Confronto sui centri commerciali a cura del Presidente della Camera di Commercio Mario Pozza.

I dati di una nuova tendenza d’ acquisto


Economia - pubblicata il 21 Agosto 2017


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Volevo dare il mio contributo positivo su una questione così delicata come quella dei grandi centri commerciali sollevata dal Presidente di Confcommercio Renato Salvadori e dall’Assessore
comunale Camolei.
Non si tratta della solita polemica estiva che trova l’attenzione della stampa e dei cittadini in ferie sotto l’ombrellone. La discussione ritengo abbia una valenza strategica per lo sviluppo
armonico dei territorio e del sistema economico locale e deve essere osservata con gli occhiali giusti.
Con quali occhiali, per l’appunto, dobbiamo guardare la cosa?
Secondo me, ha ragione Salvadori a chiedersi che fine faranno questi centri commerciali da qui a 10 anni. E’ molto riduttivo considerare questa posizione “di parte”, solo perché proveniente da chi
rappresenta, in prevalenza, il commercio al dettaglio.
Si tratta invece di un’osservazione che guarda avanti, che si interroga sulle tendenze, che associa al tema del “fare la spesa”, altri grandi temi quali il diverso atteggiamento delle persone di
fronte all’esperienza d’acquisto, nonché il progressivo invecchiamento della popolazione. Che inevitabilmente contrasta con la persistente idea di riempire di quantità il “maxi-carrello” della
spesa, in luoghi esterni al tessuto urbano.
I numeri servono a mettere in ordine le idee. In provincia di Treviso, negli ultimi 5 anni (dal 2011 al 2016) la popolazione in età compresa fino ai 64 anni è calata di quasi 9.000 unità; mentre la
popolazione anziana (65 anni e più) è cresciuta di 18.800 unità (fonte: Istat). Ad oggi, sono 190.000 le persone in provincia con 65 anni e più, pari al 21,4% della popolazione e totale. Una quota
destinata a salire di ulteriori 10-12 punti percentuali nei prossimi 20 anni.
A questo segmento crescente di popolazione verrebbe più naturale associare il bisogno di fare la spesa presso esercizi di vicinato, con tutti i servizi complementari che si possono immaginare,
piuttosto che costringerli a prendere l’auto e andare a fare la spesa nelle grandi superfici.
Bene, a fronte di questa tendenza demografica di fondo, immodificabile nel medio periodo, sono proprio le piccole superfici ad essere state penalizzate negli ultimi anni. Tra il 2011 e il 2016
abbiamo perso in provincia di Treviso 30.000 metri quadri di vendita (-4,9%) riferiti ad esercizi con superfici inferiori ai 250 mq. Mentre la superficie di vendita riferibile ad esercizi con più
di 1500 mq è aumentata nello stesso periodo di quasi 23.000 mq. (+8,5%). In termini di punti vendita, nel periodo considerato abbiamo perso 249 esercizi di vicinato (di cui -69 nel comune di
Treviso, -39 nel comune di Conegliano, -43 nel comune di Vittorio Veneto, che peraltro è fra i comuni con il più alto indice di vecchiaia in provincia (211 anziani ogni 100 giovani sotto i 15
anni).
La cosa che mi rattrista è che noi qui a Treviso, attorno a questi temi, ci costruiamo la solita polemica. Ci dividiamo. Con i Comuni in cerca di fare cassa con gli oneri di urbanizzazione. In giro
per il mondo, invece, sono gli stessi operatori della grande distribuzione ad invertire la tendenza. A ripensare i loro format di vendita, rendendoli più compatibili con la logica del “piccolo e
urbano”.
Negli Usa, il colosso della distribuzione Walmart ha ormai ri-brandizzato 700 dei suoi Walmart Express, piccole superfici di prossimità, in Walmart Neighborhood, il Walmart del vicinato. Analoga
operazione la sta facendo Dollar General, catena con 11.000 punti di vendita sparsi in 40 Stati degli Usa, che prevede store di piccole dimensioni, inserite nel tessuto urbano, con un
posizionamento molto chiaro: offerta di prodotti di marca ad alta rotazione, prezzi concorrenziali, evitare che il consumatore prenda l’auto per recarsi fino ai grandi magazzini fuori città.
In Europa, Tesco e Sainsbury hanno da tempo deciso di puntare su store di ridotte dimensioni incentrati sui freschi e sul take away. Per non parlare delle tendenze legate a coniugare vendita e
“Food experience”, in Italia ancora relegata a poche insegne e nelle grandi città. Mentre all’estero trova declinazione anche nei mercati coperti, un trend questo in forte sviluppo da anni, diffuso
anche in Italia fino a 20 anni fa, e che solo oggi sta ritornando in voga.
Ma vorrei aggiungere questa ultima considerazione, che travalica gli aspetti strettamente economici.
La permanenza di un esercizio di vicinato in un tessuto urbano, in città come in un comune della nostra pedemontana, o in una vallata del bellunese, diventa al tempo stesso la permanenza di un
punto d’interazione forte fra commercio, tipicità, tradizioni, vita della comunità. Fa parte integrante di un sistema di relazioni.
Sia chiaro, la Grande Distribuzione Organizzata avrà sempre il suo mercato. Non si tratta di ragionare in termini di contrapposizione. Si tratta di interrogarci, fuori dalle polemiche, su un
diverso equilibrio fra modelli: fra approccio “massivo” alla spesa, rispetto al rinato bisogno di un’esperienza d’acquisto fondata sulla relazione e sui servizi.
E’ la forza dei numeri che ho sopra commentato ad imporci una seria riflessione al riguardo. E sono anche convinto che attorno a questi numeri, giovani imprenditori dinamici possano essere capaci
di inventarsi nuovi modelli di business. Basta non accontentarsi di battere le solite strade: che non portano mai innovazione.
Sta crescendo la spesa, anche piccola, prenotata via Internet e consegnata a domicilio. Talvolta con l’aggiunta della preparazione del pasto. Le degustazioni di prodotti tipici si possono fare
nelle botteghe più di tendenza per il “food experience”, come nei mercati in piazza. Anche certe insegne italiane si aprono a gestire negozi di vicinato, sulla base di una sempre più diffusa
strategia della multicanalità.
Non c’è contraddizione. Siamo solo noi che vogliamo vederla, quando la realtà sta andando verso l’integrazione di canale. Che soddisfa molto di più le esigenze dei clienti. Che è vincente per
tutti.
Un grande della nostra cultura d’impresa, Michele Ferrero deceduto un paio di anni fa diceva che il capo della sua azienda era la “signora Valeria” non Valeria, sua moglie, ma quella che tutti i
giorni comperava i suoi cioccolatini e la famosa Nutella al banco del negozio e perfino della tabaccheria.
Che non convenga anche in questa fase di trasformazione e di riorganizzazione delle reti commerciali ascoltare la famosa “Signora Valeria”?

Presidente della Camera di Commercio Treviso – Belluno

Mario Pozza.

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