AIV presenta: Il bilancio integrato quale strumento di valutazione per uno sviluppo equo e sostenibile

Associazione Italiana di Valutazione (AIV) al XXI Congresso Nazionale introduce gli obiettivi per la pianificazione dello sviluppo sostenibile


Economia - pubblicata il 22 Febbraio 2019


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Fonte: ufficio stampa ASSOCIAZIONE ITALIANA DI VALUTAZIONE (AIV)
Il bilancio integrato quale strumento di valutazione per uno sviluppo equo e sostenibile
di Renato Chahinian*
Gran Sasso Science Institute
School of Advanced Studies
L’Aquila, 5/7 aprile 2018
*Consulente – ricercatore indipendente in economia e finanza dello sviluppo
e-mail: renato.chahinian@gmail.com
1 – Il bilancio integrato e la valutazione dello sviluppo equo e sostenibile
Il tema prescelto per il XXI Congresso Nazionale dell’Associazione Italiana di Valutazione riguarda lo sviluppo equo e sostenibile, che ormai si è affermato quale obiettivo di fondo per la
complessiva evoluzione del pianeta e quindi come fine ultimo di tanti obiettivi intermedi posti in essere da tutte le organizzazioni e dalla stessa popolazione a livello mondiale.
Naturalmente, come rilevato nella presentazione del tema della call, un così vasto ed articolato argomento richiama concetti chiave molto differenti e l’esigenza di conciliare dimensioni
diverse ed a volte in contrasto tra loro, come, ad esempio, gli aspetti economici, sociali ed ambientali di ogni azione pubblica e privata. Inoltre, sono stati evidenziati i 17 obiettivi generali
per lo sviluppo sostenibile individuati con l’Agenda 2030 ed è stata sottolineata l’esigenza di definirli, pianificarli ed incrociarli con i bisogni territoriali e settoriali della nostra società
tramite la funzione insostituibile della valutazione, per orientare gli operatori e migliorare i risultati da conseguire.
Tra i molti argomenti e problemi di possibile riflessione sullo sviluppo sostenibile, alcuni dei quali sono già stati presentati in paper di precedenti Congressi[1], è importante proporre in
questa sede l’utilizzo di uno strumento comune per la valutazione dello sviluppo da un punto di vista integrato, al fine di meglio coordinare e sintetizzare giudizi di merito che possono risultare
differenti a seconda dei multiformi aspetti che comprendono l’ampio concetto di sviluppo sostenibile e la sua declinazione in tanti obiettivi collegati, ma separatamente individuabili e rilevabili.
L’ovvia constatazione che il pervasivo obiettivo generale dello sviluppo sostenibile coinvolge, oltre che ciascun individuo, anche qualsiasi tipo di organizzazione, induce a ricercare,
indipendentemente dai disegni e dalle metodologie valutative, uno strumento comune di partenza sulla base del quale, con successive elaborazioni, programmare, controllare e valutare a consuntivo il
grado di perseguimento dell’obiettivo stesso. Tale strumento può esser dato proprio dal bilancio economico – finanziario, che ogni organizzazione, seppur in forma diversa a seconda della propria
specificità, è tenuta a redigere[2]. L’integrazione dei risultati evidenziati nel bilancio economico, accompagnato dai prospetti e dalle relazioni che illustrano le attività svolte, con quelli
conseguiti sotto l’aspetto sociale ed ambientale delle medesime attività[3], può costituire quindi una base quantitativa (ma anche qualitativa) per l’espressione di un giudizio ponderato di
valutazione dello sviluppo sostenibile realizzato.
Al riguardo, sorgono generalmente problemi di quantificazione dei risultati e pure difficoltà di unità di misurazione confrontabili, ma è comunque possibile, con idonei parametri, formulare giudizi
qualitativi sufficientemente esaustivi e precisi sia per gli enti pubblici, sia per le imprese, sia per le organizzazioni non profit, come verrà chiarito nel corso del lavoro.
In questo modo, con l’integrazione dei tre predetti aspetti dello sviluppo sostenibile, collegati in un unico documento e sintetizzati in uno o più prospetti connessi, è possibile meglio
evidenziare i tentativi di estensione all’impatto dell’azione pubblica, di cui la più recente letteratura sulla valutazione si sta occupando e che è pure riferibile alle azioni private di
responsabilità sociale. L’affiancamento dei costi ai benefici delle diverse iniziative intraprese o da intraprendere, infatti, risulta assai più agevole nell’ambito di schemi e metodologie
contabili, anche se comprendenti molti valori stimati o valutazioni qualitative.
Pertanto, questo breve lavoro riguarderà :

