LA PAROLA “DESIGN” SIGNIFICA PROGETTO.

NEL NOSTRO CORSO DI LAUREA PREFERIAMO PARLARE DI “DISEGNO INDUSTRIALE” PER CARATTERIZZARNE LA PROPENSIONE VERSO LA PRODUZIONE, VERSO L’INDUSTRIA.[DESIGN] [UNIVERSITÀ]


Economia - pubblicata il 27 Maggio 2014


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Siamo lieti di intervistare il direttore del corso di laurea in Disegno industriale e multimedia, dott.ssa Laura Badalucco. Tra le varie tematiche affrontate abbiamo chiesto che cos’è il design
e quali sono i cambiamenti che dovrà affrontare. Una sfida che il direttore definisce tanto difficile in un momento come questo, ma altrettanto stimolante.

Ci può raccontare qualcosa di lei, della sua vita professionale?

Mi sono laureata al Politecnico di Milano con il prof. Attilio Marcolli e dal 1993 svolgo attività didattica e di ricerca sul design prima al Politecnico di Milano e poi all’Università Iuav di
Venezia, all’Accademia di Belle Arti di Brera e nel Corso di Laurea in Disegno Industriale dell’Università degli Studi della Repubblica di San Marino.
Nel frattempo ho svolto attività professionale, in particolare negli ambiti del packaging design, del paper engineering, degli allestimenti museali e della sostenibilità
ambientale e sociale.
Ancora oggi collaboro a diverse ricerche per enti italiani e internazionali e per diverse aziende, sempre nel campo del design relative, in particolar modo, alla qualità ambientale dei prodotti, al
Green Public Procurement, alla prevenzione dei rifiuti, all’ergonomia, alla formazione di base nel campo della progettazione e al packaging design.
Tra le tante ricerche, ho partecipato anche a Sistema Design Italia, Compasso d’Oro per la ricerca nel 2001 e nel 2011 il mio gruppo di ricerca dell’Università Iuav di Venezia (coordinato dal
prof. Medardo Chiapponi) ha vinto l’IIID Award, prestigioso premio internazionale per l’information design con un progetto sul superamento delle barriere percettive nei musei.
Ho scritto alcuni libri tra i quali Energia e design, Kirigami e Il buon packaging e più di 100 articoli sui temi del packaging design.
In questi ultimi anni sono stata anche il direttore del Master internazionale in “Design per la cooperazione e lo sviluppo sostenibile” dello Iuav e dal 2012 coordino a Treviso il corso di laurea,
sempre Iuav, in “Disegno industriale e multimedia”.

Cos’è per lei il design?

La parola “design” significa progetto. Possiamo affiancare ad essa tante altre parole: product, graphic, web, interior, packaging, medical, system solo per fare alcuni
esempi, ma la lista sarebbe lunghissima.
Nel nostro corso di laurea, ad esempio, preferiamo parlare di “disegno industriale” per caratterizzarne la propensione verso la produzione, verso l’industria. In ogni caso, resta costante un
elemento fondamentale insito nell’etimologia del verbo “pro-gettare”: quella sua propensione a “gettare avanti”, a guardare oltre, ad osservare con curiosità ciò che ci circonda con il desiderio di
risolvere concretamente dei problemi cercando di capire che senso avrà in futuro quanto oggi stiamo immaginando. Questi sono per me gli elementi fondamentali del design. Bruno Munari una volta
spiegò così il design: “osservare attentamente, capire profondamente, fare in un attimo”.
Abbiamo poi una grande responsabilità quando progettiamo un nuovo oggetto perché useremo le risorse che il nostro pianeta ci offre, il tempo delle persone, le economie, perché ciò che progettiamo
può incidere notevolmente nella vita delle persone (non pensate solo all’arredo: il design si occupa dei prodotti più disparati che ci accompagnano in tutti i momenti della nostra vita), dunque è
importante che i nostri studenti, futuri designer, abbiano la consapevolezza dell’aspetto etico del nostro lavoro.

