Intervista a Massimo Toffoletto Norvegia – Giovani Veneti all’estero

Intervista a Massimo Toffoletto Norvegia - Giovani Veneti all'estero

In questo numero 05/2015 di Economia della Marca Trevigiana per la rubrica Giovani veneti all’estero abbiamo il piacere d’intervistare il dott. Massimo Toffoletto nato a Treviso che ha studiato all’università Cà Foscari a Venezia e che vive e lavora in Norvegia e in Italia.

 

1/ Buongiorno dott. Toffoletto, ci può raccontare dei i suoi percorsi di studio e lavoro?

Riassumo brevemente un curriculum un po’ atipico perché caratterizzato da diverse scelte. Ho frequentato il corso di lingue a Venezia con specializzazione in russo e inglese. Mentre studiavo ho viaggiato molto sia in Russia che in Norvegia.
In Russia ho frequentando due corsi statali in lingua e letteratura russa presso l’istituto statale Puškin . Ho svolto l’Erasmus e ho frequentato un dottorato di ricerca in letteratura russa.
Mentre facevo il dottorato in lingua e letteratura russa mi sono iscritto ad una seconda laurea in scienze della formazione primaria per il desiderio maturato di insegnare e di avere un legame concreto con l’Italia. Ho lavorato in Norvegia, dove ora vado solo nei mesi estivi e insegno presso una scuola primaria a Treviso.

 

2/ Che valore ha per lei l’Erasmus? Dove lo ha svolto?

Per me l’Erasmus è stata un’esperienza originale che ho svolto in Norvegia. Se mi chiede perché in Norvegia e non in Russia, di cui avevo studiato la lingua e la letteratura, le rispondo che sono andato lì per puro errore. Ero certo che la città di Bergen che avevo scelto per l’Erasmus, fosse in Olanda dove sapevo ci fossero degli ottimi corsi d’inglese. Quando mi hanno consegnato la borsa di studio, con sorpresa, ho scoperto che Bergen era in Norvegia. Arrivato lì ho iniziato l’Erasmus e un dottorato di ricerca che però non ho concluso e lì ho svolto diversi lavori. Per me la Norvegia è stata un’esperienza significativa perché ho svolto l’Erasmus nella fase della piena giovinezza. Questa esperienza è stata l’occasione di confronto con tante persone e con culture diverse, con tanti giovani che fanno cose in modo diverso rispetto a noi. Questa esperienza arricchisce di quella flessibilità mentale che diventa sempre più importante, oggi, per affrontare il mondo del lavoro. Vivere insieme ad altri studenti, cucinare insieme, studiare insieme sono quelle pratiche quotidiane che costituiscono la base di quella mentalità flessibile che, come dicevo, è sempre più richiesta. E’ sicuramente un’esperienza impegnativa dal punto di vista economico, ma da cosa nasce cosa e si creano molte nuove opportunità.

 

3/Leggendo il suo libro “Il pescivendolo italiano in Norvegia” lei parla del Centro Culturale Italiano. Che valore hanno per la sua esperienza i centri culturali italiani nei paesi
esteri?

Dipende da chi c’è nel centro di cultura. Io ho trovato una persona molto particolare che è Andrea Vegari il quale è riuscito a mettere insieme cultura e business. Questo aspetto si rivela molto importante perché se la cultura è proposta in sé, difficilmente riesce ad avere una ripercussione sugli aspetti più commerciali.

 

4/Può approfondire il concetto di “creare connessione tra cultura e business”?

Le faccio un esempio, Andrea Vergani è ora qui in Italia. Con un progetto da lui ideato è riuscito a creare interesse sullo stoccafisso ha realizzato materiale bibliografico, approfondendo l’argomento con studi e ricerche. Ha commissionato la realizzazione di video e immagini. Ha ripercorso il viaggio di Querini che per primo ha portato lo stoccafisso in Italia.
Dopo questa fase di studio e di produzione di supporto alla comunicazione, ha coinvolto i ristoranti, ha organizzato convegni internazionali con molti operatori di ristorazione. L’obiettivo di questa operazione era di favorire il commercio dello stoccafisso. Ritengo che questa sia la formula migliore per diffondere la cultura capace di creare una ricaduta economica nel mondo del lavoro, creare indotto e facendo sì che continui ad alimentarsi. Per divulgare la nostra identità la cultura in sé è positiva, ma non è capace di creare indotto da sola. La ricaduta, l’indotto si realizza quando si connette con altri operatori e crea un circolo di buone pratiche. Possiamo dire che l’alternanza scuola lavoro, in più se formalizzata nella nuova scuola, è senz’altro positiva.

