Pasta pani dolci miele olio


Fonte: Atlante agroalimentare trevigiano, a cura di Camera di Commercio di Treviso – Belluno

5 Pasta pani e dolci miele olio

Bigoli (Pag. 80)

  • Origini e storia

Nello scenario settentrionale della pasta all’uovo il Veneto si segnala per una produzione di pasta trafilata lavorata con un torchio manuale, un tempo dotazione di ogni casa. Il formato più diffuso è quello dei bigoli, che hanno l’aspetto di grossi e ruvidi vermicelli. Molteplici le ricette, spesso collegate a ritualità di calendario. Nei giorni di magro, per esempio, il condimento era la semplice salsa ottenuta sciogliendo delle acciughe salate nell’olio d’oliva (bigoli co la sardea). Per la festa del Rosario — il 7 ottobre, molto sentita perché ricorda la vittoria di Lepanto sui Turchi – invece, sono di tradizione i bigoli con sugo d’anatra, che proprio in quel periodo e pronta per il mercato.

  • Caratteristiche
Nel termine “torchio” sono implicite due azioni: la torsione e la pressione. Per lavorare la pasta con questo attrezzo montato su un cavalletto si fa leva su un manubrio collegato a un pistone che forza la pasta attraverso una trafila dl bronzo. I bigoli richiedono un impasto piuttosto sostenuto di farina di grano tenero, uova, latte e sale, anche se per migliorare la tenuta alla cottura oggi si tende a usare una percentuale dl farina di grano duro. La lavorazione a freddo e l’asciugatura naturale danno alla pasta una consistenza inconfondibile.
RICETTA
Bigoli in salsa
400 g di bigoli
2 dl di olio extravergine d’oIiva
3 sarde salate
Sale

Pulite e diliscate le sarde. Scaldate Folio in un tegame e quando avrà raggiunto la giusta temperatura per friggere, adagiatevi le sarde e rosolatele per qualche minuto mescolando un poco. Nel frattempo cuocete l bigoli in abbondante acqua salata, scolateli e conditeli con il sugo alle sarde.

ACQUISTO
Pasta di produzione artigianale, si trova fresca in certi negozi di alimentari oppure in confezioni sotto vuoto a breve scadenza. Numerosi i ristoranti e gli agriturismi che la preparano quotidianamente.
STAGIONALITA’
Ogni occasione è buona per un piatto di bigoli e ogni stagione ha la sua ricetta tradizionale: con il ragù di coniglio in primavera; col tartufo nero d’estate; con i funghi in autunno; con le salse di selvaggina in inverno.
CONSERVAZIONE
I bigoli casalinghi sono per definizione una pasta fresca, prodotta al momento o con leggero anticipo sul consumo. Unico accorgimento perché nell’attesa non facciano massa è cospargerli con farina gialla.

Subioti all’ortiga (Pag. 81)

  • Origini e storia

Nella rassegna delle paste al torchio i bigoli, che hanno sezione cilindrica piena, hanno come controparte i subioti, sempre asezione cilindrica ma cava. II termine, difatti, rimanda al verbosupiàre, soffiare, e al sostantivo subiòlo, zufolo. Termine del tutto analogo è quello di ”gargati”, in uso nel Vicentino, con riferimento anche in questo caso a un cavo cilindrico, quello dellagola. I subiòti sono tubiformi e rigati, ma più rustici e consistentidei consueti maccheroncini, con doppio vantaggio nel trattenere il condimento sia nella cavità che in superficie.

  • Caratteristiche

Nella loro preparazione di base i subioti hanno Io stesso impasto dei bigoli; nella fase di torchiatura, invece, si usa un’apposita trafila, provvedendo a tagliarli in lunghezza di qualche centimetro non appena escono dall’attrezzo. Come condimento, una serie di robuste salse stagionali. Caratteristica del Trevigiano e invece la versione primaverile all’ortica, che si ottiene aggiungendo all’impasto una quantità di germogli apicali della pianta preventivamente lessati, strizzati e sminuzzati. Quel che ne risulta è una pasta verde, dal fine sapore erbaceo, che richiede un semplice condimento al burro e formaggio o salse comunque delicate.

RICETTA
Subioti all’ortiga con fonduta di moesin
350 g di subioti aII’ortiga
200 g di moesin di Fregona
200 g di panna fresca
grana padano grattugiato
sale
Fate bollire la panna a bagnomaria e aggiungetevi il moesin a cubetti facendo cuocere fine a quando sarà sciolto. Passate al frullatore e aggiustate di sale.
Cuocete i subioti in abbondante acqua salata, quando saranno al dente, scolateli e spadellateli infine con la fonduta di moesin. Serviteli spolverizzandoli con del grana grattugiato.
ACQUISTO
Pasta fresca di preparazione estemporanea a livello domestico o tutt’al più di botteghe di pastaio. E’ più probabile trovarli nei ristoranti e negli agriturismi nel periodo dei menù a base di erbe spontanee.
STAGIONALITA’
La particolarità del prodotto è data dalla componente vegetale dell’impasto. La raccolta dell’ortica è per lo più primaverile, quando i germogli apicali sono molto teneri. Per farne scorta, una volta cotti, vanno surgelati.
CONSERVAZIONE
I subioti sono una pasta fresca per definizione e l’aggiunta dell’ortica li rende ancor più deperibili. Si può surgelarli dopo averli sparsi su un vassoio, insacchettandoli una volta raggiunta la temperatura di conservazione.

Tajadee de Treviso al tardivo (Pag. 82)

  • Origini e storia

Nobilitare la pasta fresca — tagliatelle, bigoli o subioti — con ingredienti di stagione è tradizionale risorsa della cucina veneta. I pastifici industriali ricorrono a materia prima disidratata, ma anche a livello domestico, con prodotti freschi, si ottengono buoni risultati. Il Radicchio Rosso di Treviso, specie quello tardivo, di sapore più intenso, è tra le scelte più felici: la pasta che si ottiene ha un gusto amarognolo che ben si sposa a salse rustiche, ad esempio a base di sgranatura di salsiccia, fegatini di pollo e selvaggina.

  • Caratteristiche

La preparazione della pasta non si differenzia molto dalla procedura consueta, che ha la sua immagine d’avvio nella “fontana” di farina sulla spianatoia con le uova rotte al centro. Occorre solo prevedere l’aggiunta vegetale, compensando al momento l’aggiunta di sale e la quantità d’acqua per ottenere la consistenza opportuna. II radicchio, infatti, va aggiunto sotto forma di frullato, dopo averlo stufato con una piccola aggiunta di aceto perché il calore non faccia volgere il rosso della foglia troppo decisamente al marrone. Si tira la sfoglia, un po’ più spessa del solito per evitare strappi, e si tagliano delle fettucce di 3-4 cm di larghezza.

RICETTA
Tajadee de Treviso al tardivo con pancetta e ricotta affumicata
360 g di tajadee de Treviso al tardivo
50 g di pancetta
50 g di cipolla
ricotta affumicata
1/2 bicchiere di vino bianco
olio extravergine d’oIiva
sale e pepe
Mondate e tritate finemente la cipolla e soffriggetela in una padella con un velo d’olio; unite la pancetta, che avrete precedentemente tagliato a cubetti, e aggiustate di sale.
Cuocete le tagliatelle in abbondante acqua bollente e salata; scolatele ancora al dente e spadellatele con la pancetta, spolverizzando infine il tutto con la ricotta affumicata tagliata a julienne.
ACQUISTO
Le tajadee de Treviso al tardivo sono per lo più specialità delle botteghe di pastaio. Nella lunga stagione gastronomica del radicchio, tuttavia, è probabile trovarle citate anche nei menù di ristoranti e agriturismi.
STAGIONALITA’
Il mercato del Radicchio Rosso di Treviso tardivo inizia ufficialmente il primo dicembre e prosegue fino a primavera. La produzione di pasta avviene anche nel resto dell’anno grazie a scorte di materia prima surgelata.
CONSERVAZIONE
Oltre al radicchio precotto, possono essere surgelate anche le tagliatelle, con l’avvertenza di metterle in cella dopo averle distese su un vassoio e poi di riporle in un contenitore senza spezzarle troppo.

Bibanesi (Pag. 83)

  • Origini e storia

Il Veneto ha una forte tradizione nel campo del pane di lunga conservazione, riconducibile al tempo in cui la Serenissima fondava la propria ricchezza sui commerci marittimi e necessitava di derrate alimentari poco deperibili per le navigazioni di lungo corso. Alcune, come ad esempio il pane biscottato che, dopo la prima cottura veniva ripassato in forno per un’essiccazione che lo rendeva commestibile per un tempo pressoché indefinito. Ma oltre a questa tradizione veneta, vi e un’antica tradizione panificatoria che contempla la lavorazione manuale della pasta, tempi lunghissimi di lievitazione, assenza di additivi e conservanti usualmente utilizzati nel campo della panificazione proprio su questa tradizione ha fatto leva un’azienda trevigiana, la Da Re Spa di Bibano di Godega Sant’Urbano nel proporre un nuovo prodotto a metà strada tra il pane e i grissini. Trovano spiegazione in questo modo, sia l’origine del nome, Bibanesi, sottoposto a marchio registrato, sia la risposta di mercato, tanto incoraggiante da orientare in maniera definitive la produzione. L’azienda, tra i maggiori panifici del Nord-Est già nel dopoguerra, grazie a questa nuova linea compie un sostanziale salto di qualità, senza tuttavia rinunciare all’approccio artigianale della produzione.

  • Caratteristiche

I Bibanesi sono bocconcini di pane, friabili e croccanti, leggermente salati e secchi, con semi di sesamo in superficie. La forma è variabile, si riprova di una lavorazione ancora manuale; il colore è il giallo dorato, tendente al bronzato; il sapore è caratteristico. La qualità del prodotto si basa innanzitutto sull’accurata selezione delle materie prime — dalla farina all’olio extravergine d’oliva di provenienza nazionale — con esclusione di prodotti transgenici, conservanti o additivi. L’impasto subisce una lievitazione di 19-35 ore secondo il metodo a “lieviti lunghi”. Seguono la stiratura manuale della pasta e la cottura a bassa temperatura che assicura la consistenza che ha reso inconfondibile il prodotto. AI termine del ciclo si registra un tenore d’umidità interna molto ridotta (max 2,5%), fondamentale presupposto per la conservazione del prodotto, risultato al quale contribuisce anche l’impiego di olio extravergine d’oliva ad acidità molto contenuta.

ACQUISTO
Tanto popolari quanto imitati, i Bibanesi sono prodotto tutelato da marchio registrato, dunque riconducibili alla sola azienda Da Re, come risulta dal marchio e dalle scritte di legge riportate sulla confezione.
CONSERVAZIONE
La confezione, realizzata con materiale accoppiato a una barriera in alluminio da nove micron, mantiene la freschezza come sulla bocca del forno; poi, il segreto della durata nel tempo è nell’attenta selezione degli ingredienti e nella ridottissima percentuale di umidità presente nel prodotto.
ABBINAMENTO
Questi gustosi bocconcini di pane sono ideali nelle tante occasioni per ingannare la fame, dal tradizionale spuntino a base di formaggio o sopressa, a golosità di più raffinata concezione.

Pan biscotto (Pag. 84)

  • Origini e storia

Ai tempi della Repubblica di Venezia questo pane disidratato di lunga conservazione veniva imbarcato sulle navi di lungo corso. Era derrata così fondamentale alle sorti dello Stato da giustificare nel 1280 l’istituzione di un’apposita magistratura per sovrintendere alla sua produzione. Esigenza per certi versi analoga si aveva nelle contrade di campagna, al tempo in cui il pane veniva preparato nel forno comunitario ogni quindici giorni per sfruttare al meglio la gran quantità di legna richiesta dall’accensione. Riposto all’asciutto, il pan biscotto si conservava tal quale per mesi.

  • Caratteristiche
Tipico del Veneto di pianura, è un pane di varia forma che passa due volte in forno: la prima, per una parziale cottura, senza cioè che le pagnotte prendano colore e facciano crosta; la seconda, a temperatura minore e fino a 40 ore per ottenere una disidratazione che quasi ne dimazza il peso e lo rende friabile.
Gli ingredienti: farina di media forza, acqua, lievito di birra, olio extravergine d’oliva, sale. La lievitazione dura 4-5 ore. Per essere fedeli alla tradizione si dovrebbe usare lievito madre, ottenuto dall’impasto del giorno precedente, e come condimento lo strutto; e per la cottura, fuoco di legna.
RICETTA
Panada con chiodini
400 g di pan biscotto, 80 g di riso
2 l di brodo di carne
20 g di grana padano
2 uova, 2 g di noce moscata
0,2 dl di olio extravergine d’oliva
100 g di chiodini trifolati, sale

Rompete a pezzetti il pan biscotto e versacene tre quarti sul fondo di un tegame, unitevi il brodo e portate a ebollizione. Aggiungete quindi il riso e coprite il tutto con il rimanente pan biscotto tenuto da parte. Lasciate cuocere a fuoco dolce senza mai mescolare per circa un’ora, quando cioè il brodo si sarà ristretto. Trascorso questo tempo, mescolate velocemente, aggiustate di sale e mantecate con il grana grattugiato, la noce moscata, le uova e un filo di olio. Servite accompagnando con del chiodini trifolati.

ACQUISTO
Prodotto ancor oggi immancabile sui banchi di vendita dei panifici. Da segnalare, il numero sempre maggiore di agriturismi che producono in proprio pan biscotto cotto a legna, spesso con farine da agricoltura biologica.
STAGIONALITA’
Il pan biscotto è prodotto che non conosce calendario. Era sempre disponibile: per uno spuntino sui campi, con il formaggio o la sopressa; per intingerlo nel latte o nel vino; per far zuppa nel brodo; lo si mangiava perfino con l’anguria.
CONSERVAZIONE
Protetto nella sua confezione originaria, dura indefinitamente e al primo segno di stanchezza può essere destinato alla panà (o panada), ammollato in acqua o brodo e lasciato sobbollire, con un giro d’olio nella scodella.