Qual è lo stile nel design che predilige?

Non ho uno stile preferito perché, in realtà, quello che cerco in un prodotto non è altro che un buon design e questo può essere presente in prodotti anche formalmente molto diversi tra loro. Per
spiegare cosa intendo, prenderò a prestito le dieci regole del buon design proposte da Dieter Rams (direttore del dipartimento di design della Braun dal 1961 al 1995 e ispiratore del
design di Apple): il buon design è innovativo, rende un prodotto utile, è estetico, ci aiuta a capire un prodotto, non è intrusivo, è onesto, è durevole, si preoccupa
dell’ambiente, è consistente fino all’ultimo dettaglio, è il “meno design” possibile. Queste dieci regole offrono una strada da percorrere. L’importante, però, è che non diventino esse stesse una
gabbia rigida altrimenti perderebbero la loro qualità di base. Sono piuttosto uno stimolo, un invito a prestare attenzione ai prodotti, alle aziende, alle persone, al nostro pianeta.

Che rapporto ha il design con la tecnologia?

Un rapporto stretto e fondamentale, sia nel processo di ideazione, sia in quello di realizzazione. Questo rapporto – a volte incentrato su una piena condivisione, ma altre su una critica
costruttiva – è tanto importante da far sì che il design possa incidere sull’innovazione (di prodotto, di processo, di servizio) grazie alla sua capacità, ad esempio, di intervenire per
trasferimento tecnologico o di sperimentare ambiti insoliti per l’applicazione delle tecnologie emergenti. Design, innovazione e tecnologia hanno percorsi connessi.

Qual è il futuro del design?

È una domanda difficile alla quale si possono dare tante risposte. Di primo acchito mi verrebbe da rispondere: ah, saperlo! Mi spiego. Siamo sicuramente in un periodo che dovrà portare dei
cambiamenti e questo inciderà sicuramente sul modo d’intendere, progettare, produrre e usare i prodotti. Nel design della comunicazione una parte di questi cambiamenti si vedono già e
qualche riflessione appare anche nel design del prodotto. Potremmo parlare di maker, fixer, produzione diffusa, design democratico, ecc., ma sarebbe un discorso troppo lungo qui,
direi. Io spero che saremo in grado di cogliere la sfida (tanto difficile in un momento come questo, ma altrettanto stimolante) e che questa ci riporti verso quella dimensione anche etica della
quale parlavo, verso una maggiore attenzione al senso e alla responsabilità che avrà ogni artefatto che faremo nascere. Intendiamoci: non intendo parlare di frugalità, ma solo di grande attenzione
alla “qualità” (parola purtroppo e ingiustamente bistrattata) che ci rende ancora riconoscibili e attrattivi a livello internazionale in altri ambiti come, ad esempio, quello del cibo.

Quale obiettivo si è proposta nella direzione del corso di laurea?

Il mio obiettivo è quello di offrire un progetto formativo concreto, qualificato e convincente, sia per gli studenti che entrano nella nostra università con grandi aspettative, sia per le famiglie
che investono con sacrificio nel futuro dei loro figli, sia per il tessuto produttivo che accoglierà i nostri laureati e che si aspetta persone preparate e propositive.
È importante però che questo progetto non abbia un’impostazione statica, ma che sia disponibile ad accettare nuove istanze, nuovi obiettivi e che sia anche disponibile a trasformare il modo di
insegnare per tenere in considerazione i cambiamenti che rileviamo negli studenti (nel loro modo di affrontare lo studio e la ricerca), senza però abbassare la qualità, anzi, con quell’ottica
progettuale, quel “guardare avanti” che contraddistingue la nostra cultura.
Per questo, nel nostro corso di laurea, il rapporto tra studenti e docenti è fondamentale e i laboratori sono quindi un asse portante della formazione; inoltre la possibilità degli studenti di
confrontarsi il più possibile con il mondo professionale (tanto da fare anche un periodo di stage obbligatorio all’esterno dell’università) è per noi una ricchezza vitale.

