Fonte: ufficio stampa Renato Chahinian
Nel precedente articolo
del 21 gennaio (Servono aiuti finanziari per superare le difficoltà economiche) avevamo parlato dei finanziamenti necessari a superare economicamente le difficoltà della crisi pandemica ed
alla fine si era chiarito che successivamente sarebbero serviti altri finanziamenti per la crescita. Dato che la preannunciata uscita dall’emergenza sanitaria appare ormai vicina, è allora
importante occuparsi della ripresa e della resilienza che il nostro sistema economico deve assumere anche per il futuro, affinché possa avviarsi un periodo di crescita e per essere più forti ad
affrontare eventuali difficoltà successive.
Per fare ciò, le Autorità comunitarie hanno già provveduto ed il nostro Paese ha aderito presentando il ben noto Recovery Plan (ossia il “piano per il ricupero”), detto più
tecnicamente PNRR (Piano nazionale di ripresa e resilienza), il quale è lo strumento per accedere ai finanziamenti europei previsti dal programma Next generation
EU. In altri termini, in autunno (quando tutti i settori della nostra economia potranno ripartire integralmente, salvo nuove imprevedibili difficoltà), non basterà recuperare i livelli
produttivi ed i consumi antecedenti al marzo dello scorso anno (il cui recupero non è scontato a causa delle perdite registrate nel periodo della pandemia), ma bisognerà innescare un nuovo
meccanismo di crescita, in quanto il precedente funzionamento dell’economia non consentiva (nemmeno allora) un sostanziale processo di sviluppo.
Proprio per questo è sorto il predetto programma comunitario e sono stati offerti notevoli finanziamenti ai Paesi membri e soprattutto all’Italia, la quale, a causa dell’enorme debito pubblico
(divenuto ancor maggiore per i numerosi sostegni di quest’ultimo anno), dispone così di un’occasione unica per realizzare molti interventi che altrimenti non avrebbe mai potuto attuare. Ma
l’accesso ai finanziamenti (alcuni a fondo perduto, altri a debito) deve essere adeguatamente motivato e poi effettivamente comprovato da risultati positivi. Pertanto è importante che il PNRR sia
valutato ora nella sua idoneità a creare sviluppo (ovviamente sostenibile) e successivamente, a consuntivo, per verificarne il concreto impatto.
In questa sede è opportuno quindi giudicare sulla sua validità da un punto di vista generale, ma anche sulle opportunità che produrrà per le imprese (soprattutto per quelle minori), perché soltanto
così, alla fine, sarà possibile ottenere risultati di crescita per l’intero sistema. Poiché il Piano parla separatamente di riforme e di investimenti da realizzare, tratteremo sinteticamente le
riforme in questo primo articolo, rinviando ad un intervento successivo la valutazione degli investimenti previsti.
Una prima osservazione deriva dal fatto che le riforme sono trattate separatamente e quindi sembrano un qualcosa di diverso e di aggiuntivo rispetto agli investimenti. Ciò viene giustificato con il
motivo che le riforme devono accompagnare tutto il programma di investimenti e che anzi permettono una migliore attuazione di quest’ultimo, ma poi nella descrizione degli investimenti previsti
compaiono soltanto alcune riforme settoriali con adeguate indicazioni di spesa. In realtà viene espressamente affermato che talune riforme non abbisognano di stanziamenti, perché sono a costo
nullo.
Tenendo conto che da tempo la P. A. sforna riforme a costo zero generalmente con la formula “senza alcun onere per il bilancio statale” e poi queste non vengono attuate o vengono applicate male,
c’è da chiedersi se questa sia una strada valida per introdurre le nuove previste. In effetti, ogni riforma (anche la più semplice e la più banale) comporta sempre costi di programmazione
preventiva, di organizzazione del cambiamento e di controllo di efficienza e di efficacia delle innovazioni e pertanto non può mai avvenire senza costi aggiuntivi. La validità della riforma
soltanto successivamente permetterà il recupero di tali costi e, con il passare del tempo, pure un beneficio netto. Per queste considerazioni può sorgere qualche dubbio sulla buona riuscita delle
riforme non specificatamente finanziate.
Comunque, nel Piano vengono indicate le seguenti riforme generali:
riforme orizzontali:
– della P.A. (nell’accesso agli uffici pubblici, nella semplificazione di normee procedure, nelle competenze del personale e nella digitalizzazione);
– della giustizia (riduzione dei tempi del giudizio: interventi nell’organizzazione, riforma del processo civile, della giustizia tributaria, del processo e del sistema
sanzionatorio penale, dell’ordinamento giudiziario);
riforme abilitanti:
semplificazione e razionalizzazione della legislazione (amministrativa e normativa, in materia di contratti pubblici, in materia ambientale, di
edilizia e urbanistica, di interventi nel Mezzogiorno, di corruzione, digitalizzazione e valutazione della spesa);
promozione della concorrenza (infrastrutture strategiche, rimozione di barriere
all’entrata, concorrenza e valori sociali, vigilanza, ecc.).
Come risulta evidente, si tratta di riforme che coinvolgono buona parte del nostro sistema giuridico e certamente utilissime, ma di formulazione e di attuazione molto lunghe e complesse e che
pertanto richiederanno tempi di ultimazione ben oltre il 2026 (anno fissato per la conclusione del Piano). Comunque sarebbe sufficiente la realizzazione di parte soltanto di queste riforme (ad
esempio: semplificazione di norme e procedure e riduzione dei tempi del processo civile) per ottenere un sensibile beneficio di sistema in grado di riavviare l’economia e di rendere più efficienti
tutti gli investimenti programmati nel Piano. Infatti, rendendo più snelle le norme da applicare per la realizzazione di qualsiasi investimento, si abbassano i tempi ed i costi che riducono i
relativi benefici netti futuri, mentre, con la velocità di risoluzione dei conflitti giudiziali, si possono proseguire in minor tempo tutte le attività bloccate per contestazioni e svilupparne di
nuove.
In realtà, ogni operatore (sia impresa, che organizzazione non profit, che ente pubblico) ha bisogno di relazionarsi con altri operatori per svolgere al meglio le attività programmate. Soltanto in
un contesto di certezza del diritto e di snellezza nelle procedure (attuative ed eventualmente conflittuali) è possibile fare in modo che tali attività alla fine conseguano un soddisfacente ritorno
economico e sociale. Se così sarà possibile, gli impatti del Piano al 2026 saranno ben superiori pure a quelli previsti. Infatti, se quest’ultimo stima un incremento del PIL finale pari al 3,6 per
cento di quello che si verificherebbe in assenza di ogni investimento programmato, adottando efficacemente soltanto parte delle riforme indicate si potrà accrescere ulteriormente il PIL medesimo
anche più dell’1 per cento valutato dal Governo.
Come si nota, le prospettive sono buone ed i benefici saranno rilevanti per tutte le imprese, anche PMI e micro, ma le riforme sono il nostro punto debole. Se il programma degli investimenti, anche
in virtù della guida competente del nuovo Governo, appare valido e foriero di buoni risultati, la realizzazione delle riforme sarà comunque di difficile attuazione e dovrà superare molte
resistenze al cambiamento, oltre che complessità e divergenze, prima di esprimere tutti i suoi indubbi vantaggi.
Se non rimane che sperare in una favorevole evoluzione della questione, le imprese, in ogni caso, potranno meglio inserirsi nell’attuazione degli investimenti programmati, come si vedrà nel
prossimo articolo.