Pan co’ a suca (Pag. 85)

  • Origini e storia

Le varietà tipiche della tradizione veneta sono la suca baruca, verde e bitorzoluta, conosciuta da tempo immemorabile, e la suca marina di Chioggia, giunta invece dalle Americhe, inconfondibile per le profonde costolature della buccia. A Venezia, ai tempi della Serenissima, veniva cotta in forno o sotto la cenere e offerta da venditori ambulanti in giro per le calli. La zucca però eccelleva nella preparazione di primi piatti. Minestre autunnali per eccellenza erano risi e suca e il minestron de suca. Un primo asciutto molto gustoso erano invece gli gnocchi de suca, con la polpa e la farina bianca a formare un impasto piuttosto molle da far colare nell’acqua bollente con l’aiuto di un cucchiaio.

  • Caratteristiche

Il sensibile contenuto zuccherino della polpa di zucca suggerisce anche l’uso per la preparazione di uno di quei dolci rustici che faceva la sua comparsa nei giorni di festa sulle tavole contadine. Il pane con la zucca è patrimonio che può dirsi regionale, ma con una zona di più sentita tradizione nel comuni della Pedemontana Trevigiana.

RICETTA
Pane co’ a suca
350 g di polpa di zucca cotta
500 g di farina, 2 uova, 90 g di zucchero, 40 g di lievito di birra
25 g di burro fuso freddo o appena tiepido
uvetta, 10 g di sale
Lavorate il lievito, precedentemente sciolto in acqua tiepida, con la polpa di zucca passata al setaccio, quindi unitevi, uno alla volta, tutti gli altri ingredienti. Dopo aver lavorato bene la pasta (per almeno 10 -15′), mettetela a lievitare in una terrina, coperta con un panno bagnato e strizzato, per 2 ore in luogo caldo. Rompete la lievitazione e aggiungetevi l’uvetta a piacere, lavorando ancora la pasta fino a quando farà le “bolle”. Ricoprite la teglia del forno con della carta oleata e adagiatevi 18 salsicciotti di pasta da 70 g ciascuno.
Lasciate lievitare ancora per 30′, quindi infornate a 180° per 20’, fino a quando il pane sarà bello dorato.
ACQUISTO
Prodotto stagionale di immediato reperimento, dalle botteghe alla grande distribuzione. A farne la più recente fortuna, la consapevolezza del suo elevato contenuto di carotene, sostanza vitaminica di riconosciute virtù salutari.
STAGIONALITA’
Le zucche giungono a maturazione a fine estate. Un tempo, accantonate in ambienti ventilati, rappresentavano una riserva alimentare sulla quale contare per tutto l’inverno, unico ortaggio che lo consentiva.
CONSERVAZIONE
La zucca, lasciata tal quale, si conserva a lungo in ambiente asciutto e arieggiato. Conveniente anche la surgelazione, dopo averla tagliata a spicchi e liberata di semi e scorza, ma anche a tocchetti già pronti all’uso.

Pan co’ l’ua

  • Origini e storia

Fin dall’antica Roma tradizione vuole che ogni vendemmia si concluda con una tavolata che riunisce quanti vi hanno partecipato, suggellando il momento di festa con un pan dolce o una focaccia arricchita con acini d’uva appena raccolta. Questa usanza, comune a tutte le regioni vinicole, ha generate in Veneto una produzione dolciaria — il pan co’ I’ua — che col tempo è diventata prerogativa costante di ogni forno, Bastava ricorrere all’uvetta secca, ingrediente importato dal Medio Oriente fin dal tempo della Repubblica di Venezia: dalla sultanina, piccola, dorata e senza semi, la più usata in cucina, alle pregiate varietà di Corinto e Smirne.

  • Caratteristiche

Vocazione enologica d’antica data e quotidianità commerciale con Venezia hanno fatto della Marca Trevigiana una delle zone di più: diffusa popolarità del pan co’ l’ua. Nelle case veniva preparato in forma di panetti oblunghi. Nei panifici Io si infornava a filoni o in cassetta, da affettare e vendere a peso. Le proporzioni ideali tra uvetta sultanina e farina bianca sono di uno a quattro più lievito, acqua e sale, ovviamente – ma anche zucchero e burro in discreta quantità perché quel pane possa definirsi dolce. Una spolverata di farina e si passa in forno.

RICETTA
Pan co’ l’ua
500 g di farina, 2 dl di latte, 10 g di zucchero
12 g di lievito di birra, 120 g di uvetta, zafferano, 1/2 tuorlo
5 g di sale
Mettete a bagno l’uvetta in acqua tiepida per un’ora circa. Nel frattempo mescolate la farina con Io zucchero, sciogliete il lievito nel latte tiepido con lo zafferano e aggiungeteli all’impasto mescolando.
Scolate l’uvetta, strizzatela e versatela nell’impasto assieme al sale, continuando a lavorarlo fino a quando risulterà morbido e liscio. Formate una palla e mettetela a lievitare in una terrina coperta con un canovaccio umido per 45’. Una volta lievitato, dividete l’impasto in palline dando loro la forma di piccoli panini. Disponetele abbastanza distanziate l’una dall’altra in una teglia con della carta da forno e fatele lievitare per altri 45′. Prima dl infornare spennellate la superficie dei panini con il rosso d’uovo e cuocete in forno a 200° per 20’.
ACQUISTO
Tipico prodotto da banco, immancabile nei panifici artigianali della provincia. Reperibile anche nelle strutture della grande distribuzione, sempre più spesso dotate di laboratori interni per il pane e la pasticceria.
STAGIONALITA’
Nessun vuoto di calendario, l’uva passa è prodotto di costante disponibilità. Semmai una certa preferenza di consumo è dettata dall’elevato contenuto energetico del dolce, che incoraggia all’acquisto in autunno e inverno.
CONSERVAZIONE
Il pane con l’uva dev’essere soffice nella pasta e umido negli acini che la costellano. Se la mollica s’asciuga – accade nel giro di qualche giorno – si rompe l’incantesimo. Da conservare in frigorifero nel suo involto di carta.

Pane di mais (Pag. 87)

  • Origini e storia

Si dice farina gialla e si pensa alla polenta, ma nella cucina contadina la farina di mais veniva impiegata anche per dare consistenza a minestre e quella di macinatura più fine, il cosiddetto “fioretto”, nella preparazione di biscotti, come gli zaleti veneziani, e dolci rustici, come la pinza, con aggiunta di mele a frutta secca. Notoriamente, tuttavia, non è farina adatta alla panificazione — ingloba poca acqua e lievita a fatica — ma poteva capitare che la si mischiasse con la più pregiata farina di frumento, quando questa scarseggiava, evenienza abbastanza frequente nelle contrade di mezza montagna, dove il granturco era l’unico cereale coltivabile.

  • Caratteristiche

Quel che in certe circostanze era dettato dalla ristrettezza, in altre potava assumere tutt’altro significato, soprattutto quando ci si accontentava di poco per fare festa. Ecco dunque che, impastando farina gialla e bianca, con lievito, sale e un poco di zucchero, si otteneva un pan dolce tanto semplice quanto gradevole da intingere nel vino, magari quel Clinto dal sapore volpino così popolare nella prima metà del Novecento. Un piacere, che resta inalterato passando dagli anni della povertà endemica a quelli del benessere diffuso e che si rinnova ancor oggi.

RICETTA

Pane di Mais

500 g di farina 00, 500 g di farina di mais fine

6,25 dl di acqua

10 g di lievito di birra

12 g di sale

5 gr di zucchero

1 dl di olio extravergine d’oliva

Sciogliete il lievito nell’ acqua e aggiungete nella planetaria le due farine. Dopo qualche minuto unite il sale e quindi l’olio. Continuate a impastare a mano e poi lasciate riposare l’impasto per 3 ore a temperature ambiente fino al raddoppio. Rompete la lievitazione, dividete l’impasto in sei parti, dando la forma di un filoncino a ogni pezzo di pasta e rimettete a riposare nel forno appena tiepido.

Dopo circa 2 ore infornateli a 210° per 20′, con una ciotolina di acqua per creare umidità.

ACQUISTO

Il pane di mais dolce è prodotto tipico alquanto estemporaneo. Può capitare di trovarlo sul banco di qualche panettiere nostalgico. Più probabile che venga riproposto nelle occasioni che hanno il granturco per protagonista.

STAGIONALITA’

La fine dell’estate è il momento della trebbiatura del mais e delle manifestazioni che la fanno rivivere in maniera folclorica. Tra le proposte di cornice, immancabile quelle di pasticceria a base di farina gialla.

CONSERVAZIONE

Il pane di mais dolce si conserva in uno di quei vecchi, cari barattoli di vetro a tenuta d’aria, che non dovrebbero mai mancare in una credenza; magari diventa secco, ma senza perdere le qualità di dolce da inzuppare.

