicurare i fabbisogni di spostamento di persone e merci.
Altre infrastrutture economiche esistenti a livello locale presupporrebbero un potenziamento (e non una riduzione) delle attività delle Camere di commercio che per lo più le gestiscono.
Per questi motivi, il contesto futuro di economie esterne non potrà essere molto favorevole all’attrazione di investimenti dall’estero.
Come già accennato nella precedente risposta, il buon esito di un investimento dipende dalle risorse interne (lavoro e capitale) adeguate, ma anche dalle economie esterne. Quindi un’impresa
straniera, al pari di quella italiana, non ricerca soltanto il capitale umano ed il capitale fisico che promettano le migliori prestazioni, ma anche un favorevole contesto esterno all’impresa
(capitale sociale ed istituzioni).
Senza approfondire il complesso argomento, si può sintetizzare che una delle economie esterne, tra i fattori più importanti dello sviluppo delle attività economiche, è data dalle infrastrutture
(sia pubbliche che private), tra cui quelle di trasporto occupano un ruolo rilevante. Infatti, un efficiente ed efficace sistema di trasporti locali e ben collegati con le reti nazionali ed
internazionali facilita lo spostamento delle persone e delle merci in minore tempo e con minori costi. Ciò abbatte anche i costi di produzione e fa crescere il valore aggiunto di ogni
investimento a parità di risorse impiegate. Se quindi i trasporti in un territorio consentono un maggior valore aggiunto, ciò accresce l’attrattività per nuovi investimenti.
Il Veneto e Treviso godono di buone infrastrutture di trasporto, ma queste sono generalmente insufficienti alle esigenze di mobilità delle merci e delle persone, soprattutto se finirà l’attuale
periodo di crisi ed i traffici locali cresceranno sensibilmente. Ciò vale particolarmente per le opere stradali ed autostradali, che assorbono il maggior numero di spostamenti; meno assillante
appare il problema per porti, aeroporti ed interporti, ove semmai l’esigenza maggiore è quella di un loro migliore funzionamento sotto l’aspetto tecnologico ed organizzativo.
Ma le vie di comunicazione fisica non bastano più ed occorrono sempre più rilevanti ed avanzate comunicazioni telematiche, i cui effetti creano benefici economici ancora maggiori. In questo
campo dobbiamo constatare che la diffusione delle tecnologie informatiche e telematiche nelle nostre PMI è ancora abbastanza contenuta per quanto riguarda gli strumenti più evoluti e ciò non
incoraggia l’insediamento di imprese straniere. Ma soprattutto sono carenti le infrastrutture digitali e non sono realizzati i lavori per una maggiore copertura della banda larga ed ultralarga
(con la recente conversione in legge del decreto “Sblocca Italia” sono stati previsti nuovi stanziamenti in proposito, ma siamo ancora lontani dalle maggiori coperture già presenti in altri
Paesi europei e comunque dai livelli auspicabili).
Tra le altre infrastrutture economiche territoriali che possono rivestire un ruolo rilevante ai fini dell’attrazione di investimenti esteri, si possono citare: mercati e centri commerciali
all’ingrosso, fiere e mostre, borse merci, centri e laboratori di ricerca e di innovazione, centri direzionali e promozionali, centri congressuali, camere arbitrali, ecc.. Sono tutte strutture
la cui presenza e funzionalità possono orientare nuove scelte di insediamento nell’area.
Ma buona parte di queste infrastrutture sono state realizzate e vengono tuttora gestite dalla locale Camera di commercio competente. Pertanto, la recente legge di riduzione del diritto annuale
ed ancor più i previsti provvedimenti di ridimensionamento del sistema e delle attività camerali non solo comporteranno una minore disponibilità di infrastrutture e di servizi per le imprese
locali, ma anche inibiranno in futuro i nuovi investimenti stranieri in tutte le aree del Paese.
In conclusione si può sintetizzare che le infrastrutture, a causa della politica di austerità attualmente praticata, che penalizza molto anche gli interventi economici, non saranno in grado, in
prospettiva, di presentare un contesto attrattivo per l’investimento straniero.
4 – Treviso e il Veneto sono in grado di attivare soddisfacenti interventi all’estero?