 

4/Passiamo a Bergen in Norvegia, ci racconta del suo lavoro?

Ho lavorato nel centro culturale. Ho collaborato e organizzato eventi e mostre. Siamo riusciti a portare una gondola ed organizzare una mostra impostata sui prodotti tipici italiani. Ho insegnato italiano sempre al centro culture italiana. Ho lavorato al mercato del pesce.
Il mercato del pesce di Bergen è un ambiente internazionale sia per il personale che ci lavora, sia per i clienti che vi arrivano numerosi.
La principale tipicità dei mercati in Norvegia è la diversa modalità di vendita in quanto il pesce viene venduto sia fresco che affumicato o bollito. In pratica è servito ai clienti già pronto. Ciò nasce dal fatto che una volta la bollitura o l’affumicatura erano modi di conservazione che con il tempo sono divenuti tradizioni gastronomiche. I turisti sono incuriositi dal fatto che possono fruire direttamente del pesce diversamente da come sono abituati nei loro paesi d’origine. Con il numeroso afflusso di turisti è crescita la richiesta di personale in grado di spiegare loro come è servito il pesce.

Ciò ha richiesto la presenza di pescivendoli italiani, inglesi, francesi, tedeschi cinesi. Ecco perché al mercato del pesce ci sono le più diverse nazionalità di persone che ci lavorano ed ecco perché è un’attrazione per i turisti che arrivano da ogni parte del mondo.
In estate, come vi dicevo, lavoro ancora al mercato del pesce. Per me questa esperienza significa praticare le lingue che so e rispolverare ogni volta un punto di vista diverso delle cose. E’ proprio così, quando vivi e lavori a stretto contatto con la gente del posto e ne conosci la lingua, hai la possibilità di accedere alla loro cultura.

 

5/ Bergen dunque ha saputo fare di una propria tipicità un’ attrazione capace di richiamare turisti e risorse umane qualificate che in ogni caso creano un indotto per i servizi e i consumi
della quotidianità.

Non si tratta solo del mercato del pesce, ma di tutte quelle strutture e servizi di accoglienza del turismo. In generale la Norvegia offre ottime possibilità ai giovani. Si riesce a fare il lavoro
per cui si è studiato a differenza dell’Italia. Oltre a ciò in Norvegia c’è anche bisogno di figure professionali. Ultimamente sono molto richiesti i cuochi. Ho un blog www.pescivendoloitaliano.com. Mi scrivono molti italiani, cerco di dare loro aiuto fornendo informazioni per capire il luogo, per scegliere come muoversi, cosa cercare.
La Norvegia è molto cara un po’ in tutto. Ora che la Corona ha perso valore per il forte calo del costo del petrolio, va un po’ meglio per gli italiani. Ma tutti i servizi sono comunque molto cari, per esempio, i mezzi di trasporto. Nel momento in cui si trova lavoro però gli stipendi sono equivalenti al costo della vita, ciò significa che si guadagna molto di più che in Italia.

6/ Cosa ha significato per lei aver studiato le lingue, che opportunità offrono?

Quando si va in un paese con una lingua diversa, conoscerla significa avere la possibilità di capire, di creare le occasioni per conoscere, di fare amicizia. Ma per imparare una lingua, per iniziare un lavoro, non è indispensabile studiare all’ università, ma ci sono corsi di qualsiasi lingua già sul posto e ciò permette di entrare nella mentalità di un popolo, di assorbire la cultura del luogo. L’importante è studiare un po’ la grammatica, parlarlo un po’, capirlo un po’.

5/A proposito di cultura e business, lei ha studiato la lingua e cultura russa facendo anche molti viaggi in Russia. C’è a suo parere una facilità di comunicazione, quasi un feeling, tra le nostre culture?