Bussolai 
 Origini e storia
Ogni regione d’Italia ha un suo dolce a ciambella che si ispira al buccellatus medievale, pane dolce che i vassalli offrivano in segno di sottomissione al feudatario. La radice del termine è nel latino bucca, sottintendendo che l’omaggio le procurasse piacere. A Venezia si parla di bussolai e sono biscotti a forma di corona, preparati in occasione delle Cresime e infilati su nastri colorati a formare lunghe collane. Sono conosciuti anche come buranei perché specialità dell’isola di Burano e proprio per questo, grazie al collegamento fluviale del Sile, Treviso li ha acquisiti alla propria tradizione.
• Caratteristiche
Gli ingredienti sono quelli più consueti della dolciaria domestica farina bianca, burro, uova, zucchero e sale – con l’aggiunta però di una spruzzata di liquore all’anice, il cosiddetto “mistrà”, o anche di grappa. Una volta formate delle ciambelline da 5-6 cm di diametro, con un foro che permettesse poi di infilarle su un dito, occorreva aspettare un paio d’ore perché il lievito facesse effetto, prima della cottura in forno a temperatura moderata. Popolarissimi, hanno generato anche un proverbio: “Chi ga sàntoli, ga bussolai”, chi ha padrini ha biscotti, ovvero chi ha conoscenze altolocate ottiene favori.
RICETTA
Bussolai dolci
500 g di farina
300 g di zucchero
6 tuorli, 150g di burro
un pizzicotto di vaniglia, liquore all’anice
sale
Mescolate la farina con lo zucchero e un pizzico di sale e disponeteli a cono sulla spianatoia; versate al centro i tuorli d’uovo e lavorate a lungo con le mani, quindi unite il burro, il liquore all’anice e la vaniglia e continuate a lavorare con le mani fino a ottenere un impasto omogeneo, soffice ed elastico. Tirate la pasta a filoncini che taglierete in tronchetti del diametro di 1 cm circa, formando delle ciambelle del diametro di 6 – 7 cm o anche più, a piacere. Disponete le ciambelline cosi ottenute sulla placca del forno unta e infarinata e fatele cuocere in 1 forno a 180° fine a che non avranno preso un bel colore dorato.
ACQUISTO
Prodotto di immediato reperimento nella zona più sentita dalla tradizione, tra Venezia e Treviso: dai panifici artigianali, che spesso li producono in proprio, alla grande distribuzione, rifornita dall’ industria dolciaria.
STAGIONALITA’
La stagione delle Cresime è la primavera. Questo, dunque, è il tradizionale riferimento di calendario per la preparazione dei bussolai, anche se poi gli scaffali dei fornai non ne sono mai sprovvisti.
CONSERVAZIONE
I bussolai sono biscotti che si conservano a lungo nei caratteristici vasi di vetro a tenuta d’aria, ma anche secchi sono ideali per intingerli nel vino dolce. Più recenti, le confezioni in plastica, che assicurano analoga protezione.
Fregolotta
• Origini e storia
ln area padana si registrano varie produzioni di torte che rispondono al nome di “sbrisolona”, ”fregolotta’” e altri simili, preparate con una pasta frolla di notevole granulosità e dunque inclini alla briciola, come risalta nella prima denominazione, ovvero alla frégola, in dialetto veneto. L’origine di queste torte è contadina, come risalta anche dal frequente ricorso a farina gialla, ma la ricetta si nobilita nelle corti principesche, specie a Mantova, con ingredienti pregiati: mandorle, spezie e lo zucchero stesso. Nel Trevigiano la torta fregolotta è dolce che al giorno d’oggi si lega per lo più al nome di un’azienda di Castelfranco Veneto.
• Caratteristiche
E’ stato Angelo Zizzola ad aprire nel 1924 un forno da pane a Salvarosa, località castellana da allora nota anche per la trattoria contestualmente gestita assieme alla sorella Evelina. Tra le specialità della casa, una pasta frolla di nobile ricetta veneziana, eccezionalmente gradita quando bagnata da un Marzemino passito di Refrontolo o accompagnata da una crema di mascarpone profumata di cannella, altro antico retaggio veneziano.
Uno straordinario successo, che ha generato l’odierna realtà industriale, sempre in quel di Salvarosa, fedele alla tradizione artigianale della fregolotta.
RICETTA
Fregolotta
500 g di farina
150 g di zucchero, 3 uova
0,3 dl di panna fresca, burro
15 g di sale, scorza grattugiata di limone
Setacciate la farina con il sale e aggiungete Io zucchero e la scorza di limone. Ungete di burro una teglia larga e bassa e fatevi cadere le “fregole” di pasta che otterrete bagnando le dita della mano destra nella crema ottenuta mescolando le uova con la panna e appoggiandole poi sulla farina. Continuate fino a esaurimento della farina, sfregando tra loro le mani. Spianate le “fregole” nella teglia in modo da ottenere uno strato uniforme e infornate a 150° fino a quando la superficie del dolce risulterà di un bel colore dorato.
Lasciate intiepidire o anche raffreddare prima di sentire in tavola, magari decorando la fregolotta con delle mandorle intere.
ACQUISTO
La fregolotta è uno dei dolci più popolari della regione, proposta da molteplici aziende. Inconfondibile, nella confezione oggi semitrasparente, che lascia intravedere il contenuto.
STAGIONALITA’
Dolce che non conosce stagioni. Cambiano piuttosto gli abbinamenti: dalle creme, gradite nella stagione fredda, come uno zabaione tiepido, a un bicchierino di vino passito per rinfrescare la bocca in quella calda.
CONSERVAZIONE
La consistenza della fregolotta è fattore che ne agevola la conservazione. Chiusa nell’incarto a tenuta d’aria, è dolce con diversi mesi di vita a scaffale; una volta avviata al consumo, si mantiene senza problemi per una settimana.
Fugassa veneta (Pag. 90)
• Origini e storia
La fugassa è il dolce più caratteristico della tradizione contadina veneta. Tradizionalmente legata alla festività della Pasqua, in tempi relativamente vicini è diventata di consumo più frequente.
I nostri nonni la acquistavano per la domenica nella stessa bottega del pane. Farina, latte e uova; l’impasto era semplice ma ben lievitato e bastava un po’ di granella di zucchero come guarnizione per farne un dolce da bagnare nel vino di casa per allietare la tavola. Della fugassa esiste anche una versione nobile, la Veneziana, d’ingredienti più ricchi, profumata di vaniglia, con scorza di limone nell’impasto e mandorle sulla guarnizione.
• Caratteristiche
Nel termine fugassa si riconosce il latino focus, focolare, che rimanda all’ambiente del forno e probabilmente agli albori del Cristianesimo. La preparazione nasce in effetti fra le mura domestiche come momento significativo delle ritualità pasquali, ma nel tempo diventa prerogativa dei pistòri, i panettieri, perché la soffice alveatura che rende così gradevole la fugassa, così come la conosciamo oggi, richiede ripetuti impasti e ogni volta prolungata lievitazione. Insomma, un piccolo capolavoro che nei secoli s’è arricchito di qualche ingrediente, come la grappa, presenza discreta ma ormai costante.
RICETTA
Fugassa
500 g di farina, 150 g di burro ammorbidito, 150 g di zucchero,
150g di pasta da pane lievitata, la rapatura di 1 limone e di 1 arancia
1 bustina di vanillina, 10g di lievito di birra, 5 uova, latte, sale
per la glassa: 50g di mandorle dolci tritate, 50 g di zucchero in granella
Sciogliete il lievito in poco latte tiepido e lavoratelo assieme a 150 g di farina e alla pasta da pane. Coprite l’impasto e fate lievitare per un’ora. Unitevi altri 150 g di farina, 75 g di burro, due uova intere e un tuorlo e impastate per 10′. Coprite l’impasto e fate lievitare per un’altra ora. Unite tutti gli ingredienti e lavorate ancora con energia. Coprite l’impasto e fatelo lievitare per altri 90’. Rompete la lievitazione e lavorate l’impasto per qualche minuto, formando una palla. Trasferitelo in uno stampo di carta e incidetelo al centro. Sbattete a spuma l’albume avanzato, mescolatelo alle mandorle, e versate sulla fugassa. Ponete a lievitare per altri 40’, spolverate con la granella e infornate a 180° per circa 50′.
ACQUISTO
Dolce popolare per eccellenza, si acquista tanto dai fornai, i più fedeli alla semplicità delle origini, quanto nelle pasticcerie, le più inclini a versioni che non hanno nulla da invidiare alla ricchezza della veneziana.
STAGIONALITA’
Nonostante l’invenzione della colomba pasquale, la fugassa fa ancora la sua bella figura nel periodo che le è di tradizione. Ormai, comunque, la si produce senza badare troppo al calendario, tanto che è richiesta anche per Capodanno.
CONSERVAZIONE
Come tutti i dolci a lievitazione prolungata la fugassa è una campionessa di resistenza. Ben chiusa nel suo sacchetto – questo, il segreto – sorprende per freschezza anche a mesi di distanza dalla produzione.
Galani o Crostoli (Pag. 91)
• Origini e storia
Trattandosi di una frittella leggerissima, il termine ”crostolo’” non ha bisogno di spiegazioni. Incuriosisce piuttosto quello di “galano”, che potrebbe avere la stessa origine dell’aggettivo “galante” e riferirsi a una grazia che e un misto di bellezza e allegria, che poi è la stessa del sostantivo “gala”, perché simile a un nastro annodato. Entrambe queste interpretazioni troverebbero riscontro di calendario nel Carnevale di Venezia, tempo di morbide frittole, magari ripiene di crema pasticcera, ma anche di friabili galani, imbiancati di zucchero a velo. Da Venezia a Treviso il passo è breve, anzi brevissimo quando si tratta di cose
piacevoli, e questo chiude il cerchio della storia.
• Caratteristiche
Frittelle di questo genere, a dire il vero, sono presenti in ogni Carnevale. Gli ingredienti son sempre gli stessi — farina, uova, latte, burro, zucchero e scorza di limone — solo che in Toscana li chiamano “cenci” — evidente il parallelo anche nel nome — e ci aggiungono vin santo e in Veneto li chiamano galani e mettono un bicchierino di grappa. Tirato l’impasto a sfoglia e tagliato con la rotella, l’ultimo passaggio richiede olio da fritto sopraffino e mano capace di volgere in oro la frittella.
RICETTA
Crostoli
500 g di Farina, 200 g di zucchero
150 g di burro , 4 uova
1 bicchierino di grappa
sale, zucchero a velo
Versate le uova intere in una terrina, aggiungete lo zucchero e sbattetele fino a quando Io zucchero si sarà sciolto; unite il burro ammorbidito e diluite con la grappa. Aggiungete la farina e il sale e mescolate con grande cura fino a ottenere un impasto liscio e morbido. Lasciatelo riposare un po’, quindi cospargete sulla spianatoia della farina e tirate la pasta col matterello fino a ottenere una sfoglia sottilissima e senza sbavature. Tagliatela a losanghe nella misura voluta, servendovi dell’apposita rotellina dentata.
Fate friggere le losanghe nell’olio o strutto bollente, scolatele velocemente e cospargetele infine di zucchero a velo.
ACQUISTO
Tipiche frittelle da pasticceria, spesso presentate in vassoi dall’incarto trasparente.
L’industria non è da meno, offrendo anche crostoli preparati in forno per coloro che ritengono troppo ricchi quelli tradizionali.
STAGIONALITA’
Non c’è dubbio che l’appuntamento sia per Carnevale, ma in effetti si cominciano a vedere crostoli in giro subito dopo le feste di Natale, nella prospettiva di una coda che poi prende quasi tutta la Quaresima.
CONSERVAZIONE
La leggerezza gioca a favore della durata nel tempo. L’olio di frittura, però, non esclude che possano irrancidire. Protetti nel loro incarto, meglio se sigillato a prova d’aria, i crostoli sono dolci da conservare in credenza.
Pinza
• Origini e storia
La comprensione degli appellativi e interessante. Il termine “pinza” deriva dal latino pinsere, che sta per riempire con abbondanza, insomma una torta piena zeppa d’ingredienti.
• Caretteristiche
Ricetta di origine contadina: in origine l’impasto era a base di farina gialla; oggi si aggiunge anche una percentuale di bianca. Altri ingredienti: latte, burro, frutta secca, mele ridotte a pezzettini, un po’ di grappa. Un tempo la cottura avveniva sotto la cenere del camino, utilizzando un grosso coperchio metallico.
L’impiego di uvetta, fichi secchi e pinoli rimandano agli antichi commerci della Serenissima con il Levante. In origine piuttosto grossolana, oggi la pinza si è raffinata per l’impiego di farina di mais da dolci, il cosiddetto “fioretto”, a macinatura fine.
RICETTA
Pinza
100g di farina di frumento, 120g di farina di mais
1l di latte e acqua in parti uguali, 50g di uvetta, 50g di fichi secchi
50g di semi di finocchio, 100 g di zucchero, 50 g di strutto o burro
1/2 bicchierino di grappa, sale
Versate prima il sale e poi la farina gialla a pioggia in una casseruola con acqua e latte in ebollizione, tenendo sempre mescolato. Quando la polentina sarà quasi pronta (25′ circa), aggiungete Io zucchero, |’uvetta, i fichi secchi, i semi di finocchio, Io strutto ben sciolto e la grappa, badando che l’impasto risulti un po’ tenero, ma ben amalgamato.
Toglietelo dal fuoco e lasciatelo raffreddare, quindi aggiungete un po’ alla volta la farina di frumento, fino a raggiungere un buon impasto solido e consistente. Stendete l’impasto sulla placca da forno imburrata (dovrà essere alto circa 3 cm). Mettete in forno, a 180° per circa 40’.
Va gustata fredda.
ACQUISTO
Tipico prodotto da fornaio, preparato in teglie e venduto a riquadri. Ben rappresentata anche nelle trattorie e negli agriturismi più: attenti alla tradizione. Ideale bevanda, un Verduzzo amabile, ma anche passiti più titolati.
STAGIONALITA’
L’unico ingrediente vincolante, anche se non strettamente indispensabile, è la mela, ma al giorno d’oggi con la frutta che arriva da ogni latitudine, si passa da una stagione all’altra senza soluzione di continuità.
CONSERVAZIONE
Nel complesso non è dolce particolarmente deperibile e l’aggiunta di grappa aiuta. Tuttavia l’elevato contenuto d’umidità, che per un verso la mantiene fresca a lungo, dall’altro consiglia un consumo sollecito.
Tiramisù (Pag. 93)
• Origini e storia
La paternità di questo celeberrimo dolce al cucchiaio è rivendicata da Treviso e nella fattispecie dallo storico ristorante Le Beccherie, che nasce come bettola da zuppa di trippe e col tempo assurge a tempio della gastronomia cittadina. I più maliziosi hanno avanzato l’ipotesi che un dolce tanto calorico servisse a ritemprare quanti si dedicavano ad amorosi convegni nei postriboli della vicina Cae de Oro, ma si tratta solo di una nota di colore, anche perché i tempi non coincidono: il dolce nasce nel secondo dopoguerra, quando i bombardamenti del 1942 e la legge Merlin avevano cancellato il ricordo di quel vicolo del peccato.
• Caratteristiche
Beppe Maffioli, storico della cucina veneta, ha spostato la data di nascita del tiramisù negli anni Settanta attribuendone la paternità a Loli Linguanotto, allora chef pasticcere delle Beccherie, in collaborazione con Alba Campeol. Evidente fonte d’ispirazione, la zuppa inglese, sostituendo il liquore con il caffe. Per nome, un neologismo contratto alla veneta, tiramesù, con evidente riferimento al complesso tonico e calorico espresso dai biscotti savoiardi inzuppati nel caffè e dalla crema di mascarpone, uova e zucchero, senza dimenticare la spolverata finale di cacao. Per inciso, la forma canonica del tiramisù è circolare.
RICETTA
Tiramisù
6 tuorli
250 g di zucchero
500 g di mascarpone
30 savoiardi, caffè zuccherato
cacao amaro
Montate a spuma i tuorli con Io zucchero, poi unite il mascarpone fino a ottenere un composto morbido e cremoso.
In un piatto da portata o in un vassoio, meglio se rettangolare, disponete uno strato con metà dei savoiardi, bagnateli con il caffè fino a inzupparli completamente e spalmateli con metà del composto di uova e mascarpone; disponete un altro strato di savoiardi, ammorbiditeli con il caffè e ricopriteli con il rimanente composto cremoso. Spolverate con del cacao e riponete in frigorifero, togliendo solo al momento di servire.
ACQUISTO
