A cura del dott. Renato Chahinian
Già nell’articolo precedente
La resilienza economica al Coronavirus
abbiamo parlato degli aspetti finanziari
delle imprese (soprattutto di minore dimensione) nel periodo della pandemia, ma è bene tornare nuovamente su tale argomento in quanto oramai risulta evidente che prima della fine dell’estate non
si verificherà la tanto auspicata “immunità di gregge” (mediante un numero sufficiente di vaccinati) e quindi soltanto dall’autunno la nostra economia potrà ripartire a pieno regime (salvo
ulteriori inconvenienti).
Occorre quindi che il sistema complessivo delle imprese regga per circa altri nove mesi, in cui la produzione dovrà necessariamente procedere a ritmo ridotto a causa dei contagi e delle
restrizioni sanitarie di vario tipo. Tralasciando ovviamente i settori che, al contrario, hanno beneficiato degli effetti della pandemia, la maggior parte delle attività ha risentito
negativamente di questa situazione ed alcuni comparti addirittura hanno subito perdite quasi irreparabili.
Si tratta allora di resistere in qualche modo in questi tre trimestri e, per riuscire in questo intento, oltre ad impegnarsi il più possibile nella ricerca di nuove occasioni di business (anche
in forme innovative), occorre resistere finanziariamente.
Sebbene le nostre PMI (ed ancor più le micro imprese) siano sottocapitalizzate e quindi facilmente soggette a crisi in presenza di effetti negativi anche temporanei, bisogna trovare una soluzione
di emergenza sino a quando il recupero della situazione normale possa riportare in equilibrio le posizioni finanziarie in crisi. A parte le situazioni già deteriorate in epoca pre-Covid, per le
quali, purtroppo, non sarà possibile rimediare ed anzi le moratorie in vigore durante la pandemia non faranno altro che aggravare ancor più la crisi, il problema essenziale è quello di mettere in
salvo tutte le imprese che prima riuscivano a sopravvivere ed ora non più, a causa di questo eccezionale evento.
In realtà, tutto (o buona parte) dipende da come valutiamo la crisi d’impresa e quindi come interveniamo di conseguenza. Purtroppo le interpretazioni prevalenti, comprese quelle ufficiali,
pongono l’accento sulla
crisi finanziaria e quindi si considera in difficoltà ogni impresa che per qualsiasi motivo non riesce ad onorare i suoi debiti entro un breve lasso di
tempo. Addirittura per le Autorità monetarie, proprio dal 1° gennaio, si valuta come
inadempiente un’impresa con un debito
bancario non pagato (anche di ammontare proporzionalmente basso) dopo 90 giorni (ma la pandemia dura ormai da quasi 360 giorni!) e quindi si impone alle banche (entro i successivi 90 giorni) di
tenerne conto nella valutazione delle esposizioni in essere. Questo fatto può diventare decisivo per precludere l’accesso ad ulteriori passività, che in questo periodo possono rendersi necessarie
se l’attività aziendale si trova già in difficoltà.
Se invece guardiamo alla crisi sotto l’aspetto economico, questa sorgerebbe nel momento in cui l’impresa non ha più capitale, ossia presenta un patrimonio netto uguale a zero (se
il patrimonio fosse poi negativo, non ci sarebbero dubbi sul fallimento). In una situazione di emergenza come l’attuale, è molto facile che la maggior parte delle imprese si trovi in crisi
finanziaria, ma sia ancora abbastanza solida per avere un patrimonio netto positivo, che ovviamente non è liquidabile perché serve all’attività aziendale, ma che darà i suoi frutti anche sotto
l’aspetto della liquidità quando la medesima attività potrà ripartire a regime.
A questo punto, diventa conveniente per la banca continuare a finanziare ugualmente l’impresa, pur in presenza di un debito temporaneamente non restituito, per attendere la sua solvibilità
successiva al termine della pandemia, anziché pretenderne il rimborso attuale facendo sorgere un’insolvenza finanziaria, causa di cessazione di ogni attività.
Purtroppo, una simile soluzione del problema è scarsamente condivisa dal sistema bancario, e pure dalle Autorità di vigilanza europea e nazionale, le quali temono una recrudescenza dei crediti
deteriorati proprio alla scadenza delle moratorie attualmente in corso, moratorie che comunque dovrebbero essere prorogate almeno fino alla ripresa completa di ogni attività economica (ossia
all’azzeramento dei contagi e di tutte le restrizioni sanitarie).
Nel frattempo, occorre un elevato grado di attenzione, da parte degli istituti di credito, a non far mancare i finanziamenti necessari per superare questo difficile momento, verificando, caso per
caso, la tenuta economica delle inevitabili perdite che si stanno accumulando nel corso di questi mesi. D’altro canto, per far fronte ai debiti non dilazionabili, le imprese possono ancora
richiedere un finanziamento con garanzia statale, pure questo prorogato e che dovrebbe rimanere accessibile sino alla fine della pandemia. Inoltre, gli eventuali aiuti a fondo perduto,
comunque insufficienti ed in ritardo, dovrebbero andare non soltanto alla remunerazione del lavoro mancato, ma anche alla capitalizzazione delle imprese più fragili. Aiuti finanziari sono pure
disponibili presso le Camere di commercio ed i consorzi di garanzia collettiva fidi, che cercano sempre di assecondare le esigenze delle PMI, anche quando il sistema creditizio non è altrettanto
sensibile.
Tutto ciò vale per la sopravvivenza del sistema produttivo in questo periodo di crisi eccezionale ed imprevedibile. Altro argomento, invece, è quello del finanziamento dei progetti per la
ripresa, cui si era accennato nell’articolo precedente e che potrà essere ripreso quando si conosceranno meglio i criteri e le modalità dei finanziamenti per la crescita.