E’ indubbia questa facilità di rapporti tra italiani e russi che si fonda anche su una base comune nei convenevoli, nello stare insieme. Questa simpatia è risaputa sin dal tempo dell’unione sovietica. Le Canzoni italiane, la cultura italiana, vedi Rodari, era qualcosa che filtrava tra le maglie strette del regime. C’è una base comune sostenuta da questa base culturale che ci fa sentire simili. Sia ai russi che agli italiani piace stare bene insieme mangiando e bevendo e questo non è una cosa scontata che si trova dappertutto. Per esempio in Norvegia non è così. Almeno nel primo approccio.

7/La nostra economia ha molto risentito dell’embargo alla Russia. A suo parere, i nostri prodotti tipici potranno essere malgrado ciò ancora veicolo sia commerciale che di relazione con la Russia?

Sì direi di sì, sicuramente sono dei piatti ben voluti . Ci sono le sanzioni, ma non credo che questo cambierà il gusto dei russi.

8/A causa dell’embargo i russi stanno producendo internamente i prodotti che prima importavano da noi, così come hanno un buon flusso commerciale con i paesi asiatici. Stiamo perdendo un’
importante occasione commerciale?

I russi non hanno mai dimostrato di riuscire a produrre come si fa in Italia. I prodotti agroalimentari non hanno una qualità alta come quella nostra. Ho fatto diversi lavori anche con operatori russi in qualità d’interprete e quando questi operatori russi producevano prodotti in Russia, magari della stessa tipologia dei prodotti italiani, non avevano mai la stessa qualità, erano sempre inferiori. Mi viene in mente una grossa azienda, per cui ho lavorato che vendeva attrezzi per la pulizia delle strade e aveva un prodotto che durava poco, che non funzionava, e questo è un tipico esempio, anche se l’azienda era molto importante. E’ così anche per i prodotti europei, ma fatti in Russia. Per esempio le auto di altre marche, ma fatte in Russia non hanno la stessa qualità. I russi ne sono consapevoli. 

9/Ad un convegno di Vino in Villa organizzato dal Consorzio di tutela del Prosecco, è stato presentato l’abbinamento del Prosecco con i finger food di tutto il mondo. Il relatore ha
parlato degli abbinamenti curiosi fra arte a tavola di Hong Kong, Danimarca, Catalogna e Prosecco doc di Conegliano Valdobbiadene. In base alla sua esperienza in Norvegia si beve Prosecco
?

La Norvegia è stato un paese povero fino agli anni ’70 e, per le persone anziane, è rimasta la cultura del risparmio. La generazione dei giovani invece è estremamente consumistica. In Norvegia c’è il Prosecco ma il mercato del vino è un mercato molto difficile per i diffusi problemi di alcoolismo. Per contenere questo fenomeno sociale tutti gli alcolici da 5 gradi in su, quindi anche la birra, sono venduti solo in particolari negozi che sono sotto il monopolio dello Stato. Sempre per frenare questo problema dell’alcolismo, il costo a bottiglia è molto alto e si parte da 10€ (gran parte della cifra è per le tasse). Non sto parlando del Prosecco, ma sto parlando del costo minimo di una bottiglia di vino. Nel catalogo “Vinmonopolet” non si trovano molte marche di Prosecco, forse sarebbe il caso di proporlo di più. In Norvegia ci sono somelier del Monopolio di Stato. Sono molto preparati per selezionare i vini che andranno nel catalogo del monopolio. Viaggiano per il mondo per assaggiare e scegliere i migliori vini. In Norvegia infatti tutto il vino è caro, ma non si troverà mai un vino cattivo, mai. Se qualcuno volesse approcciare il mercato norvegese dovrebbe puntare solo sulla qualità. Il catalogo del monopolio è diviso per stati per esempio Cile, Sudafrica, Francia, Italia dei quali sono selezionati solo i migliori vini.

10/Leggendo il suo libro “Il pescivendolo italiano in Norvegia”, mi ha incuriosito la sua osservazione riguardo al suo amico norvegese che “dopo il lavoro, amava vestirsi elegante con
delle belle scarpe italiane”.

Come è visto il Made in Italy in Norvegia? Lei rappresentava ai loro occhi il made in Italy?