la nuova normativa sulle informazioni non finanziarie, che ha introdotto l’obbligo, per le maggiori società, di fornire informazioni anche non finanziarie sulla gestione annuale;

il bilancio integrato per la rappresentazione dello sviluppo sostenibile;

i principali modelli esistenti di bilancio integrato e le loro possibilità di evoluzione in relazione ad un’informazione sempre più ampia ed attendibile dell’attività di ciascuna
organizzazione;

considerazioni finali e suggerimenti in merito alla difficile rappresentazione di una valutazione integrata dello sviluppo sostenibile.

2 – L’evoluzione della normativa sui bilanci
Innanzi tutto si deve considerare che anche il contenuto e la valutazione dei bilanci economico – finanziari, previsti per le imprese e per la P.A., sono in continuo divenire, in quanto la
rappresentazione della situazione economica di enti ed imprese, seppur per motivi diversi, non è tuttora considerata soddisfacente, soprattutto perché la visione passata della rendicontazione
economica dava molta importanza ai risultati immediati di quanto era stato fatto nel corso dell’anno ed alla situazione contabile finale, senza obbligatoriamente valutare gli effetti futuri di tale
operato annuale.
Pur non entrando nei dettagli, è appena il caso di sottolineare che alcune valutazioni di bilancio oggi devono far riferimento al fair value, che comprende anche valutazioni sulle capacità
future dei cespiti patrimoniali di produrre nuovo reddito. Inoltre, è ormai assodato che il valore economico di una qualsiasi azienda dipende, oltre che dalle attività e passività del proprio
patrimonio, dalla qualità della forza lavoro (capitale umano) e dalla capacità di questo di creare innovazione a fini di produttività e competitività (e quindi di crescita
economica). Pertanto, nelle relazioni accompagnatorie del bilancio, si devono valutare almeno qualitativamente questi aspetti, i quali, seppur con valutazioni di fattori diversi, vanno
considerati anche nelle relazioni ai bilanci di enti pubblici. Infatti, l’aspetto economico è determinante pure nel funzionamento delle Amministrazioni e pertanto i bilanci delle organizzazioni
pubbliche, oltre alla dinamica finanziaria delle entrate – uscite, devono dar conto dell’efficienza, efficacia ed economicità dell’azione svolta, requisiti che, in estrema sintesi, si riconducono
all’obiettivo del massimo risultato in pareggio di bilancio.
Analogamente alla P.A., anche il terzo settore non ha fini economici, ma deve garantire il miglior risultato statutario in presenza di pareggio di bilancio e quindi tale obiettivo deve essere
almeno qualitativamente illustrato nella relazione annuale della gestione. In conclusione, in un’ottica di sostenibilità, quale oggetto essenziale di valutazione di un’organizzazione o di
una singola iniziativa di medio – lungo termine, pure il giudizio strettamente economico va allargato e generalmente si presenta diverso da quello puramente contabile[4].
Come già indicato in premessa, il bilancio economico previsto dalle norme va sempre più allargando il proprio obiettivo d’indagine anche agli altri aspetti dello sviluppo sostenibile ed in
particolare a quelli sociali ed ambientali.
Innanzi tutto, l’oggetto sociale è proprio dell’attività della maggior parte degli enti non profit e della stessa P.A. e pertanto in queste organizzazioni la valutazione sociale è basilare.
Infatti, ogni rendicontazione non può che rapportare le evidenze contabili all’attività effettivamente svolta ed al grado di raggiungimento degli obiettivi prefissati; ma per le Amministrazioni si
è voluto prevedere un vero e proprio bilancio sociale con una direttiva del Dipartimento della Funzione Pubblica nel 2006.
Per le imprese, che statutariamente non avrebbero fini sociali, la diffusione dei principi dello sviluppo sostenibile e dell’etica imprenditoriale e manageriale (soprattutto come reazione agli
abusi perpetrati da molto tempo sugli equilibri sociali ed ambientali a livello mondiale) ha creato l’affermazione di una vasta corrente di pensiero sulla responsabilità sociale d’impresa,
per cui l’obiettivo del profitto può essere ugualmente conseguito anche con una particolare attenzione agli aspetti sociali ed ambientali[5]. Anzi, ora esistono iniziative meritevoli da questi
punti di vista che trovano un notevole riconoscimento da parte del mercato, tanto che la loro pratica apporta alle imprese stesse maggiori ritorni economici. Più in generale, si è riconosciuta
all’impresa la possibilità di creare valore non soltanto per l’azionista, ma per tutti gli stakeholder di riferimento, comprese pure le comunità locali in cui questa opera[6],
indipendentemente dall’attività economica svolta, ma in relazione allo sviluppo economico conseguito, per cui una crescita delle dimensioni d’impresa produce uno sviluppo sociale nel territorio.
Proprio in funzione di tali considerazioni è stata introdotta la direttiva europea 2014/95/UE, che è stata recepita recentemente nell’ordinamento italiano con D.Lgs. n.254/2016, il quale ha
