Economia - pubblicata il 02 Maggio 2023
Fonte: dott. Renato Chahinian
RIPRESA E RESILIENZA (MA NON ANCORA SOSTENIBILITA’)
di Renato Chahinian
L’Europa ed ancor più l’Italia dalla crisi finanziaria del 2008 hanno subito le maggiori difficoltà di almeno mezzo secolo per il verificarsi di innumerevoli avvenimenti negativi, dovuti per lo più a cause esterne ai nostri territori e trasmesseci per effetto della globalizzazione, mentre da quest’ultima abbiamo ottenuto ben poche opportunità, se non qualche importazione a basso costo ed una espansione (peraltro meritata) delle esportazioni. Tale situazione ha comportato una crescita insignificante dell’economia fino a circa due anni fa, intervallata da vari periodi di recessione e che non ha ancora consentito il completo raggiungimento dei livelli pre-crisi: il tutto accompagnato da innumerevoli difficoltà economiche, sociali ed ambientali.
Con il sopravvento degli ultimi tre shock (pandemia; rincari dell’energia e delle materie prime con conseguente inflazione e lievitazione dei tassi d’interesse; guerra in Ucraina) paradossalmente le cose stanno cambiando. Tutti (dalle classi politiche a quelle dirigenti, dai lavoratori ai cittadini in genere) hanno cominciato a cambiare atteggiamento, cioè a reagire alle avversità con spirito fattivo e collaborativo nella giusta direzione della resilienza, la quale prevede una duplice condotta: di reazione ai fattori avversi e di adattamento a quelli che non si riescono a controllare.
In questo modo, nonostante le avversità sopra indicate, siamo riusciti a:
Tutte le più fosche previsioni per un’Italia in preda ai disastri delle predette calamità, affermate dalle più autorevoli Istituzioni internazionali, sono state smentite drasticamente dalla nostra prima e diffusa resilienza della storia. Certamente tutte le difficoltà non sono finite e forse parte di alcune previsioni di crisi potranno comunque verificarsi in ritardo, ma questo è stato un segnale di volontà del sistema, non comune nel nostro Paese e che fa ben sperare per il futuro, perché certamente le incertezze e le disfunzioni della globalizzazione faranno ancora sentire i loro effetti anche da noi.
Quello che ancora non siamo riusciti a fare riguarda invece la transizione verso lo sviluppo sostenibile. Infatti non abbiamo conseguito significativi progressi in questo campo rispetto a prima della pandemia e l’Alleanza per lo sviluppo sostenibile (ASviS) ha valutato dei miglioramenti soltanto in due dei 17 obiettivi dell’Agenda 2030 dell’ONU. Eppure i rischi a medio – lungo termine di carattere sociale ed ambientale sono molti e saranno sempre maggiori in futuro, fino a diventare irreversibili.
A questo punto, occorrerebbe una resilienza ancora maggiore, perché è chiaro che bisogna reimpostare il nostro sistema economico, sociale ed ambientale su soluzioni più connesse e sinergiche tra loro. Ma per far ciò servono capitali e soprattutto un maggiore impegno lavorativo sotto l’aspetto qualitativo, ossia superiori competenze e determinazione nel perseguimento dei risultati desiderati (cioè è essenziale uno sviluppo del capitale umano).
In realtà, la resilienza operativa che ci ha contraddistinti in questi ultimi tempi ancora non basta per lo sviluppo sostenibile, perché occorre un disegno programmato e coordinato da parte di tutti e sono indispensabili delle chiare strategie a cura di ogni organizzazione. Se già esistono molte strutture virtuose in grado di perseguire una via tanto faticosa e lungimirante, ancora la maggioranza di queste non presenta sufficienti competenze e determinazione per compiere un passo così impegnativo, in un sistema che ancora incoraggia poco proprio i meritevoli o chi vuol diventare tale. Si tratta, in altri termini, di incentivare il sacrificio attuale per ottenere benefici molto maggiori in futuro e per evitare nuove calamità, che certamente si verificheranno se continuiamo nella direzione dello sviluppo tradizionale, come l’abbiamo concepito in passato.
Per fare un esempio eclatante, non si può fare a meno di perseguire prioritariamente in campo sociale l’obiettivo 8 (lavoro dignitoso e crescita economica), ma il carattere sociale ed economico in antitesi di questo obiettivo rende difficile il suo raggiungimento, in quanto l’effettivo risultato di garantire un lavoro dignitoso (per remunerazione e per condizioni operative) è molto costoso per le imprese e questo fatto va a detrimento della crescita economica (limitando così l’incremento del PIL). Infatti, spesso la crescita si attua a scapito del lavoro dignitoso, oppure questa si attenua in corrispondenza dell’espansione di un’occupazione dignitosa.
Anche recentemente si sono verificati fenomeni di questo tipo:
Eppure i rimedi ad una tale situazione di stallo e di circolo vizioso esistono e sono possibili, ma certamente richiedono un maggiore impegno da parte di tutti. Data la necessità di una chiara illustrazione dell’argomento, si rinvia questa trattazione ad un prossimo articolo.