I norvegesi per loro cultura non esprimono mai direttamente un complimento. Ma sì, mi pare di aver avuto questo riconoscimento solo per il fatto di essere italiano. In Norvegia la moda migliore è intesa come moda italiana. Ci sono tantissimi negozi a Bergen con marchi italiani che non sono prodotti in Italia, ma almeno i capi ritenuti di qualità e dunque quelli più costosi hanno una parvenza italiana, anche se non so se siano italiani. Il negozio a Bergen si chiama Davinci e ci sono solo marche italiane e le belle scarpe in cuoio. Il riferimento al Made in Italy non è solo rispetto alla moda o ai ristoranti, ma anche rispetto ai rivestimenti in piastrelle. I Norvegesi, in massa, hanno scoperto quanto sia bello avere un bagno piastrellato e riscaldato a pavimento.
Anche le cucine italiane andavamo molto ora forse un po’ meno.

11/ Sempre dal suo libro ho trovato molto interessante la descrizione dei diversi modi di acquisto da parte dei turisti delle diverse nazioni. Può condividere anche con noi la tipologia di acquirenti che ha conosciuto?

Il Primo approccio è sempre molto importante, nel mio libro racconto la relazione commerciale in un negozio, mentre in altri ambiti entrano in gioco gli sguardi, i modi di atteggiarsi che sono diversi a seconda della nazionalità. Prima, per esempio, parlavamo della simpatia tra Russi e Italiani che nasce quasi naturale. Il rapporto invece tra cliente e venditore in un negozio è estremamente diversa. I Norvegesi per esempio sono molto freddi ed essenziali e dopo l’acquisto, ma solo dopo, si può instaurare un rapporto più amichevole. E’ un approccio che si capisce con il tempo, osservando, e solo dopo si capisce quali sono state le dinamiche. Per esempio iniziare un rapporto con un norvegese, dimostrandosi troppo amichevoli non è buon segno perché sei lì per parlare di business, di prezzi e bisogna essere piuttosto chiari e rispettare quello che ci si è detti anche se non è per iscritto.

12/A suo parere un giovane con quali qualità e competenze può pianificare di andare a lavorare all’estero?

Sicuramente se si ha una Formazione professionale, culturale alle spalle si ha più possibilità di chi ha un range più ristretto. Però c’è un altro fattore molto importante e cioè “come ci si sente a pelle”. Ci sono le persone che a pelle non stanno bene in Norvegia, ci sono altre che si trovano perfettamente perché il modo di interloquire è consono al loro modo di essere. Non è solo una questione di tipologia di lavoro ed è per questo che è difficile da spiegare perché è una sensazione . Io conosco persone che non sono felici nel fare un lavoro in Norvegia, altre che stanno benissimo facendo lo stesso lavoro. Ci sono persone portate a sentirsi bene in quell’ambiente altre no. In Norvegia sarà molto più facile per chi ha una forte motivazione alla famiglia perché c’è una politica di sostegno efficace.
Se ho il desiderio di avere un figlio e so che starò assieme per un anno senza avere la preoccupazione di rientrare al lavoro, ecco questo desiderio è garantito in Norvegia.
Condivido la mia esperienza quando presento il mio libro che è stato inserito nelle guide turistiche di rilievo. Cerco di parlare della Norvegia e del modo diverso di fare le stesse cose. Un esempio è l’attenzione nei confronti dei bambini. Quando sono qui in Italia insegno alla scuola primaria, quando vado lì studio e trasporto qui il loro modo di fare. Il punto di vista esterno è molto importante per cambiare ed innovarsi.

13/A proposito di innovazione ha avuto riscontro nella vita quotidiana del fatto che la Norvegia è uno dei paesi più innovativi?

Sì sono degli innovatori. Per decenni sono stati una nazione molto ricca e ciò si vede dai lavori che si fanno nelle città in continuo cambiamento. Lo si vede dalle politiche per l’università, per le famiglie, per i giovani. Per la quantità di denaro che passa per le mani della famiglia. I soldi ci sono, da paese povero degli anni ’70 è diventato uno tra i più ricchi al mondo.
Un aspetto innovativo che è accaduto in questi ultimi due anni e che coinvolge la vita quotidiana, è l’aumento delle auto elettriche, facilitato molto da politiche efficaci. Chi ha un’auto elettrica non paga i parcheggi e anche i traghetti e quando va al supermercato può ricaricare gratis la batteria della macchina.