previsto, a partire dall’esercizio 2017, una Dichiarazione non finanziaria obbligatoria per le società quotate in Borsa e per gli enti di interesse pubblico rilevanti (con più di 500
dipendenti e con un capitale investito di oltre 20 milioni di euro o con ricavi superiori ai 40 milioni). Detta dichiarazione deve contenere informazioni sui seguenti temi: ambientale, sociale,
relativi ai dipendenti, al rispetto dei diritti umani, alla lotta contro la corruzione attiva e passiva (nell’ambito dell’attività aziendale).
Anche se queste informazioni possono essere comunicate a parte, è chiaro che la sede più opportuna per presentarle è quella dell’approvazione del bilancio nell’assemblea dei soci e quindi la
dichiarazione dovrebbe costituire almeno un allegato al bilancio per una sua integrazione con questi ulteriori aspetti della realtà aziendale. In altri termini, dalle cifre del bilancio economico –
finanziario, si dovrebbe passare alle cifre del bilancio sociale anche con indicatori e misurazioni diverse, nonché con valutazioni qualitative.
Ma il bilancio sociale, proprio per la sua valenza di responsabilità d’impresa, potrebbe essere presentato, indipendentemente dalle dimensioni, da tutte quelle imprese che ritengono di impegnarsi
su questo fronte e quindi assisteremo nei prossimi anni ad una proliferazione di tali rendiconti, anche perché l’aspetto sociale ed ambientale comincia ad essere percepito pure dallo stesso
investitore (azionista o creditore dell’azienda), il quale preferisce ottenere una remunerazione più limitata del proprio investimento in cambio di un effetto “etico” prodotto dal medesimo
(finanza etica). Ovviamente ciò comporta la necessità di offrire al pubblico una valutazione di sintesi dei copiosi numeri e risultati che di volta in volta dovranno essere presentati,
soprattutto sotto l’aspetto dell’effettivo impatto conseguito sui destinatari degli interventi complessivi.
3 – Il bilancio integrato quale strumento di rappresentazione e valutazione dello sviluppo sostenibile aziendale
Come si è accennato, i dati di natura non finanziaria previsti dalla normativa comprendono in senso lato tutti i maggiori aspetti riguardanti lo sviluppo sostenibile (esclusi soltanto quelli più
strettamente economici, perché già indicati nel bilancio di esercizio). Pertanto, anche se le norme, al momento, non ne tengono conto (e quindi lasciano libera l’impresa o l’ente interessato di
presentare le informazioni finanziarie e non finanziarie in occasioni differenti), sorge l’esigenza di integrare i dati delle due rilevazioni, per arrivare ad avere una visione sintetica dei
risultati conseguiti.
In questo modo, il bilancio integrato o report integrato è “una comunicazione sintetica che illustra come la strategia, la governance, le performance e le prospettive di
un’organizzazione, nel contesto del relativo ambiente esterno, consentono la creazione di valore nel breve, medio e lungo termine” (IIRC, 2013). I due aspetti, quello economico-finanziario e
quello sociale-ambientale[7], difficilmente si potranno fondere in un unico prospetto di bilancio, ma la presentazione coordinata di entrambe le situazioni può portare ad un giudizio di sintesi di
creazione di valore per l’insieme degli stakeholder. D’altro canto, come è stato accennato sin dall’inizio, lo sviluppo sostenibile comprende tutti gli aspetti predetti.
In tale ottica: si offre un’informativa completa della realtà aziendale, si integrano i processi di reporting interni ed esterni e si connettono i sistemi informativi nelle diverse aree aziendali.
Inoltre, la valutazione di sostenibilità potrà divenire effettiva (mentre ora è affidata a processi analitici diversi secondo la specialità delle singole componenti) ed orientarsi alla
sistematicità dei risultati nell’ambito di un modello dinamico che tiene conto della complessità attuale. Tutto ciò dovrebbe portare ad una logica integrata pure nelle decisioni aziendali, che
rappresentano in ultima istanza i fattori determinanti dell’andamento di ogni organizzazione pubblica o privata.
Infatti il report, oltre a misurare e comunicare i fenomeni rilevati, assume un significato di responsabilità (accountability) degli organi di governo aziendale in relazione alle performance
dell’organizzazione nei confronti dell’obiettivo di sviluppo sostenibile e quindi si dovranno valutare gli impatti (positivi o negativi) generati dall’operare dell’organizzazione medesima. In
sintesi, la strategia aziendale viene giudicata anche in rapporto all’etica manageriale che deve oggi pervadere ogni operatore in presenza dei rischi globali che ci coinvolgono. Si sta formando
così un genere di pensiero integrato (integrated thinking) e di gestione integrata (integrated management).
L’obiettivo finale risulta allora la creazione di valore non soltanto per gli azionisti, ma per tutti e si può ugualmente chiamare valore aggiunto in quanto:

remunera gli azionisti ed i creditori per il capitale investito;

offre lavoro e remunera i dipendenti;

effettua nuove attività con fornitori, clienti e professionisti;

promuove nuove iniziative sociali, culturali ed ambientali con la collettività di riferimento;

finanzia la spesa pubblica attraverso il pagamento delle imposte dovute;

mette in moto il moltiplicatore dei consumi;

adotta processi di produzione che non danneggino l’ambiente (evitando così una maggiore spesa sociale futura per la riparazione dei danni);

ricerca risparmi energetici (consistenti in minori consumi di energia ed in fonti meno inquinanti, che, indipendentemente dal loro costo di mercato, creano minori costi ambientali per la
collettività[8]).

Ovviamente la considerazione di tutti questi elementi comporta l’individuazione di un sistema di valori, di obiettivi e di indicatori che devono essere definiti in anticipo, monitorati
progressivamente e valutati a consuntivo, nel breve, medio e lungo periodo. In particolare, il consuntivo integrato deve indicare, più o meno estensivamente, ma chiaramente:

una panoramica sull’organizzazione e sull’ambiente esterno;

il modello di business;

le opportunità ed i rischi connessi;

la strategia e l’allocazione delle risorse;

la governance per creare valore;

la performance conseguita;

le prospettive future.