II tiramisù ha seguito le orme della pizza, diventando uno dei prodotti italiani più globalizzati, con risultati talora aberranti. I veri santuari di questa specialità sono le pasticcerie e i ristoranti della Marca Trevigiana.
STAGIONALITA’
II notevole apporto di calorie di una porzione di tiramisù suggerirebbe di limitarne il consumo alle fredde giornate d’inverno, ma non c’è stagione che consenta di vincere la tentazione di un dolce così suadente.
CONSERVAZIONE
Preparate con il mascarpone, uno dei prodotti più ricchi e deperibili della casearia padana, il tiramisù va conservato rigorosamente in frigorifero e consumato nei ristretti tempi di scadenza di questo latticino.
Zaleti (Pag. 94)
• Origini e storia
Vuoi per i suoi celebri caffè, vuoi per i commerci con i paesi delle spezie, Venezia ha una fama senza uguali per la pasticceria e in particolar modo per i biscotti. I più raffinati sono i baìcoli, sottili e morbidi come lingue di gatto, da intingere nel rosolio; più caserecci sono invece gli zaleti che fin dal nome rivelano un impasto a base di farina gialla, con un’aggiunta di farina bianca che dipendeva dalle risorse di casa. I biscotti risultanti sono dei frollini che contrappongono la grana rustica della farina alla dolcezza del burro con il tocco in più dell’uvetta sultanina. Tradizione vuole che si consumino con un bicchierino di vino passito.
• Caratteristiche
Gli zaleti sono biscotti inconfondibili per forma, a losanga appuntita, e colore, il giallo della farina prevalente, sporcato dallo zucchero a velo di guarnizione. La ricetta ha molte varianti, perché questi biscotti hanno guadagnato terreno in terraferma di pari passo agli eserciti veneziani, diventando specialità regionale. Una delle più condivise, il rinvenimento dell’uvetta sultanina nella grappa. Tra le aggiunte aromatiche, scorza di limone ed essenza di vaniglia. In aggiunta o in alternativa all’uvetta, pinoli o giuggiole. Nel Trevigiano l’abbinamento di prassi è con il Torchiato di Fregona o il Marzemino di Refrontolo.
RICETTA
Zaleti
125g di farina di mais, 125 g di farina 00
100g di burro, 50g di uvetta
25 g di pinoli, 125 g di zucchero
3 tuorli d’uovo, sale
Setacciate assieme le due farine e formate la fontana, versatevi al centre il burro leggermente sciolto e un pizzico di sale, Montate i tuorli d’uovo con Io zucchero e versate anch’essi al centro della fontana.
Cominciate ad amalgamare gli ingredienti e a impastare energicamente; aggiungete quindi l’uvetta fatta precedentemente rinvenire in acqua (o grappa) e i pinoli. Impastate nuovamente il tutto formando dei rotoloni, che spezzerete e a cui darete la forma che desiderate (tradizionalmente ovale o romboidale. Imburrate la placca del forno e disponetevi i zaleti così ottenuti a una distanza regolare di circa 5 cm. Cuocete in forno preriscaldato a 170° per circa 15’.
ACQUISTO
Dolcetti di straordinaria popolarità, reperibili dai fornai in versione rustica e dalle pasticcerie nelle varianti più ricercate. Degna di nota anche la produzione industriale, che approda per lo più alla grande
distribuzione.
STAGIONALITA’
I zaleti sono i classici biscotti da credenza da tirar fuori alla prima buona occasione in inverno, proponendo una cioccolata in tazza; in estate, con un calice di vino passito a temperatura di cantina.
CONSERVAZIONE
Biscotti di facile conservazione, un tempo erano conservati nei classici barattoli di vetro o di latta da credenza. Oggi, confezionati in sacchetti, a tenuta d’aria, hanno tempi di scadenza di diversi mesi.
Zonclada (Pag. 95)
• Origini e storia
E’ torta dal nome singolare, che ha dato filo da torcere agli studiosi, senza peraltro svelare del tutto la propria origine potrebbe derivare dai verbi zoncar, riconducibile all’italiano tritare, o zontar, ovvero aggiungere, con riferimento alla ricchezza di ingredienti del ripieno, ma alcuni fanno anche notare l’assonanza con ganzega, vale a dire la baldoria che accompagnava ogni evento notevole, come ancor oggi la conclusione di una costruzione. Sia quel che sia, non c’è dubbio che fosse dolce degno d’essere regalato anche in occasioni ufficiali e di un apposito statuto del Comune di Treviso, nel 1313, per disciplinarne la preparazione.
• Caratteristiche
La lista degli ingredienti evoca gli scenari della pasticceria medievale. Nell’involucro di pasta frolla, un ripieno a base di ricotta (nelle versioni più fedeli alla tradizione, semolino, orzo o riso cotti nel latte o nella panna) con aggiunta di frutta secca (mandorle, uvetta, albicocche, fichi secchi, noci, pinoli) e candita (arancio), aromatizzata con scorza di limone grattugiata, cannella e grappa. L’aspetto è quello di una normale crostata, ma il gusto è fuori dal tempo, affine a quelli d’altri dolci d’epoca cortese, come la “spongata” emiliana.
RICETTA
Zonclada
500 g di ricatta, 100 g di miele o zucchero
50 g di uvetta, 50 g di cedro candito
40 g di burro fuso, 2 uova
1 cucchiaino di cannella in polvere
500 g di pasta frolla, burro per la tortiera
Versate in una terrina e amalgamate bene la ricotta, il miele (o lo zucchero), il burro ben ammorbidito, le uova intere, l’uvetta, il cedro a cubetti piccoli e la cannella.
Spianate la pasta frolla col matterello, foderate una tortiera internamente unta di burro e versatevi il composto precedentemente ottenuto.
Coprite con un disco di pasta frolla sul quale avrete praticato dei tagli a forma di stella o altro e infornate a calore medio per 30’.
Servite la zonclada tiepida o anche fredda.
ACQUISTO
Reperibile presso un numero molto limitato di pasticcerie ed esercizi cittadini. Un dolce da intenditori, si potrebbe dire, piuttosto singolare in una produzione dolciaria orientata per Io più ai prodotti cremosi.
STAGIONALITA’
Gli ingredienti sono svincolati da esigenze di calendario. Piuttosto, è la notevole carica d’energia generata dalla frutta secca a suggerire la proposta in chiave autunno-invernale.
CONSERVAZIONE
L’impiego di frutta conservata, zucchero e grappa assicura buon margine di conservazione fino a 15-20 giorni.
Miele del Grappa (Pag. 96)
• Origini e storia
L’apicoltura è una forma di allevamento molto antica, evoluta dal prelievo che l’uomo preistorico operava sui favi naturali.
Quanto risultava evidente già allora non era solo l’eccezionale potere energetico del miele ma anche le sue virtù terapeutiche.
Nella tradizione del Veneto, regione ricca di fioriture mellifere, l’apicoltura e un’attività che si tramanda ancor oggi di padre in figlio a complemento della cura dei campi, in particolare, nella zona del Monte Grappa e attivo un consorzio di circa 150 produttori, che in buona parte praticano l’apicoltura nomade, spostando gli alveari al seguito delle fioriture.
• Caratteristiche
Dai 150 metri della linea di contatto con la pianura ai 1775 metri di cima Grappa, questa è la fascia altimetrica che caratterizza l’apicoltura del massiccio. Le fioriture procedono di conseguenza; l’acacia nei primi boschi, il castagno e i prati dl collina dai 200 agli 800 metri; i pascoli e le praterie d’alta montagna oltre i mille metri. La produzione rispetta un disciplinare che prevede un’etichetta consortile e sigilli riportanti nome del produttore, luogo di raccolta, altitudine e tipo di miele. Da segnalare il recente abbinamento del miele con i formaggi, con particolare riferimento al morlacco del Grappa.
RICETTA
Budino di miele
200g di miele del Grappa, 0,5 ldi latte
6 uova, 20 g di zucchero vanigliato
1 bicchierino di rum
1 foglio di colla di pesce
In un pentolino fate scaldare il miele fino a quando diventerà liquido, poi fatelo sciogliere nel latte e aggiungetevi i tuorli d’uovo. Mescolate con cura fino ad amalgamare al meglio quindi unite ii rum e lo zucchero vanigliato.
Sciogliete in poca acqua la colla di pesce e intanto portate a bollore per qualche minuto il composto o scaldatelo bene a bagnomaria per una decina di minuti, tenendo mescolato perché non si formino dei grumi.
Lasciate raffreddare, aggiungete la colla di pesce, sempre mescolando, amalgamate e versate il budino in uno stampo imburrato che metterete in frigorifera fino al momento di servire.
ACQUISTO
Gli apicoltori del Grappa fanno vendita diretta ogni domenica a Crespano del Grappa, nella sede espositiva di piazza San Marco, ma riforniscono anche lo spaccio aziendale della Latteria Sociale di Cavaso del Tomba.
STAGIONALITA’
La disponibilità di miele d’annata procede con le rispettive fioriture. Di pari passo procedono gli abbinamenti: ricotta con miele di acacia; cagliata di morlacco al timo con miele di alta montagna; morlacco maturo con miele di castagno.
CONSERVAZIONE
Il miele non ha particolari esigenze, basta che non patisca eccessivi sbalzi di temperatura e sia protetto dalla luce diretta. Alle basse temperature può darsi che cristallizzi, diventando semisolido, ma senza venirne danneggiato.
Miele del Montello (Pag. 97)
• Origini e storia
Il Montello e la dorsale verdeggiante che s’innalza di poche centinaia di metri sulla pianura del Piave; un tempo ammantato da boschi di querce, fu tutelato dalla Serenissima per salvaguardare questa risorsa a beneficio delle costruzioni navali dell’Arsenale di Venezia; così, oculatamente gestito, e nonostante le notevoli spoliazioni avvenute tra Otto e Novecento, ha mantenuto fino ai giorni nostri una copertura arborea notevole e una flora interessante anche per quel che riguarda la produzione di miele.
• Caratteristiche
La specie arborea dominante e la robinia, che con la sua fioritura assicura la produzione di miele cosiddetto di acacia, poco più che bianco o paglierino, di sapore floreale. Pressoché contemporaneo e il millefiori primaverile, anch’esso chiaro e delicato, mentre più avanti il millefiori estivo risulta più intenso di colore e sapore perché influenzato dalla fioritura del castagno, che dà un prodotto monoflorale di colore ambrato e sapore balsamico, leggermente amarognolo. Di colore cupo e sapore meno dolce, è infine il miele di melata, che le api non producono da nettare, ma parassitando una “farfallina”, la Metcalfa, che metabolizza la linfa degli alberi, nella fattispecie querce.
RICETTA
Biscotti al miele
350g di farina, 720g di burro
700 g di miele del Montello, 120 g di zucchero di canna
la scorza grattugiata di un limone, 1 uovo
2-3 cucchiai di latte
Setacciate bene la farina, quindi aggiungetevi il burro fuso, il miele, Io zucchero di canna, la scorza di limone grattugiata, l’uovo e il latte.
Impastate bene il composto, lavoratelo almeno 10’ finché non sarà ben omogeneo, quindi stendete la pasta in modo da ricavarne una sfoglia di mezzo centimetro, date forma ai biscotti con degli stampini o tagliandoli a piccoli quadrati. Poneteli su una teglia rivestita di carta da forno e fate cuocere a 200° per 15′ circa.
ACQUISTO
Il miele del Montello si acquista per lo più dai produttori nei comuni d’origine – Crocetta del Montello, Giavera del Montello, Nervesa della Battaglia, Montebelluna, Volpago del Montello – presso la sede dell’Associazione Apicoltori di Belluno, Treviso e Venezia in località SS. Angeli a Nervesa della Battaglia e nelle botteghe di prodotti tipici.
STAGIONALITA’
Dalla primavera all’autunno il Montello, solcato da una ventina di strade forestali pressoché parallele, è tradizionale meta di scampagnate, durante le quali è facile fare acquisti della produzione più recente.
CONSERVAZIONE
Essendo composto per il 70% da zucchero, per lo più fruttosio, il miele non ha particolari problemi di conservazione, ma ciò non toglie che vada conservato adeguatamente, al riparo da calore e luce, e consumato nell’annata.
Olio extra vergine di oliva Veneto del Grappa Dop
• Origini e storia
Già nell’antichità l’olio d’oliva era prodotto di straordinaria importanza sia per significato simbolico che per valore economico. Nell’Antico Testamento leggiamo come venisse utilizzato per consacrare i re e ancora oggi rappresenta la discesa dello Spirito Santo sul credente nella Cresima e nell’unzione degli infermi. In passato era il principale combustibile da illuminazione, tant’è che si parla di olio “lampante”, ma anche un prodotto da farmacia, come base di unguenti e preparati ricostituenti.
Inoltre nella cucina dei secoli passati l’olio sostituiva lo strutto nel condimento delle verdure crude ed era indispensabile alla cucina dei giorni di magro, a partire dai popolari piatti di baccala. Per questa somma di motivi la Repubblica di Venezia, dopo aver incentivato l’olivicoltura nelle isole coloniali dello Ionio e dell’Egeo, promosse la coltivazione nei suoi possessi di terra ferma per porsi al riparo dalle incertezze del commercio marittimo e dalle interferenze delle potenze concorrenti, prima fra tutte Genova, altra grande produttrice. Già presente dall’età romana, l’olivo ha cosi guadagnato terreno ovunque il clima lo consentisse: attorno al lago di Garda innanzitutto, ma anche in altre varie zone collinari di clima adeguato. A questa distribuzione geografica corrispondono le odierne produzioni Dop <> e <>, quest’ultima con le seguenti sottodenominazioni: <>, tra Padova e Vicenza; <>, avente come centri di riferimento Bassano e Asolo.
• Caratteristiche
L’olivo e pianta mediterranea che e immediato associare ai paesaggi dell’Italia Meridionale, della Grecia e della Spagna, della Tunisia. Nel nostro paese, tuttavia, la sua fascia climatica sale a nord del 45° parallelo fino a ridosso delle Alpi. Si tratta di pochi luoghi privilegiati da particolari situazioni climatiche e tra questi spicca la Pedemontana del Monte Grappa, dove |’olivo occupa gran parte dei versanti esposti a sud. Il substrato, di origine glaciale, e un agglomerato compatto — sabbia, limo e argilla – che a contatto degli agenti atmosferici tende a sfaldarsi, risultando perfettamente confacente all’olivo. Quella che si verifica lungo questa fascia e una combinazione pedoclimatica tanto singolare quanto favorevole alla migliore qualità dell’olio, che s’arricchisce di particolari aromi, un po’ come accade per il vino prodotto in montagna; dando credito anche a quei produttori che riscontrano l’ulteriore vantaggio di una minore incidenza di malattie e parassiti delle piante, a partire dalla famigerata mosca olearia, a favore di una coltura che nei casi più favorevoli non richiede impiego di antiparassitari e prodotti chimici di sintesi.
Il disciplinare di produzione dell’olio extra vergine di oliva Veneto del Grappa Dop stabilisce innanzitutto il territorio di giurisdizione, che ha il suo nucleo nominale attorno al Monte Grappa, ma poi s’allarga verso ovest fino a Thiene e Breganze, e dall’altra, segue invece verso est le colline di Asolo, Valdobbiadene e Conegliano, dove l’olivo procede di pari passo al vigneto. Ulteriore specifica riguarda la composizione varietale, che prevede per almeno il 50 per cento Frantoio e Leccino, le cultivar nazionali più adatte ai climi freddi. A completare la rassegna, in termini di tipicità: Grignano, di origine veronese, che conferisce all’olio un certo aroma muschiato; Padanina e Leccio del Corno, anch’esse d’area triveneta; Pendolino e Maurino,
del Centro Italia. Ne risulta un olio che mediamente presenta colore verde, con modeste variazioni del giallo, profumo armonico inizialmente dotato di carica fruttata, con sentori maturi di pomodoro e mandorla in chiusura, sapore dolce con chiusura amarognola e piccante.
ACQUISTO
L’olio extra vergine di oliva Veneto del Grappa Dop si riconosce dal bollino Dop in etichetta.
Come riferimento, la Cooperativa Trevigiana Olivicoltori (Tapa Olearla), con punti vendita a Maser, Cavaso del Tomba e Vittorio Veneto.
STAGIONALITA’
L’olio novello, assaggiato alla soglia dal frantoio, è in uno stato di grazia che si esprime con un’intensità di aroma e sapore inconfondibili. Con il passare delle settimane, il profilo organolettico si acquieta verso toni più dolci.
CONSERVAZIONE