Le istituzioni, che ruolo possono avere?
Ovviamente esistono anche flussi contrari di investimento all’estero di capitali italiani e locali.
Anche in questo campo sono necessarie alcune precisazioni per valutare gli effettivi benefici dell’operazione.
Se si tratta di nuovo investimento (delocalizzazione verticale), verrà attuata una nuova produzione in un Paese estero, accrescendo così i redditi di capitale del nostro imprenditore. Se invece
si trasferisce all’estero una produzione interna (delocalizzazione orizzontale), l’investimento non si modifica significativamente (può variare soltanto per costi di trasferimento e per oneri
diversi di localizzazione all’estero), ma si riducono i redditi di lavoro interni percepiti dai nostri lavoratori. In tali casi, quindi, l’operazione può essere vantaggiosa soltanto se la
delocalizzazione produce un incremento di competitività per l’azienda, che può derivare da una diminuzione di costi (soprattutto, ma non esclusivamente, di personale) e/o da un aumento di
ricavi (per espansione del mercato). Non sempre ciò si verifica e per questo si assiste anche a rilocalizzazioni di produzioni trasferite all’estero e poi rientrate per non sufficienti
risultati in termini di maggiore competitività.
Sulle decisioni di delocalizzazione influiscono in maniera determinante le carenti economie esterne offerte dal nostro contesto ed il grado di produttività delle nostre risorse umane in
relazione all’elevato costo del lavoro, come già osservato a proposito degli investimenti provenienti dall’estero.
Anche per i flussi verso l’estero non esistono dati di consistenza a livello regionale e provinciale. Sulla base soltanto di una rilevazione di flussi cumulati effettuata per il periodo
2008/2011 per il Veneto (v. il capitolo sugli investimenti diretti esteri di Veneto Internazionale 2012, pubblicato da Unioncamere Veneto) si può notare che nei primi anni della crisi la nostra
regione, come le altre maggiori regioni internazionalizzate, ha presentato un saldo in favore degli investimenti italiani all’estero (rispetto a quelli esteri in Italia). Ma se guardiamo alla
somma delle due consistenze (investimenti all’estero e dall’estero), che denota il grado di internazionalizzazione degli investimenti nell’economia, il dato registrato per il Veneto è stato di
oltre 5 miliardi di euro, superato da altre regioni più attive in questo campo (Lazio, Lombardia, Piemonte ed Emilia-Romagna). Si deve però osservare al riguardo che molti flussi in entrata ed
in uscita nella nostra regione si sono verificati precedentemente (negli anni Novanta e nei primi anni Duemila).
Per quanto riguarda le istituzioni, queste avrebbero il compito principale di supportare gli investimenti interni, ma anche quelli esteri, ovviamente con le attenzioni descritte in questa
intervista, per evitare che pure lodevoli sforzi promozionali producano effetti negativi.
In particolare, le istituzioni pubbliche dovrebbero favorire maggiormente l’internazionalizzazione (che è pur sempre un’innovazione di mercato) nell’ambito di una più convinta e concreta
politica industriale, anche se la domanda è bassa da parte delle imprese minori locali. Le istituzioni private (e soprattutto quelle a carattere associativo) dovrebbero invece puntare sulle
forme aggregative, per favorire notevolmente la formazione di consorzi, joint venture, reti, distretti, in grado di operare sempre più incisivamente a livello internazionale, non soltanto
commercialmente, ma pure con partenariati di diversi Paesi.
Abstract
Pervenendo ad una sintesi definitiva , si può osservare che:
è opportuno incrementare entrambi i flussi di investimenti (da e per l’estero), alle condizioni evidenziate, con una collaborazione fattiva tra operatori ed istituzioni (che recentemente è
stata pure prevista a livello nazionale), per ottenere vantaggi che soltanto gli investimenti interni non potrebbero assicurare;
esistono già promettenti potenzialità perché questo avvenga, soprattutto nelle caratteristiche delle nostre risorse umane interne in senso lato;
ma sono ancora inadeguate le economie esterne, che dovrebbero coadiuvare gli sforzi individuali in questa direzione, stimolando principalmente il capitale umano e l’innovazione, essenziali
per ogni politica di sviluppo.