Come si può constatare, si tratta di un qualsiasi processo di reportistica, ma in cui è determinante la complessità, la connessione degli obiettivi e la valutazione di creazione di valore
pubblico (sia per il pubblico che per il privato) che coinvolge la collettività nel suo insieme[9].
4 – I modelli esistenti di bilancio integrato
Mentre per le informazioni di bilancio economico-finanziario esistono modelli ben precisi e consolidati nel tempo, per di più obbligatori secondo le norme vigenti[10], la vastità degli aspetti non
finanziari, la ancora giovane ricerca su questi temi e la loro recentissima disciplina non hanno permesso, al momento, la fissazione di alcun modello univoco, né di schema generale di rendiconto.
Innanzi tutto, le prime grandi imprese multinazionali, che hanno voluto spontaneamente pubblicare un report integrato, hanno agito in maniera pionieristica e pertanto hanno presentato dati ed
informazioni in forma libera e discorsiva, mettendo in evidenza più intenzioni che risultati (e comunque per lo più qualitativi).
Successivamente, si sono diffusi i principi di sostenibilità dell’ONU e sulla base di questi è stato individuato un report di sostenibilità (Global Reporting Initiative (GRI) reporting
framework), in cui si dettano: alcune linee guida generali, gli indicatori di performance e la loro coerenza applicativa, i requisiti principali del documento e dei suoi contenuti, alcuni
supplementi sulle linee guida per i principali settori produttivi[11]. Si tratta comunque di riferimenti abbastanza generici e non vincolanti, per cui la forma di presentazione dei dati e delle
informazioni connesse è lasciata alla libertà degli estensori della pubblicazione, che spesso ha assunto, nella pratica, connotati autoreferenziali e poco confrontabili tra aziende diverse.
L’aspetto economico di lungo termine (quello non riferibile ai dati contabili, come già accennato nel secondo paragrafo) è stato approfondito teoricamente con l’individuazione di tre tipi di
capitale:

capitale umano (conoscenze, competenze, capacità, impegno del personale);

capitale strutturale (risorse tangibili ed intangibili a disposizione);

capitale relazionale (insieme delle relazioni dirette ed indirette con tutti gli stakeholder).

Sulla base di questi si può individuare un sistema di input e di output (KPI – key performance indicator) che può fornire una rappresentazione più ampia ed esauriente delle prospettive
aziendali future di lungo termine e che è stato definito business reporting con la formulazione di un reporting framework presentato dalla World Intellectual Capital Initiative
(WICI). In questo caso si tratta di valutare le capacità future dell’impresa di dar luogo a risultati positivi economici, sociali ed ambientali in una prospettiva di media/lunga scadenza con le
risorse esistenti di capitale (nei tre aspetti sopra indicati).
Infine, come reporting generale di integrazione, l’International Integrated Reporting Council (IIRC) ha predisposto un framework basato sui principi, proprio per tener conto
dell’ampio oggetto d’indagine e della rilevante variabilità dei casi concreti. La guida è dedicata principalmente alle imprese, ma, con opportune precisazioni ed adattamenti, possono avvalersene
anche le Amministrazioni pubbliche e le aziende non profit.
In particolare, quest’ultimo modello, prendendo lo spunto dai precedenti, ha previsto una guida più generale all’individuazione ed alla configurazione della creazione di valore (nell’accezione più
ampia) da parte delle imprese, ma rimangono ancora indeterminate le metodologie di valutazione dello stesso valore creato. Infatti:

le configurazioni di capitale vengono allargate (si parla anche di capitale naturale e di capitale organizzativo e si specificano meglio i diversi concetti);

i principi guida sono maggiormente ampliati;

i contenuti sono ulteriormente dettagliati;

si richiede un’assicurazione da parte di organi esterni sulla validità dei dati e delle informazioni non finanziarie in base a norme di revisione (standard ISAE 3000);

ma non si dice come il valore creato possa essere valutato e pertanto non si possono emettere giudizi obiettivi sui risultati conseguiti, pur in presenza di molte informazioni diversificate
sugli input (spesa, fattori impiegati, ecc.).