L’olio extra vergine d’oliva va consumato nell’anno di produzione, – diversamente, tende a perdere aromi e profumi – tenendo inoltre presente che teme le temperature elevate, la luce intensa e l’ossidazione derivante dal contatto con l’aria.Fonte: Atlante agroalimentare trevigiano, a cura di Camera di Commercio di Treviso – Belluno

5 Pasta pani e dolci miele olio

Bigoli (Pag. 80)

  • Origini e storia

Nello scenario settentrionale della pasta all’uovo il Veneto si segnala per una produzione di pasta trafilata lavorata con un torchio manuale, un tempo dotazione di ogni casa. Il formato più diffuso è quello dei bigoli, che hanno l’aspetto di grossi e ruvidi vermicelli. Molteplici le ricette, spesso collegate a ritualità di calendario. Nei giorni di magro, per esempio, il condimento era la semplice salsa ottenuta sciogliendo delle acciughe salate nell’olio d’oliva (bigoli co la sardea). Per la festa del Rosario — il 7 ottobre, molto sentita perché ricorda la vittoria di Lepanto sui Turchi – invece, sono di tradizione i bigoli con sugo d’anatra, che proprio in quel periodo e pronta per il mercato.

  • Caratteristiche
Nel termine “torchio” sono implicite due azioni: la torsione e la pressione. Per lavorare la pasta con questo attrezzo montato su un cavalletto si fa leva su un manubrio collegato a un pistone che forza la pasta attraverso una trafila dl bronzo. I bigoli richiedono un impasto piuttosto sostenuto di farina di grano tenero, uova, latte e sale, anche se per migliorare la tenuta alla cottura oggi si tende a usare una percentuale dl farina di grano duro. La lavorazione a freddo e l’asciugatura naturale danno alla pasta una consistenza inconfondibile.
RICETTA
Bigoli in salsa
400 g di bigoli
2 dl di olio extravergine d’oIiva
3 sarde salate
Sale

Pulite e diliscate le sarde. Scaldate Folio in un tegame e quando avrà raggiunto la giusta temperatura per friggere, adagiatevi le sarde e rosolatele per qualche minuto mescolando un poco. Nel frattempo cuocete l bigoli in abbondante acqua salata, scolateli e conditeli con il sugo alle sarde.

ACQUISTO
Pasta di produzione artigianale, si trova fresca in certi negozi di alimentari oppure in confezioni sotto vuoto a breve scadenza. Numerosi i ristoranti e gli agriturismi che la preparano quotidianamente.
STAGIONALITA’
Ogni occasione è buona per un piatto di bigoli e ogni stagione ha la sua ricetta tradizionale: con il ragù di coniglio in primavera; col tartufo nero d’estate; con i funghi in autunno; con le salse di selvaggina in inverno.
CONSERVAZIONE
I bigoli casalinghi sono per definizione una pasta fresca, prodotta al momento o con leggero anticipo sul consumo. Unico accorgimento perché nell’attesa non facciano massa è cospargerli con farina gialla.

Subioti all’ortiga (Pag. 81)

  • Origini e storia

Nella rassegna delle paste al torchio i bigoli, che hanno sezione cilindrica piena, hanno come controparte i subioti, sempre asezione cilindrica ma cava. II termine, difatti, rimanda al verbosupiàre, soffiare, e al sostantivo subiòlo, zufolo. Termine del tutto analogo è quello di ”gargati”, in uso nel Vicentino, con riferimento anche in questo caso a un cavo cilindrico, quello dellagola. I subiòti sono tubiformi e rigati, ma più rustici e consistentidei consueti maccheroncini, con doppio vantaggio nel trattenere il condimento sia nella cavità che in superficie.

  • Caratteristiche

Nella loro preparazione di base i subioti hanno Io stesso impasto dei bigoli; nella fase di torchiatura, invece, si usa un’apposita trafila, provvedendo a tagliarli in lunghezza di qualche centimetro non appena escono dall’attrezzo. Come condimento, una serie di robuste salse stagionali. Caratteristica del Trevigiano e invece la versione primaverile all’ortica, che si ottiene aggiungendo all’impasto una quantità di germogli apicali della pianta preventivamente lessati, strizzati e sminuzzati. Quel che ne risulta è una pasta verde, dal fine sapore erbaceo, che richiede un semplice condimento al burro e formaggio o salse comunque delicate.

RICETTA
Subioti all’ortiga con fonduta di moesin
350 g di subioti aII’ortiga
200 g di moesin di Fregona
200 g di panna fresca
grana padano grattugiato
sale
Fate bollire la panna a bagnomaria e aggiungetevi il moesin a cubetti facendo cuocere fine a quando sarà sciolto. Passate al frullatore e aggiustate di sale.
Cuocete i subioti in abbondante acqua salata, quando saranno al dente, scolateli e spadellateli infine con la fonduta di moesin. Serviteli spolverizzandoli con del grana grattugiato.
ACQUISTO
Pasta fresca di preparazione estemporanea a livello domestico o tutt’al più di botteghe di pastaio. E’ più probabile trovarli nei ristoranti e negli agriturismi nel periodo dei menù a base di erbe spontanee.
STAGIONALITA’
La particolarità del prodotto è data dalla componente vegetale dell’impasto. La raccolta dell’ortica è per lo più primaverile, quando i germogli apicali sono molto teneri. Per farne scorta, una volta cotti, vanno surgelati.
CONSERVAZIONE
I subioti sono una pasta fresca per definizione e l’aggiunta dell’ortica li rende ancor più deperibili. Si può surgelarli dopo averli sparsi su un vassoio, insacchettandoli una volta raggiunta la temperatura di conservazione.

Tajadee de Treviso al tardivo (Pag. 82)

  • Origini e storia

Nobilitare la pasta fresca — tagliatelle, bigoli o subioti — con ingredienti di stagione è tradizionale risorsa della cucina veneta. I pastifici industriali ricorrono a materia prima disidratata, ma anche a livello domestico, con prodotti freschi, si ottengono buoni risultati. Il Radicchio Rosso di Treviso, specie quello tardivo, di sapore più intenso, è tra le scelte più felici: la pasta che si ottiene ha un gusto amarognolo che ben si sposa a salse rustiche, ad esempio a base di sgranatura di salsiccia, fegatini di pollo e selvaggina.

  • Caratteristiche

La preparazione della pasta non si differenzia molto dalla procedura consueta, che ha la sua immagine d’avvio nella “fontana” di farina sulla spianatoia con le uova rotte al centro. Occorre solo prevedere l’aggiunta vegetale, compensando al momento l’aggiunta di sale e la quantità d’acqua per ottenere la consistenza opportuna. II radicchio, infatti, va aggiunto sotto forma di frullato, dopo averlo stufato con una piccola aggiunta di aceto perché il calore non faccia volgere il rosso della foglia troppo decisamente al marrone. Si tira la sfoglia, un po’ più spessa del solito per evitare strappi, e si tagliano delle fettucce di 3-4 cm di larghezza.

RICETTA
Tajadee de Treviso al tardivo con pancetta e ricotta affumicata
360 g di tajadee de Treviso al tardivo
50 g di pancetta
50 g di cipolla
ricotta affumicata
1/2 bicchiere di vino bianco
olio extravergine d’oIiva
sale e pepe
Mondate e tritate finemente la cipolla e soffriggetela in una padella con un velo d’olio; unite la pancetta, che avrete precedentemente tagliato a cubetti, e aggiustate di sale.
Cuocete le tagliatelle in abbondante acqua bollente e salata; scolatele ancora al dente e spadellatele con la pancetta, spolverizzando infine il tutto con la ricotta affumicata tagliata a julienne.
ACQUISTO
Le tajadee de Treviso al tardivo sono per lo più specialità delle botteghe di pastaio. Nella lunga stagione gastronomica del radicchio, tuttavia, è probabile trovarle citate anche nei menù di ristoranti e agriturismi.
STAGIONALITA’
Il mercato del Radicchio Rosso di Treviso tardivo inizia ufficialmente il primo dicembre e prosegue fino a primavera. La produzione di pasta avviene anche nel resto dell’anno grazie a scorte di materia prima surgelata.
CONSERVAZIONE
Oltre al radicchio precotto, possono essere surgelate anche le tagliatelle, con l’avvertenza di metterle in cella dopo averle distese su un vassoio e poi di riporle in un contenitore senza spezzarle troppo.

Bibanesi (Pag. 83)

  • Origini e storia

Il Veneto ha una forte tradizione nel campo del pane di lunga conservazione, riconducibile al tempo in cui la Serenissima fondava la propria ricchezza sui commerci marittimi e necessitava di derrate alimentari poco deperibili per le navigazioni di lungo corso. Alcune, come ad esempio il pane biscottato che, dopo la prima cottura veniva ripassato in forno per un’essiccazione che lo rendeva commestibile per un tempo pressoché indefinito. Ma oltre a questa tradizione veneta, vi e un’antica tradizione panificatoria che contempla la lavorazione manuale della pasta, tempi lunghissimi di lievitazione, assenza di additivi e conservanti usualmente utilizzati nel campo della panificazione proprio su questa tradizione ha fatto leva un’azienda trevigiana, la Da Re Spa di Bibano di Godega Sant’Urbano nel proporre un nuovo prodotto a metà strada tra il pane e i grissini. Trovano spiegazione in questo modo, sia l’origine del nome, Bibanesi, sottoposto a marchio registrato, sia la risposta di mercato, tanto incoraggiante da orientare in maniera definitive la produzione. L’azienda, tra i maggiori panifici del Nord-Est già nel dopoguerra, grazie a questa nuova linea compie un sostanziale salto di qualità, senza tuttavia rinunciare all’approccio artigianale della produzione.

  • Caratteristiche

I Bibanesi sono bocconcini di pane, friabili e croccanti, leggermente salati e secchi, con semi di sesamo in superficie. La forma è variabile, si riprova di una lavorazione ancora manuale; il colore è il giallo dorato, tendente al bronzato; il sapore è caratteristico. La qualità del prodotto si basa innanzitutto sull’accurata selezione delle materie prime — dalla farina all’olio extravergine d’oliva di provenienza nazionale — con esclusione di prodotti transgenici, conservanti o additivi. L’impasto subisce una lievitazione di 19-35 ore secondo il metodo a “lieviti lunghi”. Seguono la stiratura manuale della pasta e la cottura a bassa temperatura che assicura la consistenza che ha reso inconfondibile il prodotto. AI termine del ciclo si registra un tenore d’umidità interna molto ridotta (max 2,5%), fondamentale presupposto per la conservazione del prodotto, risultato al quale contribuisce anche l’impiego di olio extravergine d’oliva ad acidità molto contenuta.

ACQUISTO
Tanto popolari quanto imitati, i Bibanesi sono prodotto tutelato da marchio registrato, dunque riconducibili alla sola azienda Da Re, come risulta dal marchio e dalle scritte di legge riportate sulla confezione.
CONSERVAZIONE
La confezione, realizzata con materiale accoppiato a una barriera in alluminio da nove micron, mantiene la freschezza come sulla bocca del forno; poi, il segreto della durata nel tempo è nell’attenta selezione degli ingredienti e nella ridottissima percentuale di umidità presente nel prodotto.
ABBINAMENTO
Questi gustosi bocconcini di pane sono ideali nelle tante occasioni per ingannare la fame, dal tradizionale spuntino a base di formaggio o sopressa, a golosità di più raffinata concezione.

Pan biscotto (Pag. 84)

  • Origini e storia

Ai tempi della Repubblica di Venezia questo pane disidratato di lunga conservazione veniva imbarcato sulle navi di lungo corso. Era derrata così fondamentale alle sorti dello Stato da giustificare nel 1280 l’istituzione di un’apposita magistratura per sovrintendere alla sua produzione. Esigenza per certi versi analoga si aveva nelle contrade di campagna, al tempo in cui il pane veniva preparato nel forno comunitario ogni quindici giorni per sfruttare al meglio la gran quantità di legna richiesta dall’accensione. Riposto all’asciutto, il pan biscotto si conservava tal quale per mesi.

  • Caratteristiche
Tipico del Veneto di pianura, è un pane di varia forma che passa due volte in forno: la prima, per una parziale cottura, senza cioè che le pagnotte prendano colore e facciano crosta; la seconda, a temperatura minore e fino a 40 ore per ottenere una disidratazione che quasi ne dimazza il peso e lo rende friabile.
Gli ingredienti: farina di media forza, acqua, lievito di birra, olio extravergine d’oliva, sale. La lievitazione dura 4-5 ore. Per essere fedeli alla tradizione si dovrebbe usare lievito madre, ottenuto dall’impasto del giorno precedente, e come condimento lo strutto; e per la cottura, fuoco di legna.
RICETTA
Panada con chiodini
400 g di pan biscotto, 80 g di riso
2 l di brodo di carne
20 g di grana padano
2 uova, 2 g di noce moscata
0,2 dl di olio extravergine d’oliva
100 g di chiodini trifolati, sale

Rompete a pezzetti il pan biscotto e versacene tre quarti sul fondo di un tegame, unitevi il brodo e portate a ebollizione. Aggiungete quindi il riso e coprite il tutto con il rimanente pan biscotto tenuto da parte. Lasciate cuocere a fuoco dolce senza mai mescolare per circa un’ora, quando cioè il brodo si sarà ristretto. Trascorso questo tempo, mescolate velocemente, aggiustate di sale e mantecate con il grana grattugiato, la noce moscata, le uova e un filo di olio. Servite accompagnando con del chiodini trifolati.

ACQUISTO
Prodotto ancor oggi immancabile sui banchi di vendita dei panifici. Da segnalare, il numero sempre maggiore di agriturismi che producono in proprio pan biscotto cotto a legna, spesso con farine da agricoltura biologica.
STAGIONALITA’
Il pan biscotto è prodotto che non conosce calendario. Era sempre disponibile: per uno spuntino sui campi, con il formaggio o la sopressa; per intingerlo nel latte o nel vino; per far zuppa nel brodo; lo si mangiava perfino con l’anguria.
CONSERVAZIONE
Protetto nella sua confezione originaria, dura indefinitamente e al primo segno di stanchezza può essere destinato alla panà (o panada), ammollato in acqua o brodo e lasciato sobbollire, con un giro d’olio nella scodella.

