Fonte: ufficio stampa di Renato Chahinian
Dopo aver parlato del Recovery Plan nei precedenti due articoli del 18 Maggio e del 15 Giugno, riprendiamo la valutazione della situazione economica attuale, quasi al termine (così si spera) della
pandemia.
Come ormai è noto, i due andamenti sono pressoché paralleli, in quanto all’aggravarsi dell’epidemia da coronavirus, si accompagnano esigenze di distanziamento, di rallentamento dell’attività
produttiva e spesso pure di chiusure, le quali automaticamente peggiorano la situazione economica. Negli ultimi mesi, invece, l’evoluzione dei contagi è molto migliorata in virtù della
diffusione delle vaccinazioni e quindi pure le attività economiche si sono sviluppate notevolmente, anche se non pare abbiamo ancora raggiunto l’auspicata immunità di gregge, in quanto non
siamo in grado di essere sicuri che l’epidemia si stia definitivamente esaurendo.
La crescita economica oramai è confermata dalle statistiche e soprattutto il PIL ha recuperato buona parte della diminuzione dello scorso anno e gli esperti prevedono
un recupero totale ai livelli del 2019 (che era stato valutato chiaramente positivo) a partire dalla prima metà del prossimo anno. D’altro canto, le indagini congiunturali dimostrano che sono
cresciuti tutti i principali indicatori aziendali (dalla produzione, al fatturato, agli utili annuali in corso di formazione), mentre sono pure stati accertati incrementi
negli stessi investimenti delle imprese, i quali storicamente sono considerati carenti e che addirittura si erano quasi completamente bloccati con il sopraggiungere della pandemia. Quest’ultima
evidenza fa ben sperare per l’avvenire, visto che l’investimento in attività reali rappresenta la premessa per lo sviluppo, perché a questo seguono solitamente maggiore occupazione, nuovi redditi
ed ulteriori consumi.
Tuttavia, la naturale espansione dell’occupazione ha subito qualche rallentamento per il fatto che proprio le iniziative più innovative sono state frenate dalla difficoltà di reperire personale
competente ed addestrato per attuare i nuovi processi produttivi. Ciò non rappresenta affatto una carenza contingente dovuta ad una richiesta particolarmente numerosa e di livello eccezionale, ma
si tratta della cronica inadeguatezza del nostro Paese nel saper fornire al mondo produttivo professionalità in linea con le esigenze di un’economia notevolmente avanzata.
Come già più volte sottolineato in passato anche in vari articoli di Trevisobellunosystem, manca quasi totalmente una formazione che assecondi il passaggio dalle conoscenze scolastiche a quelle
oggi essenziali per il lavoro. Si spera ora che il Recovery Plan possa, almeno in parte, assecondare tale esigenza, altrimenti ci troveremo nell’assurda situazione che, anche quando ci sono le
condizioni favorevoli, non riusciremo a conseguire alcun grado di sviluppo per l’incapacità di realizzare concretamente ciò che ci permetterebbe di raggiungerlo.
Questo miglioramento del capitale umano, inoltre, è essenziale non soltanto per lo sviluppo economico, ma anche per quello sostenibile, che deve essenzialmente ricercare
nuove forme di produzione per soddisfare, a fianco dei bisogni economici, pure quelli sociali ed ambientali.
Ciò premesso, bisogna anche verificare se una simile situazione di ripresa possa in qualche modo superare tutte le difficoltà incontrate durante la pandemia (e pure quelle precedenti) e quindi
possa tramutarsi nello sviluppo duraturo che tutti auspichiamo.
Innanzi tutto si può notare che, in virtù dei provvedimenti di emergenza attuati dal Governo, non si sono manifestati i disastrosi effetti economici solitamente derivanti da una crisi pandemica.
Infatti i fallimenti dichiarati e gli stati di crisi aziendali di quest’ultimo periodo sono stati finora abbastanza contenuti. Ma ciò è pure da mettere in connessione con le azioni poste in essere,
quali
le
moratorie sui debiti, il
rinvio di molte scadenze di pagamento, le
provvidenze pubbliche ed i
prestiti garantiti dallo Stato.
Quando tutto ciò si esaurirà (verso la fine dell’anno), allora si potrà constatare definitivamente se il sistema ha tenuto o se una serie di inadempimenti e di insolvenze arrecherà pregiudizio alla
continuazione della ripresa.
A tale proposito, gli esperti, che inizialmente erano dubbiosi sulla sufficienza degli interventi, pare che ora siano abbastanza ottimisti nel valutare non disastrosi i prevedibili esiti dei rischi
di crisi d’impresa che inevitabilmente si potranno verificare. D’altro canto, se effettivamente si ha notizia di difficoltà di aziende, soprattutto nei settori più colpiti dalle restrizioni
sanitarie, le congiunture settoriali si dimostrano complessivamente positive e si distingue notevolmente il rilevante incremento dei depositi bancari appartenenti a famiglie ed imprese.
Ma all’orizzonte si va delineando un’altra nube. Proprio a seguito dell’attuale ripresa, che ovviamente si sta verificando in tutto il mondo, la fortissima richiesta di materie prime (energetiche e
non) ha provocato un balzo dei prezzi internazionali di intensità eccezionale e, se tale tendenza durerà, la stessa potrebbe coinvolgere il sistema dei prezzi di tutti i prodotti e servizi,
innescando un processo inflazionistico i cui esiti sono imprevedibili. Se ciò dovesse effettivamente avvenire, tutte le attuali spinte di ripresa si affievolirebbero
progressivamente fino a creare le condizioni per una riduzione dei consumi (soprattutto dei beni di prima necessità) e quindi per una nuova stagnazione.
Ma, anche in questa ipotesi, le Autorità monetarie sono cautamente ottimiste, in quanto ritengono che le spinte inflazionistiche siano temporanee e che in ogni caso una piccola manovra in aumento
dei tassi d’interesse possa scoraggiare ulteriori lievitazioni dei prezzi.
Un ultimo motivo di incertezza può derivare dalle difficoltà economiche e finanziarie che sta attraversando la Cina, la quale ormai rappresenta la produzione ed il mercato maggiori
al mondo. Sebbene sempre in crescita sostenuta, a seguito di una mutata politica economica che ha creato qualche scompenso nei consumi interni, in quel Paese si è pure formata una certa tensione
finanziaria che ha provocato varie situazioni di crisi. Particolarmente è risultata notevole quella di un colosso immobiliare, il quale è entrato in crisi a causa di un’offerta di mutui per
l’acquisto di abitazioni a tassi d’interessi molto elevati (per il connesso rischio di scarsa capacità di credito da parte degli stessi mutuatari).
E’ sempre lo stesso sistema nefasto di bolla speculativa (come avvenuto negli USA nel 2008): si offrono immobili a chi non può pagarli e, di converso, si remunerano i creditori a tassi superiori al
normale.
Questa volta non pare che le proporzioni della crisi siano in grado di innescare un default a livello mondiale come è successo in quell’anno, ma ancora rimane l’incognita della finanza
illegale che, attraverso negoziazioni offshore, potrebbe essere stata compromessa e quindi contagiare successivamente anche i mercati finanziari occidentali.