Parallelamente all’introduzione di questi modelli, nell’ambito amministrativo dell’economia aziendale si è andato affermando un modello che, partendo dal bilancio di esercizio (ed in particolare
dal conto economico) si esplicano contabilmente (ma in maniera più dettagliata) le voci che portano al valore aggiunto aziendale e successivamente quelle che si riferiscono alla sua
distribuzione tra le diverse categorie di stakeholder, anche in relazione alle attività sociali ed ambientali poste in essere[12]. In questo caso, il prospetto è certamente più chiaro sotto
l’aspetto dei costi monetari sostenuti dall’impresa per i diversi tipi di attività e quindi si possono fare maggiori e migliori confronti tra le diverse iniziative intraprese. Ma rimane comunque
indeterminato il valore pubblico creato, in quanto il valore aggiunto esprime i benefici monetari che l’impresa ha fornito ai terzi per effetto degli scambi effettuati, ma non il complessivo
impatto esterno nel medio lungo termine[13].
Eppure, l’elemento valutativo che più conta, nell’espressione di un giudizio su una qualsiasi attività, è proprio quello di definire un risultato. Invece spesso dobbiamo accontentarci di costi e di
risorse impiegate, che certamente danno una dimensione dello sforzo profuso per raggiungere l’obiettivo, ma non possono rassicurarci sul suo conseguimento, soprattutto se lo scopo di fondo è quello
ben articolato e complesso dello sviluppo sostenibile.
A tale proposito è da richiamare che tra le informazioni obbligatorie minime da indicare nella dichiarazione non finanziaria, prevista dal già citato decreto legislativo e dalle sue norme
applicative, figurano pure l’impatto a medio termine (associato ai fattori di rischio) sull’ambiente e quello sulla salute e la sicurezza dei lavoratori, ove possibile sulla base di ipotesi e
scenari realistici. Per tutte le altre informazioni obbligatorie si richiedono più semplicemente dati e notizie su quanto è stato compiuto e rilevato.
5 – Considerazioni conclusive e prospettiche
Quanto è stato detto nel precedente paragrafo dimostra l’importanza dell’azione intrapresa per valutare quanto si è fatto, si sta facendo e si farà per lo sviluppo sostenibile, diventato ragione di
vita per l’intero pianeta. Il bilancio integrato può essere uno strumento indispensabile per monitorare l’andamento delle singole organizzazioni (e poi, attraverso la somma dei bilanci integrati,
l’andamento di settori, territori e Paesi) verso i relativi obiettivi di sviluppo.
Già i modelli esistenti e le norme sinora introdotte possono permettere un avvio consapevole del reporting anche nelle materie non finanziarie e quindi gli enti tenuti a tali adempimenti
dovrebbero rendicontare in maniera sufficiente sulla sostenibilità delle loro attività. E’ auspicabile che queste pratiche si diffondano anche nelle imprese e negli enti minori ancora non tenuti a
ciò, perché impegnerebbero su questo fronte anche la parte più numerosa del nostro sistema produttivo ed ove i controlli di comportamento sono più affievoliti.
Tuttavia, come sopra accennato, le esigenze di perfezionamento della prassi e delle norme sono ancora notevoli, in quanto non basta descrivere ciò che è stato attuato, ma occorre individuare i
risultati conseguiti in una realtà complessa soprattutto per tre motivi:

la varietà di azioni possibili per il conseguimento dello sviluppo sostenibile;

la diversità di impatto di ogni azione a seconda degli aspetti valutativi;

l’ampiezza degli effetti nel contesto economico, sociale ed ambientale interessati.