Pan co’ a suca (Pag. 85)

  • Origini e storia

Le varietà tipiche della tradizione veneta sono la suca baruca, verde e bitorzoluta, conosciuta da tempo immemorabile, e la suca marina di Chioggia, giunta invece dalle Americhe, inconfondibile per le profonde costolature della buccia. A Venezia, ai tempi della Serenissima, veniva cotta in forno o sotto la cenere e offerta da venditori ambulanti in giro per le calli. La zucca però eccelleva nella preparazione di primi piatti. Minestre autunnali per eccellenza erano risi e suca e il minestron de suca. Un primo asciutto molto gustoso erano invece gli gnocchi de suca, con la polpa e la farina bianca a formare un impasto piuttosto molle da far colare nell’acqua bollente con l’aiuto di un cucchiaio.

  • Caratteristiche

Il sensibile contenuto zuccherino della polpa di zucca suggerisce anche l’uso per la preparazione di uno di quei dolci rustici che faceva la sua comparsa nei giorni di festa sulle tavole contadine. Il pane con la zucca è patrimonio che può dirsi regionale, ma con una zona di più sentita tradizione nel comuni della Pedemontana Trevigiana.

RICETTA
Pane co’ a suca
350 g di polpa di zucca cotta
500 g di farina, 2 uova, 90 g di zucchero, 40 g di lievito di birra
25 g di burro fuso freddo o appena tiepido
uvetta, 10 g di sale
Lavorate il lievito, precedentemente sciolto in acqua tiepida, con la polpa di zucca passata al setaccio, quindi unitevi, uno alla volta, tutti gli altri ingredienti. Dopo aver lavorato bene la pasta (per almeno 10 -15′), mettetela a lievitare in una terrina, coperta con un panno bagnato e strizzato, per 2 ore in luogo caldo. Rompete la lievitazione e aggiungetevi l’uvetta a piacere, lavorando ancora la pasta fino a quando farà le “bolle”. Ricoprite la teglia del forno con della carta oleata e adagiatevi 18 salsicciotti di pasta da 70 g ciascuno.
Lasciate lievitare ancora per 30′, quindi infornate a 180° per 20’, fino a quando il pane sarà bello dorato.
ACQUISTO
Prodotto stagionale di immediato reperimento, dalle botteghe alla grande distribuzione. A farne la più recente fortuna, la consapevolezza del suo elevato contenuto di carotene, sostanza vitaminica di riconosciute virtù salutari.
STAGIONALITA’
Le zucche giungono a maturazione a fine estate. Un tempo, accantonate in ambienti ventilati, rappresentavano una riserva alimentare sulla quale contare per tutto l’inverno, unico ortaggio che lo consentiva.
CONSERVAZIONE
La zucca, lasciata tal quale, si conserva a lungo in ambiente asciutto e arieggiato. Conveniente anche la surgelazione, dopo averla tagliata a spicchi e liberata di semi e scorza, ma anche a tocchetti già pronti all’uso.

Pan co’ l’ua

  • Origini e storia

Fin dall’antica Roma tradizione vuole che ogni vendemmia si concluda con una tavolata che riunisce quanti vi hanno partecipato, suggellando il momento di festa con un pan dolce o una focaccia arricchita con acini d’uva appena raccolta. Questa usanza, comune a tutte le regioni vinicole, ha generate in Veneto una produzione dolciaria — il pan co’ I’ua — che col tempo è diventata prerogativa costante di ogni forno, Bastava ricorrere all’uvetta secca, ingrediente importato dal Medio Oriente fin dal tempo della Repubblica di Venezia: dalla sultanina, piccola, dorata e senza semi, la più usata in cucina, alle pregiate varietà di Corinto e Smirne.

  • Caratteristiche

Vocazione enologica d’antica data e quotidianità commerciale con Venezia hanno fatto della Marca Trevigiana una delle zone di più: diffusa popolarità del pan co’ l’ua. Nelle case veniva preparato in forma di panetti oblunghi. Nei panifici Io si infornava a filoni o in cassetta, da affettare e vendere a peso. Le proporzioni ideali tra uvetta sultanina e farina bianca sono di uno a quattro più lievito, acqua e sale, ovviamente – ma anche zucchero e burro in discreta quantità perché quel pane possa definirsi dolce. Una spolverata di farina e si passa in forno.

RICETTA
Pan co’ l’ua
500 g di farina, 2 dl di latte, 10 g di zucchero
12 g di lievito di birra, 120 g di uvetta, zafferano, 1/2 tuorlo
5 g di sale
Mettete a bagno l’uvetta in acqua tiepida per un’ora circa. Nel frattempo mescolate la farina con Io zucchero, sciogliete il lievito nel latte tiepido con lo zafferano e aggiungeteli all’impasto mescolando.
Scolate l’uvetta, strizzatela e versatela nell’impasto assieme al sale, continuando a lavorarlo fino a quando risulterà morbido e liscio. Formate una palla e mettetela a lievitare in una terrina coperta con un canovaccio umido per 45’. Una volta lievitato, dividete l’impasto in palline dando loro la forma di piccoli panini. Disponetele abbastanza distanziate l’una dall’altra in una teglia con della carta da forno e fatele lievitare per altri 45′. Prima dl infornare spennellate la superficie dei panini con il rosso d’uovo e cuocete in forno a 200° per 20’.
ACQUISTO
Tipico prodotto da banco, immancabile nei panifici artigianali della provincia. Reperibile anche nelle strutture della grande distribuzione, sempre più spesso dotate di laboratori interni per il pane e la pasticceria.
STAGIONALITA’
Nessun vuoto di calendario, l’uva passa è prodotto di costante disponibilità. Semmai una certa preferenza di consumo è dettata dall’elevato contenuto energetico del dolce, che incoraggia all’acquisto in autunno e inverno.
CONSERVAZIONE
Il pane con l’uva dev’essere soffice nella pasta e umido negli acini che la costellano. Se la mollica s’asciuga – accade nel giro di qualche giorno – si rompe l’incantesimo. Da conservare in frigorifero nel suo involto di carta.

Pane di mais (Pag. 87)

  • Origini e storia

Si dice farina gialla e si pensa alla polenta, ma nella cucina contadina la farina di mais veniva impiegata anche per dare consistenza a minestre e quella di macinatura più fine, il cosiddetto “fioretto”, nella preparazione di biscotti, come gli zaleti veneziani, e dolci rustici, come la pinza, con aggiunta di mele a frutta secca. Notoriamente, tuttavia, non è farina adatta alla panificazione — ingloba poca acqua e lievita a fatica — ma poteva capitare che la si mischiasse con la più pregiata farina di frumento, quando questa scarseggiava, evenienza abbastanza frequente nelle contrade di mezza montagna, dove il granturco era l’unico cereale coltivabile.

  • Caratteristiche

Quel che in certe circostanze era dettato dalla ristrettezza, in altre potava assumere tutt’altro significato, soprattutto quando ci si accontentava di poco per fare festa. Ecco dunque che, impastando farina gialla e bianca, con lievito, sale e un poco di zucchero, si otteneva un pan dolce tanto semplice quanto gradevole da intingere nel vino, magari quel Clinto dal sapore volpino così popolare nella prima metà del Novecento. Un piacere, che resta inalterato passando dagli anni della povertà endemica a quelli del benessere diffuso e che si rinnova ancor oggi.

RICETTA

Pane di Mais

500 g di farina 00, 500 g di farina di mais fine

6,25 dl di acqua

10 g di lievito di birra

12 g di sale

5 gr di zucchero

1 dl di olio extravergine d’oliva

Sciogliete il lievito nell’ acqua e aggiungete nella planetaria le due farine. Dopo qualche minuto unite il sale e quindi l’olio. Continuate a impastare a mano e poi lasciate riposare l’impasto per 3 ore a temperature ambiente fino al raddoppio. Rompete la lievitazione, dividete l’impasto in sei parti, dando la forma di un filoncino a ogni pezzo di pasta e rimettete a riposare nel forno appena tiepido.

Dopo circa 2 ore infornateli a 210° per 20′, con una ciotolina di acqua per creare umidità.

ACQUISTO

Il pane di mais dolce è prodotto tipico alquanto estemporaneo. Può capitare di trovarlo sul banco di qualche panettiere nostalgico. Più probabile che venga riproposto nelle occasioni che hanno il granturco per protagonista.

STAGIONALITA’

La fine dell’estate è il momento della trebbiatura del mais e delle manifestazioni che la fanno rivivere in maniera folclorica. Tra le proposte di cornice, immancabile quelle di pasticceria a base di farina gialla.

CONSERVAZIONE

Il pane di mais dolce si conserva in uno di quei vecchi, cari barattoli di vetro a tenuta d’aria, che non dovrebbero mai mancare in una credenza; magari diventa secco, ma senza perdere le qualità di dolce da inzuppare.