Quanto incide il territorio trevigiano nella realtà dell’università. Come interpreta la collaborazione con le aziende e che percorso avete realizzato in questi anni?

La presenza del corso di laurea in Disegno industriale e multimedia proprio a Treviso credo che ben esprima l’importanza che questo territorio ha per noi, per l’Università Iuav di Venezia e per la
formazione dei nostri designer.
Il rapporto con le aziende e, in generale, con la realtà imprenditoriale del territorio è poi basilare sia nella formazione (per l’importante contributo da loro offerto oltre che per la
collaborazione agli stage dei quali ho accennato sopra), sia nella ricerca (ne sono un esempio le attività di ricerca-progetto che alcuni nostri docenti hanno svolto con successo in questi
anni), sia nella rete di relazioni tra i nostri neolaureati e le imprese, rete che cerchiamo di tenere viva e potenziare ogni anno.

Ne è un esempio il programma Impresa Docet, organizzato in collaborazione con ADI-Associazione per il disegno industriale: protagoniste importanti aziende – appartenenti al Dipartimento Imprese
ADI, a cui si deve la nascita dell’iniziativa – per raccontare agli studenti, agli imprenditori e ai partecipanti, oltre alla propria storia, i processi di innovazione e il contributo del design
alle complesse trasformazioni in corso su scala mondiale. L’edizione primaverile ha visto coinvolte storiche realtà italiane, da Guzzini a BTicino, mentre nei mesi autunnali è stata la volta delle
più affermate imprese dell’area Nordest nel campo del forniture, la cucina, l’illuminazione.

Non parliamo però solo di collaborazione con le imprese produttive abitualmente vicine al design.
Proprio per dimostrare il contributo che il design può offrire anche in ambiti apparentemente più lontani e per aprire ancora di più l’università al territorio, nel 2013 abbiamo incentrato
l’iniziativa Modesign-Made in Iuav sul tema del “Design dalla terra alla tavola”. Quattro laboratori di progetto, centoventi studenti, dieci tra docenti e assistenti hanno focalizzato le loro
energie per dare risposta ad un’unica domanda: come può il design contribuire a valorizzare i prodotti ortofrutticoli del territorio e aiutare gli operatori dell’intera filiera che porta i prodotti
della terra fino alle nostre tavole?
Lavorando a stretto contatto (oltre che con la Camera di Commercio e con Unindustria) con Coldiretti e con le aziende agricole, abbiamo elaborato una serie di progetti di comunicazione e di
prodotto che sono esemplificativi di quanto potremmo ancora fare.
La manifestazione del 2013, con le sue mostre, i talk, le conferenze e le altre attività ha coinvolto per quattro giorni – a quanto pare con notevole successo – la città di Treviso, i suoi
spazi culturali e i suoi negozi, il territorio, le sue istituzioni e i diversi livelli delle attività produttive.
Tra gli eventi del programma mi fa piacere citarne due che dimostrano proprio il rapporto tra università e tessuto produttivo di cui accennavo prima:
il percorso “Finestre di design” dove una decina di laureati, ora riconosciuti designer professionisti, hanno allestito altrettante vetrine di negozi di food e gastronomia della città con
i loro prodotti già andati in produzione, molto spesso per aziende del territorio, e la tavola rotonda “Percorsi Virtuosi” che ha raccolto otto nostri ex studenti che attualmente ricoprono ruoli di
responsabilità (art director, design director, responsabile R&D, ecc) in aziende venete e non solo.
Mi pare che l’evento sia stata una buona dimostrazione (attuabile anche per gli altri settori, sia per quelli più tradizionalmente legati al design sia per quelli meno frequentati) di quanto dicevo
all’inizio sulla qualità del design, sul senso, sulla responsabilità del progetto, sullo sguardo attento e curioso che porta ad immaginare un futuro migliore e a voler contribuire alla sua
realizzazione.

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