Pur ritenendo che una soluzione certa, indiscutibile e definitiva non sia rinvenibile in presenza di simili problemi, qualche considerazione rivolta al perfezionamento dell’esistente si può
avanzare.
Innanzi tutto, la responsabilità sociale è stata troppo pensata per le imprese e poco per la P.A. ed il non profit, che invece hanno come fine primario proprio un’attività sociale, ma spesso non la
sanno gestire adeguatamente. Sotto questo aspetto, i principi ed i processi di formazione del bilancio integrato andrebbero chiariti e diffusi anche per queste categorie di enti.
Poi, sotto l’aspetto economico per tutti, l’integrazione del conto economico con dati più specifici sulla formazione e distribuzione del valore aggiunto andrebbe istituzionalizzata in un bilancio
economico-sociale-ambientale, che indichi tutti gli importi monetari riferibili a ciascun aspetto, corredato poi da dati ed informazioni quali-quantitative non monetarie, in modo da evidenziare le
risorse e l’intensità del loro impiego per i diversi scopi.
L’aspetto economico di lungo termine si può anche stimare in relazione alla qualità dei capitali aziendali (come indicato in precedenza a proposito del Business report) e così, indipendentemente
dai risultati sinora conseguiti presentati nel bilancio, si può avere una razionale aspettativa che le risorse attuali siano più o meno remunerative in futuro.
Infine, è decisivo l’impatto delle operazioni in corso nel medio-lungo termine e ciò è particolarmente importante nel giudizio finale per i programmi complessi, e tanto più in questa situazione ove
si deve valutare un insieme di programmi complessi riferiti ad un’organizzazione che deve creare globalmente nuovo valore pubblico per la collettività.
Le analisi costi – benefici e costi – efficacia possono dare attendibili risultati (sebbene sempre su stime approssimative), se le valutazioni di impatto sono corrette e soprattutto
se tengono conto di:

programmi di sviluppo simili;

metodi misti nell’ambito dell’apprendimento di esperienze passate per il miglioramento di quelle future;

l’autoapprendimento per generare il miglioramento;

tutti i cambiamenti derivanti dagli effetti del programma nel lungo termine;

i nessi qualitativi e gli ordini di grandezza del contributo del programma all’intero contesto socio-economico-ambientale

la valutazione congiunta degli effetti micro e macro economici[14].

Tutti questi accorgimenti dovrebbero portare alla presentazione di un bilancio integrato completo che renda conto di quanto si sta facendo per lo sviluppo sostenibile e degli effetti (prodotti od
in via di formazione) sull’intera collettività. Gli obiettivi specifici possono essere individuati tra quelli generali (i 17 Goals indicati nell’Agenda 2030[15]), ma questi possono essere
ulteriormente semplificati e raggruppati nei tre aspetti sintetici (economici, sociali e ambientali) per favorire l’integrazione nella loro analisi e valutazione.
In conclusione, da un punto di vista operativo, le fasi salienti del processo di programmazione – controllo – rendicontazione di ogni organizzazione dovrebbero essere le seguenti, dopo
l’approfondimento della vision e della mission:

formulazione di una strategia economico-sociale-ambientale integrata;

individuazione degli obiettivi relativi e loro possibilità di integrazione e misurazione;

rilevazione delle operazioni in corso sotto l’aspetto monetario;

individuazione ragionata dei benefici nel medio-lungo termine, tenendo conto anche degli impatti diffusi sulla collettività;

misurazione monetaria di tutto quanto può essere valutato in tale forma[16];

misurazione quantitativa (con indici non monetari) e qualitativa (con giudizi di vario tipo) di tutti gli effetti non monetari;

raffronto costi – benefici, tenendo conto delle differenti unità di misura, e formulazione di un giudizio integrato finale.