Bussolai 
 Origini e storia
Ogni regione d’Italia ha un suo dolce a ciambella che si ispira al buccellatus medievale, pane dolce che i vassalli offrivano in segno di sottomissione al feudatario. La radice del termine è nel latino bucca, sottintendendo che l’omaggio le procurasse piacere. A Venezia si parla di bussolai e sono biscotti a forma di corona, preparati in occasione delle Cresime e infilati su nastri colorati a formare lunghe collane. Sono conosciuti anche come buranei perché specialità dell’isola di Burano e proprio per questo, grazie al collegamento fluviale del Sile, Treviso li ha acquisiti alla propria tradizione.
• Caratteristiche
Gli ingredienti sono quelli più consueti della dolciaria domestica farina bianca, burro, uova, zucchero e sale – con l’aggiunta però di una spruzzata di liquore all’anice, il cosiddetto “mistrà”, o anche di grappa. Una volta formate delle ciambelline da 5-6 cm di diametro, con un foro che permettesse poi di infilarle su un dito, occorreva aspettare un paio d’ore perché il lievito facesse effetto, prima della cottura in forno a temperatura moderata. Popolarissimi, hanno generato anche un proverbio: “Chi ga sàntoli, ga bussolai”, chi ha padrini ha biscotti, ovvero chi ha conoscenze altolocate ottiene favori.
RICETTA
Bussolai dolci
500 g di farina
300 g di zucchero
6 tuorli, 150g di burro
un pizzicotto di vaniglia, liquore all’anice
sale
Mescolate la farina con lo zucchero e un pizzico di sale e disponeteli a cono sulla spianatoia; versate al centro i tuorli d’uovo e lavorate a lungo con le mani, quindi unite il burro, il liquore all’anice e la vaniglia e continuate a lavorare con le mani fino a ottenere un impasto omogeneo, soffice ed elastico. Tirate la pasta a filoncini che taglierete in tronchetti del diametro di 1 cm circa, formando delle ciambelle del diametro di 6 – 7 cm o anche più, a piacere. Disponete le ciambelline cosi ottenute sulla placca del forno unta e infarinata e fatele cuocere in 1 forno a 180° fine a che non avranno preso un bel colore dorato.
ACQUISTO
Prodotto di immediato reperimento nella zona più sentita dalla tradizione, tra Venezia e Treviso: dai panifici artigianali, che spesso li producono in proprio, alla grande distribuzione, rifornita dall’ industria dolciaria.
STAGIONALITA’
La stagione delle Cresime è la primavera. Questo, dunque, è il tradizionale riferimento di calendario per la preparazione dei bussolai, anche se poi gli scaffali dei fornai non ne sono mai sprovvisti.
CONSERVAZIONE
I bussolai sono biscotti che si conservano a lungo nei caratteristici vasi di vetro a tenuta d’aria, ma anche secchi sono ideali per intingerli nel vino dolce. Più recenti, le confezioni in plastica, che assicurano analoga protezione.
Fregolotta
• Origini e storia
ln area padana si registrano varie produzioni di torte che rispondono al nome di “sbrisolona”, ”fregolotta’” e altri simili, preparate con una pasta frolla di notevole granulosità e dunque inclini alla briciola, come risalta nella prima denominazione, ovvero alla frégola, in dialetto veneto. L’origine di queste torte è contadina, come risalta anche dal frequente ricorso a farina gialla, ma la ricetta si nobilita nelle corti principesche, specie a Mantova, con ingredienti pregiati: mandorle, spezie e lo zucchero stesso. Nel Trevigiano la torta fregolotta è dolce che al giorno d’oggi si lega per lo più al nome di un’azienda di Castelfranco Veneto.
• Caratteristiche
E’ stato Angelo Zizzola ad aprire nel 1924 un forno da pane a Salvarosa, località castellana da allora nota anche per la trattoria contestualmente gestita assieme alla sorella Evelina. Tra le specialità della casa, una pasta frolla di nobile ricetta veneziana, eccezionalmente gradita quando bagnata da un Marzemino passito di Refrontolo o accompagnata da una crema di mascarpone profumata di cannella, altro antico retaggio veneziano.
Uno straordinario successo, che ha generato l’odierna realtà industriale, sempre in quel di Salvarosa, fedele alla tradizione artigianale della fregolotta.
RICETTA
Fregolotta
500 g di farina
150 g di zucchero, 3 uova
0,3 dl di panna fresca, burro
15 g di sale, scorza grattugiata di limone
Setacciate la farina con il sale e aggiungete Io zucchero e la scorza di limone. Ungete di burro una teglia larga e bassa e fatevi cadere le “fregole” di pasta che otterrete bagnando le dita della mano destra nella crema ottenuta mescolando le uova con la panna e appoggiandole poi sulla farina. Continuate fino a esaurimento della farina, sfregando tra loro le mani. Spianate le “fregole” nella teglia in modo da ottenere uno strato uniforme e infornate a 150° fino a quando la superficie del dolce risulterà di un bel colore dorato.
Lasciate intiepidire o anche raffreddare prima di sentire in tavola, magari decorando la fregolotta con delle mandorle intere.
ACQUISTO
La fregolotta è uno dei dolci più popolari della regione, proposta da molteplici aziende. Inconfondibile, nella confezione oggi semitrasparente, che lascia intravedere il contenuto.
STAGIONALITA’
Dolce che non conosce stagioni. Cambiano piuttosto gli abbinamenti: dalle creme, gradite nella stagione fredda, come uno zabaione tiepido, a un bicchierino di vino passito per rinfrescare la bocca in quella calda.
CONSERVAZIONE
La consistenza della fregolotta è fattore che ne agevola la conservazione. Chiusa nell’incarto a tenuta d’aria, è dolce con diversi mesi di vita a scaffale; una volta avviata al consumo, si mantiene senza problemi per una settimana.
Fugassa veneta (Pag. 90)
• Origini e storia
La fugassa è il dolce più caratteristico della tradizione contadina veneta. Tradizionalmente legata alla festività della Pasqua, in tempi relativamente vicini è diventata di consumo più frequente.
I nostri nonni la acquistavano per la domenica nella stessa bottega del pane. Farina, latte e uova; l’impasto era semplice ma ben lievitato e bastava un po’ di granella di zucchero come guarnizione per farne un dolce da bagnare nel vino di casa per allietare la tavola. Della fugassa esiste anche una versione nobile, la Veneziana, d’ingredienti più ricchi, profumata di vaniglia, con scorza di limone nell’impasto e mandorle sulla guarnizione.
• Caratteristiche
Nel termine fugassa si riconosce il latino focus, focolare, che rimanda all’ambiente del forno e probabilmente agli albori del Cristianesimo. La preparazione nasce in effetti fra le mura domestiche come momento significativo delle ritualità pasquali, ma nel tempo diventa prerogativa dei pistòri, i panettieri, perché la soffice alveatura che rende così gradevole la fugassa, così come la conosciamo oggi, richiede ripetuti impasti e ogni volta prolungata lievitazione. Insomma, un piccolo capolavoro che nei secoli s’è arricchito di qualche ingrediente, come la grappa, presenza discreta ma ormai costante.
RICETTA
Fugassa
500 g di farina, 150 g di burro ammorbidito, 150 g di zucchero,
150g di pasta da pane lievitata, la rapatura di 1 limone e di 1 arancia
1 bustina di vanillina, 10g di lievito di birra, 5 uova, latte, sale
per la glassa: 50g di mandorle dolci tritate, 50 g di zucchero in granella
Sciogliete il lievito in poco latte tiepido e lavoratelo assieme a 150 g di farina e alla pasta da pane. Coprite l’impasto e fate lievitare per un’ora. Unitevi altri 150 g di farina, 75 g di burro, due uova intere e un tuorlo e impastate per 10′. Coprite l’impasto e fate lievitare per un’altra ora. Unite tutti gli ingredienti e lavorate ancora con energia. Coprite l’impasto e fatelo lievitare per altri 90’. Rompete la lievitazione e lavorate l’impasto per qualche minuto, formando una palla. Trasferitelo in uno stampo di carta e incidetelo al centro. Sbattete a spuma l’albume avanzato, mescolatelo alle mandorle, e versate sulla fugassa. Ponete a lievitare per altri 40’, spolverate con la granella e infornate a 180° per circa 50′.
ACQUISTO
Dolce popolare per eccellenza, si acquista tanto dai fornai, i più fedeli alla semplicità delle origini, quanto nelle pasticcerie, le più inclini a versioni che non hanno nulla da invidiare alla ricchezza della veneziana.
STAGIONALITA’
Nonostante l’invenzione della colomba pasquale, la fugassa fa ancora la sua bella figura nel periodo che le è di tradizione. Ormai, comunque, la si produce senza badare troppo al calendario, tanto che è richiesta anche per Capodanno.
CONSERVAZIONE
Come tutti i dolci a lievitazione prolungata la fugassa è una campionessa di resistenza. Ben chiusa nel suo sacchetto – questo, il segreto – sorprende per freschezza anche a mesi di distanza dalla produzione.
Galani o Crostoli (Pag. 91)
• Origini e storia
Trattandosi di una frittella leggerissima, il termine ”crostolo’” non ha bisogno di spiegazioni. Incuriosisce piuttosto quello di “galano”, che potrebbe avere la stessa origine dell’aggettivo “galante” e riferirsi a una grazia che e un misto di bellezza e allegria, che poi è la stessa del sostantivo “gala”, perché simile a un nastro annodato. Entrambe queste interpretazioni troverebbero riscontro di calendario nel Carnevale di Venezia, tempo di morbide frittole, magari ripiene di crema pasticcera, ma anche di friabili galani, imbiancati di zucchero a velo. Da Venezia a Treviso il passo è breve, anzi brevissimo quando si tratta di cose
piacevoli, e questo chiude il cerchio della storia.
• Caratteristiche
Frittelle di questo genere, a dire il vero, sono presenti in ogni Carnevale. Gli ingredienti son sempre gli stessi — farina, uova, latte, burro, zucchero e scorza di limone — solo che in Toscana li chiamano “cenci” — evidente il parallelo anche nel nome — e ci aggiungono vin santo e in Veneto li chiamano galani e mettono un bicchierino di grappa. Tirato l’impasto a sfoglia e tagliato con la rotella, l’ultimo passaggio richiede olio da fritto sopraffino e mano capace di volgere in oro la frittella.
RICETTA
Crostoli
500 g di Farina, 200 g di zucchero
150 g di burro , 4 uova
1 bicchierino di grappa
sale, zucchero a velo
Versate le uova intere in una terrina, aggiungete lo zucchero e sbattetele fino a quando Io zucchero si sarà sciolto; unite il burro ammorbidito e diluite con la grappa. Aggiungete la farina e il sale e mescolate con grande cura fino a ottenere un impasto liscio e morbido. Lasciatelo riposare un po’, quindi cospargete sulla spianatoia della farina e tirate la pasta col matterello fino a ottenere una sfoglia sottilissima e senza sbavature. Tagliatela a losanghe nella misura voluta, servendovi dell’apposita rotellina dentata.
Fate friggere le losanghe nell’olio o strutto bollente, scolatele velocemente e cospargetele infine di zucchero a velo.
ACQUISTO
Tipiche frittelle da pasticceria, spesso presentate in vassoi dall’incarto trasparente.
L’industria non è da meno, offrendo anche crostoli preparati in forno per coloro che ritengono troppo ricchi quelli tradizionali.
STAGIONALITA’
Non c’è dubbio che l’appuntamento sia per Carnevale, ma in effetti si cominciano a vedere crostoli in giro subito dopo le feste di Natale, nella prospettiva di una coda che poi prende quasi tutta la Quaresima.
CONSERVAZIONE
La leggerezza gioca a favore della durata nel tempo. L’olio di frittura, però, non esclude che possano irrancidire. Protetti nel loro incarto, meglio se sigillato a prova d’aria, i crostoli sono dolci da conservare in credenza.
Pinza
• Origini e storia
La comprensione degli appellativi e interessante. Il termine “pinza” deriva dal latino pinsere, che sta per riempire con abbondanza, insomma una torta piena zeppa d’ingredienti.
• Caretteristiche
Ricetta di origine contadina: in origine l’impasto era a base di farina gialla; oggi si aggiunge anche una percentuale di bianca. Altri ingredienti: latte, burro, frutta secca, mele ridotte a pezzettini, un po’ di grappa. Un tempo la cottura avveniva sotto la cenere del camino, utilizzando un grosso coperchio metallico.
L’impiego di uvetta, fichi secchi e pinoli rimandano agli antichi commerci della Serenissima con il Levante. In origine piuttosto grossolana, oggi la pinza si è raffinata per l’impiego di farina di mais da dolci, il cosiddetto “fioretto”, a macinatura fine.
RICETTA
Pinza
100g di farina di frumento, 120g di farina di mais
1l di latte e acqua in parti uguali, 50g di uvetta, 50g di fichi secchi
50g di semi di finocchio, 100 g di zucchero, 50 g di strutto o burro
1/2 bicchierino di grappa, sale
Versate prima il sale e poi la farina gialla a pioggia in una casseruola con acqua e latte in ebollizione, tenendo sempre mescolato. Quando la polentina sarà quasi pronta (25′ circa), aggiungete Io zucchero, |’uvetta, i fichi secchi, i semi di finocchio, Io strutto ben sciolto e la grappa, badando che l’impasto risulti un po’ tenero, ma ben amalgamato.
Toglietelo dal fuoco e lasciatelo raffreddare, quindi aggiungete un po’ alla volta la farina di frumento, fino a raggiungere un buon impasto solido e consistente. Stendete l’impasto sulla placca da forno imburrata (dovrà essere alto circa 3 cm). Mettete in forno, a 180° per circa 40’.
Va gustata fredda.
ACQUISTO
Tipico prodotto da fornaio, preparato in teglie e venduto a riquadri. Ben rappresentata anche nelle trattorie e negli agriturismi più: attenti alla tradizione. Ideale bevanda, un Verduzzo amabile, ma anche passiti più titolati.
STAGIONALITA’
L’unico ingrediente vincolante, anche se non strettamente indispensabile, è la mela, ma al giorno d’oggi con la frutta che arriva da ogni latitudine, si passa da una stagione all’altra senza soluzione di continuità.
CONSERVAZIONE
Nel complesso non è dolce particolarmente deperibile e l’aggiunta di grappa aiuta. Tuttavia l’elevato contenuto d’umidità, che per un verso la mantiene fresca a lungo, dall’altro consiglia un consumo sollecito.
Tiramisù (Pag. 93)
• Origini e storia
La paternità di questo celeberrimo dolce al cucchiaio è rivendicata da Treviso e nella fattispecie dallo storico ristorante Le Beccherie, che nasce come bettola da zuppa di trippe e col tempo assurge a tempio della gastronomia cittadina. I più maliziosi hanno avanzato l’ipotesi che un dolce tanto calorico servisse a ritemprare quanti si dedicavano ad amorosi convegni nei postriboli della vicina Cae de Oro, ma si tratta solo di una nota di colore, anche perché i tempi non coincidono: il dolce nasce nel secondo dopoguerra, quando i bombardamenti del 1942 e la legge Merlin avevano cancellato il ricordo di quel vicolo del peccato.
• Caratteristiche
Beppe Maffioli, storico della cucina veneta, ha spostato la data di nascita del tiramisù negli anni Settanta attribuendone la paternità a Loli Linguanotto, allora chef pasticcere delle Beccherie, in collaborazione con Alba Campeol. Evidente fonte d’ispirazione, la zuppa inglese, sostituendo il liquore con il caffe. Per nome, un neologismo contratto alla veneta, tiramesù, con evidente riferimento al complesso tonico e calorico espresso dai biscotti savoiardi inzuppati nel caffè e dalla crema di mascarpone, uova e zucchero, senza dimenticare la spolverata finale di cacao. Per inciso, la forma canonica del tiramisù è circolare.
RICETTA
Tiramisù
6 tuorli
250 g di zucchero
500 g di mascarpone
30 savoiardi, caffè zuccherato
cacao amaro
Montate a spuma i tuorli con Io zucchero, poi unite il mascarpone fino a ottenere un composto morbido e cremoso.
In un piatto da portata o in un vassoio, meglio se rettangolare, disponete uno strato con metà dei savoiardi, bagnateli con il caffè fino a inzupparli completamente e spalmateli con metà del composto di uova e mascarpone; disponete un altro strato di savoiardi, ammorbiditeli con il caffè e ricopriteli con il rimanente composto cremoso. Spolverate con del cacao e riponete in frigorifero, togliendo solo al momento di servire.
ACQUISTO
II tiramisù ha seguito le orme della pizza, diventando uno dei prodotti italiani più globalizzati, con risultati talora aberranti. I veri santuari di questa specialità sono le pasticcerie e i ristoranti della Marca Trevigiana.