[1] Direttamente collegati alla valutazione dello sviluppo sostenibile, si segnalano i paper dell’autore: Chahinian (2016) e Chahinian (2017).
[2] Il bilancio non è soltanto uno strumento informativo obbligatorio per le imprese, ma è da sempre la guida (a preventivo) ed il rendiconto (a consuntivo) dell’attività della P.A. e recentemente
è stato pure introdotto anche per gli organismi non profit (seppure in forma semplificata) con il nuovo Codice del terzo settore (Dlgs. n. 117/2017).
[3] E’ importante sottolineare che le imprese, operanti in campo economico, possono comunque svolgere anche attività di carattere sociale ed ambientale e che il terzo settore e quello pubblico, pur
operando istituzionalmente nel campo sociale ed ambientale, possono ugualmente svolgere operazioni di natura economica. Inoltre, rimane il fatto che qualsiasi azione di qualunque ente ha
contemporaneamente caratteri economici, sociali ed ambientali.
[4] Può essere migliore, se la gestione è stata oculata e preveggente degli andamenti futuri dell’economia; altrimenti peggiore. Ovviamente la previsione non può che basarsi su un’evoluzione
sostenibile anche dei fenomeni economici in un’ottica etica e responsabile, perché soltanto così si crea progresso.
[5] Già alla fine del secolo scorso si introducevano i nuovi concetti sulla responsabilità sociale di impresa e successivamente si è arrivati pure ad una definizione di impresa
irresponsabile (Gallino, 2005).
[6] E’ notorio il valore aggiunto creato alle economie locali per il semplice fatto di avere assunto lavoratori e di avere intrattenuto rapporti con altre imprese del territorio. Il mantenimento di
tali rapporti deve essere un obiettivo di sviluppo anche per l’impresa già insediata e da qui traggono origine i principi del Total quality management (Chahinian et al., 2006).
[7] E’ da tener presente che il bilancio sociale recentemente è stato ampliato anche con la considerazione degli aspetti ambientali, sebbene spesso i dati e le notizie riportate risultino molto
eterogenei tra loro.
[8] Nel lungo termine, comunque, gli eventuali maggiori costi iniziali delle energie rinnovabili creano notevoli risparmi di costi per l’approvvigionamento futuro.
[9] La maggior parte di queste considerazioni sono tratte da Riccaboni (2015).
[10] Il bilancio di esercizio, infatti, è rigidamente regolamentato in ogni sua voce e nella Nota integrativa si deve dare spiegazione di ogni importo indicato, mentre la Relazione al
bilancio deve illustrare gli avvenimenti che hanno determinato la situazione generale evidenziata dal bilancio medesimo.
[11] Per maggiori dettagli su questo, come sui successivi modelli esistenti citati, anche con alcuni esempi applicativi di grandi imprese, si veda Lenoci (2014) ed i siti delle organizzazioni che
hanno promosso i vari framework.
[12] Si tratta di un bilancio sociale, corredato da principi di redazione ad opera del Gruppo di studio per il Bilancio Sociale (GBS) (v. Oliva, 2016).
[13] Come per tutte le valutazioni di lungo periodo, si possono conoscere con una certa precisione i costi per intraprendere le diverse iniziative, ma i benefici diventano effettivamente palesi (se
misurabili) soltanto a conclusione delle stesse. Poiché un bilancio non rappresenta soltanto le operazioni portate a compimento durante l’esercizio, ma anche quelle in corso, per quest’ultime
l’esito è ancora incerto, si manifesterà anche in tempi molto distanziati e sarà comunque di difficile determinazione, soprattutto se si riferisce ad aspetti sociali ed ambientali.
[14] Sugli approcci teorici di queste esigenze relative alla valutazione di impatto, si vedano soprattutto: Stame (2016), Stern (2016), Tomei (2016) e Marra (2017).
[15] Una descrizione sufficientemente analitica degli obiettivi, degli indicatori più idonei e dei loro target raggiungibili entro il 2030, secondo un modello proposto dalla Fondazione ENI Enrico
Mattei, è rinvenibile nel Rapporto ASVIS 2017.
[16] In Chahinian (2016) sono indicate le possibilità di monetizzare non solo i benefici economici, ma anche una larga parte di benefici sociali ed ambientali.

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