STAGIONALITA’
II notevole apporto di calorie di una porzione di tiramisù suggerirebbe di limitarne il consumo alle fredde giornate d’inverno, ma non c’è stagione che consenta di vincere la tentazione di un dolce così suadente.
CONSERVAZIONE
Preparate con il mascarpone, uno dei prodotti più ricchi e deperibili della casearia padana, il tiramisù va conservato rigorosamente in frigorifero e consumato nei ristretti tempi di scadenza di questo latticino.
Zaleti (Pag. 94)
• Origini e storia
Vuoi per i suoi celebri caffè, vuoi per i commerci con i paesi delle spezie, Venezia ha una fama senza uguali per la pasticceria e in particolar modo per i biscotti. I più raffinati sono i baìcoli, sottili e morbidi come lingue di gatto, da intingere nel rosolio; più caserecci sono invece gli zaleti che fin dal nome rivelano un impasto a base di farina gialla, con un’aggiunta di farina bianca che dipendeva dalle risorse di casa. I biscotti risultanti sono dei frollini che contrappongono la grana rustica della farina alla dolcezza del burro con il tocco in più dell’uvetta sultanina. Tradizione vuole che si consumino con un bicchierino di vino passito.
• Caratteristiche
Gli zaleti sono biscotti inconfondibili per forma, a losanga appuntita, e colore, il giallo della farina prevalente, sporcato dallo zucchero a velo di guarnizione. La ricetta ha molte varianti, perché questi biscotti hanno guadagnato terreno in terraferma di pari passo agli eserciti veneziani, diventando specialità regionale. Una delle più condivise, il rinvenimento dell’uvetta sultanina nella grappa. Tra le aggiunte aromatiche, scorza di limone ed essenza di vaniglia. In aggiunta o in alternativa all’uvetta, pinoli o giuggiole. Nel Trevigiano l’abbinamento di prassi è con il Torchiato di Fregona o il Marzemino di Refrontolo.
RICETTA
Zaleti
125g di farina di mais, 125 g di farina 00
100g di burro, 50g di uvetta
25 g di pinoli, 125 g di zucchero
3 tuorli d’uovo, sale
Setacciate assieme le due farine e formate la fontana, versatevi al centre il burro leggermente sciolto e un pizzico di sale, Montate i tuorli d’uovo con Io zucchero e versate anch’essi al centro della fontana.
Cominciate ad amalgamare gli ingredienti e a impastare energicamente; aggiungete quindi l’uvetta fatta precedentemente rinvenire in acqua (o grappa) e i pinoli. Impastate nuovamente il tutto formando dei rotoloni, che spezzerete e a cui darete la forma che desiderate (tradizionalmente ovale o romboidale. Imburrate la placca del forno e disponetevi i zaleti così ottenuti a una distanza regolare di circa 5 cm. Cuocete in forno preriscaldato a 170° per circa 15’.
ACQUISTO
Dolcetti di straordinaria popolarità, reperibili dai fornai in versione rustica e dalle pasticcerie nelle varianti più ricercate. Degna di nota anche la produzione industriale, che approda per lo più alla grande
distribuzione.
STAGIONALITA’
I zaleti sono i classici biscotti da credenza da tirar fuori alla prima buona occasione in inverno, proponendo una cioccolata in tazza; in estate, con un calice di vino passito a temperatura di cantina.
CONSERVAZIONE
Biscotti di facile conservazione, un tempo erano conservati nei classici barattoli di vetro o di latta da credenza. Oggi, confezionati in sacchetti, a tenuta d’aria, hanno tempi di scadenza di diversi mesi.
Zonclada (Pag. 95)
• Origini e storia
E’ torta dal nome singolare, che ha dato filo da torcere agli studiosi, senza peraltro svelare del tutto la propria origine potrebbe derivare dai verbi zoncar, riconducibile all’italiano tritare, o zontar, ovvero aggiungere, con riferimento alla ricchezza di ingredienti del ripieno, ma alcuni fanno anche notare l’assonanza con ganzega, vale a dire la baldoria che accompagnava ogni evento notevole, come ancor oggi la conclusione di una costruzione. Sia quel che sia, non c’è dubbio che fosse dolce degno d’essere regalato anche in occasioni ufficiali e di un apposito statuto del Comune di Treviso, nel 1313, per disciplinarne la preparazione.
• Caratteristiche
La lista degli ingredienti evoca gli scenari della pasticceria medievale. Nell’involucro di pasta frolla, un ripieno a base di ricotta (nelle versioni più fedeli alla tradizione, semolino, orzo o riso cotti nel latte o nella panna) con aggiunta di frutta secca (mandorle, uvetta, albicocche, fichi secchi, noci, pinoli) e candita (arancio), aromatizzata con scorza di limone grattugiata, cannella e grappa. L’aspetto è quello di una normale crostata, ma il gusto è fuori dal tempo, affine a quelli d’altri dolci d’epoca cortese, come la “spongata” emiliana.
RICETTA
Zonclada
500 g di ricatta, 100 g di miele o zucchero
50 g di uvetta, 50 g di cedro candito
40 g di burro fuso, 2 uova
1 cucchiaino di cannella in polvere
500 g di pasta frolla, burro per la tortiera
Versate in una terrina e amalgamate bene la ricotta, il miele (o lo zucchero), il burro ben ammorbidito, le uova intere, l’uvetta, il cedro a cubetti piccoli e la cannella.
Spianate la pasta frolla col matterello, foderate una tortiera internamente unta di burro e versatevi il composto precedentemente ottenuto.
Coprite con un disco di pasta frolla sul quale avrete praticato dei tagli a forma di stella o altro e infornate a calore medio per 30’.
Servite la zonclada tiepida o anche fredda.
ACQUISTO
Reperibile presso un numero molto limitato di pasticcerie ed esercizi cittadini. Un dolce da intenditori, si potrebbe dire, piuttosto singolare in una produzione dolciaria orientata per Io più ai prodotti cremosi.
STAGIONALITA’
Gli ingredienti sono svincolati da esigenze di calendario. Piuttosto, è la notevole carica d’energia generata dalla frutta secca a suggerire la proposta in chiave autunno-invernale.
CONSERVAZIONE
L’impiego di frutta conservata, zucchero e grappa assicura buon margine di conservazione fino a 15-20 giorni.
Miele del Grappa (Pag. 96)
• Origini e storia
L’apicoltura è una forma di allevamento molto antica, evoluta dal prelievo che l’uomo preistorico operava sui favi naturali.
Quanto risultava evidente già allora non era solo l’eccezionale potere energetico del miele ma anche le sue virtù terapeutiche.
Nella tradizione del Veneto, regione ricca di fioriture mellifere, l’apicoltura e un’attività che si tramanda ancor oggi di padre in figlio a complemento della cura dei campi, in particolare, nella zona del Monte Grappa e attivo un consorzio di circa 150 produttori, che in buona parte praticano l’apicoltura nomade, spostando gli alveari al seguito delle fioriture.
• Caratteristiche
Dai 150 metri della linea di contatto con la pianura ai 1775 metri di cima Grappa, questa è la fascia altimetrica che caratterizza l’apicoltura del massiccio. Le fioriture procedono di conseguenza; l’acacia nei primi boschi, il castagno e i prati dl collina dai 200 agli 800 metri; i pascoli e le praterie d’alta montagna oltre i mille metri. La produzione rispetta un disciplinare che prevede un’etichetta consortile e sigilli riportanti nome del produttore, luogo di raccolta, altitudine e tipo di miele. Da segnalare il recente abbinamento del miele con i formaggi, con particolare riferimento al morlacco del Grappa.
RICETTA
Budino di miele
200g di miele del Grappa, 0,5 ldi latte
6 uova, 20 g di zucchero vanigliato
1 bicchierino di rum
1 foglio di colla di pesce
In un pentolino fate scaldare il miele fino a quando diventerà liquido, poi fatelo sciogliere nel latte e aggiungetevi i tuorli d’uovo. Mescolate con cura fino ad amalgamare al meglio quindi unite ii rum e lo zucchero vanigliato.
Sciogliete in poca acqua la colla di pesce e intanto portate a bollore per qualche minuto il composto o scaldatelo bene a bagnomaria per una decina di minuti, tenendo mescolato perché non si formino dei grumi.
Lasciate raffreddare, aggiungete la colla di pesce, sempre mescolando, amalgamate e versate il budino in uno stampo imburrato che metterete in frigorifera fino al momento di servire.
ACQUISTO
Gli apicoltori del Grappa fanno vendita diretta ogni domenica a Crespano del Grappa, nella sede espositiva di piazza San Marco, ma riforniscono anche lo spaccio aziendale della Latteria Sociale di Cavaso del Tomba.
STAGIONALITA’
La disponibilità di miele d’annata procede con le rispettive fioriture. Di pari passo procedono gli abbinamenti: ricotta con miele di acacia; cagliata di morlacco al timo con miele di alta montagna; morlacco maturo con miele di castagno.
CONSERVAZIONE
Il miele non ha particolari esigenze, basta che non patisca eccessivi sbalzi di temperatura e sia protetto dalla luce diretta. Alle basse temperature può darsi che cristallizzi, diventando semisolido, ma senza venirne danneggiato.
Miele del Montello (Pag. 97)
• Origini e storia
Il Montello e la dorsale verdeggiante che s’innalza di poche centinaia di metri sulla pianura del Piave; un tempo ammantato da boschi di querce, fu tutelato dalla Serenissima per salvaguardare questa risorsa a beneficio delle costruzioni navali dell’Arsenale di Venezia; così, oculatamente gestito, e nonostante le notevoli spoliazioni avvenute tra Otto e Novecento, ha mantenuto fino ai giorni nostri una copertura arborea notevole e una flora interessante anche per quel che riguarda la produzione di miele.
• Caratteristiche
La specie arborea dominante e la robinia, che con la sua fioritura assicura la produzione di miele cosiddetto di acacia, poco più che bianco o paglierino, di sapore floreale. Pressoché contemporaneo e il millefiori primaverile, anch’esso chiaro e delicato, mentre più avanti il millefiori estivo risulta più intenso di colore e sapore perché influenzato dalla fioritura del castagno, che dà un prodotto monoflorale di colore ambrato e sapore balsamico, leggermente amarognolo. Di colore cupo e sapore meno dolce, è infine il miele di melata, che le api non producono da nettare, ma parassitando una “farfallina”, la Metcalfa, che metabolizza la linfa degli alberi, nella fattispecie querce.
RICETTA
Biscotti al miele
350g di farina, 720g di burro
700 g di miele del Montello, 120 g di zucchero di canna
la scorza grattugiata di un limone, 1 uovo
2-3 cucchiai di latte
Setacciate bene la farina, quindi aggiungetevi il burro fuso, il miele, Io zucchero di canna, la scorza di limone grattugiata, l’uovo e il latte.
Impastate bene il composto, lavoratelo almeno 10’ finché non sarà ben omogeneo, quindi stendete la pasta in modo da ricavarne una sfoglia di mezzo centimetro, date forma ai biscotti con degli stampini o tagliandoli a piccoli quadrati. Poneteli su una teglia rivestita di carta da forno e fate cuocere a 200° per 15′ circa.
ACQUISTO
Il miele del Montello si acquista per lo più dai produttori nei comuni d’origine – Crocetta del Montello, Giavera del Montello, Nervesa della Battaglia, Montebelluna, Volpago del Montello – presso la sede dell’Associazione Apicoltori di Belluno, Treviso e Venezia in località SS. Angeli a Nervesa della Battaglia e nelle botteghe di prodotti tipici.
STAGIONALITA’
Dalla primavera all’autunno il Montello, solcato da una ventina di strade forestali pressoché parallele, è tradizionale meta di scampagnate, durante le quali è facile fare acquisti della produzione più recente.
CONSERVAZIONE
Essendo composto per il 70% da zucchero, per lo più fruttosio, il miele non ha particolari problemi di conservazione, ma ciò non toglie che vada conservato adeguatamente, al riparo da calore e luce, e consumato nell’annata.
Olio extra vergine di oliva Veneto del Grappa Dop
• Origini e storia
Già nell’antichità l’olio d’oliva era prodotto di straordinaria importanza sia per significato simbolico che per valore economico. Nell’Antico Testamento leggiamo come venisse utilizzato per consacrare i re e ancora oggi rappresenta la discesa dello Spirito Santo sul credente nella Cresima e nell’unzione degli infermi. In passato era il principale combustibile da illuminazione, tant’è che si parla di olio “lampante”, ma anche un prodotto da farmacia, come base di unguenti e preparati ricostituenti.
Inoltre nella cucina dei secoli passati l’olio sostituiva lo strutto nel condimento delle verdure crude ed era indispensabile alla cucina dei giorni di magro, a partire dai popolari piatti di baccala. Per questa somma di motivi la Repubblica di Venezia, dopo aver incentivato l’olivicoltura nelle isole coloniali dello Ionio e dell’Egeo, promosse la coltivazione nei suoi possessi di terra ferma per porsi al riparo dalle incertezze del commercio marittimo e dalle interferenze delle potenze concorrenti, prima fra tutte Genova, altra grande produttrice. Già presente dall’età romana, l’olivo ha cosi guadagnato terreno ovunque il clima lo consentisse: attorno al lago di Garda innanzitutto, ma anche in altre varie zone collinari di clima adeguato. A questa distribuzione geografica corrispondono le odierne produzioni Dop <> e <>, quest’ultima con le seguenti sottodenominazioni: <>, tra Padova e Vicenza; <>, avente come centri di riferimento Bassano e Asolo.
• Caratteristiche
L’olivo e pianta mediterranea che e immediato associare ai paesaggi dell’Italia Meridionale, della Grecia e della Spagna, della Tunisia. Nel nostro paese, tuttavia, la sua fascia climatica sale a nord del 45° parallelo fino a ridosso delle Alpi. Si tratta di pochi luoghi privilegiati da particolari situazioni climatiche e tra questi spicca la Pedemontana del Monte Grappa, dove |’olivo occupa gran parte dei versanti esposti a sud. Il substrato, di origine glaciale, e un agglomerato compatto — sabbia, limo e argilla – che a contatto degli agenti atmosferici tende a sfaldarsi, risultando perfettamente confacente all’olivo. Quella che si verifica lungo questa fascia e una combinazione pedoclimatica tanto singolare quanto favorevole alla migliore qualità dell’olio, che s’arricchisce di particolari aromi, un po’ come accade per il vino prodotto in montagna; dando credito anche a quei produttori che riscontrano l’ulteriore vantaggio di una minore incidenza di malattie e parassiti delle piante, a partire dalla famigerata mosca olearia, a favore di una coltura che nei casi più favorevoli non richiede impiego di antiparassitari e prodotti chimici di sintesi.
Il disciplinare di produzione dell’olio extra vergine di oliva Veneto del Grappa Dop stabilisce innanzitutto il territorio di giurisdizione, che ha il suo nucleo nominale attorno al Monte Grappa, ma poi s’allarga verso ovest fino a Thiene e Breganze, e dall’altra, segue invece verso est le colline di Asolo, Valdobbiadene e Conegliano, dove l’olivo procede di pari passo al vigneto. Ulteriore specifica riguarda la composizione varietale, che prevede per almeno il 50 per cento Frantoio e Leccino, le cultivar nazionali più adatte ai climi freddi. A completare la rassegna, in termini di tipicità: Grignano, di origine veronese, che conferisce all’olio un certo aroma muschiato; Padanina e Leccio del Corno, anch’esse d’area triveneta; Pendolino e Maurino,
del Centro Italia. Ne risulta un olio che mediamente presenta colore verde, con modeste variazioni del giallo, profumo armonico inizialmente dotato di carica fruttata, con sentori maturi di pomodoro e mandorla in chiusura, sapore dolce con chiusura amarognola e piccante.
ACQUISTO
L’olio extra vergine di oliva Veneto del Grappa Dop si riconosce dal bollino Dop in etichetta.
Come riferimento, la Cooperativa Trevigiana Olivicoltori (Tapa Olearla), con punti vendita a Maser, Cavaso del Tomba e Vittorio Veneto.
STAGIONALITA’
L’olio novello, assaggiato alla soglia dal frantoio, è in uno stato di grazia che si esprime con un’intensità di aroma e sapore inconfondibili. Con il passare delle settimane, il profilo organolettico si acquieta verso toni più dolci.
CONSERVAZIONE
L’olio extra vergine d’oliva va consumato nell’anno di produzione, – diversamente, tende a perdere aromi e profumi – tenendo inoltre presente che teme le temperature elevate, la luce intensa e l’ossidazione derivante dal contatto con l’aria.