LA FINANZA SOSTENIBILE di Renato Chahinian

Riprendiamo i concetti dello sviluppo sostenibile introdotti nel precedente articolo (v. Newsletter del 22/03/2019) per sviluppare l’argomento dal punto di vista delle imprese e degli investitori.


Economia - pubblicata il 18 Aprile 2019


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Nell’articolo Lo sviluppo sostenibile per il
benessere delle comunità
è stata sottolineata l’importanza dello sviluppo sostenibile, quale traiettoria di crescita che riguarda qualsiasi comunità e che coinvolge tutti tre gli aspetti
della situazione di ogni società (economico, sociale ed ambientale).
Tale obiettivo di fondo è raggiungibile soltanto con il comportamento individuale di noi tutti, ma assume una valenza particolare se attuato a livello di organizzazione (pubblica o privata,
profit o non profit), in quanto l’efficienza e l’efficacia delle azioni collettive orientate a questo fine aumenta e porta a risultati maggiori. Tralasciando la Pubblica
Amministrazione, cioè lo Stato e gli enti pubblici nazionali e locali, e pure gli organismi del terzo settore (il non profit), che per definizione dovrebbero avere fini non egoistici
(rivolti cioè al benessere dei terzi), il problema si fa più complesso quando ci si riferisce alle imprese che, secondo lo stesso ordinamento, perseguono fini di lucro. Anzi, sino a qualche tempo
fa, l’unico obiettivo fondamentale di queste era rappresentato dalla massimizzazione del profitto (ovviamente entro i vincoli di legge).
Ora, si va sempre più affermando l’esigenza della responsabilità sociale e ambientale anche per le imprese, in quanto la loro attività, strettamente economica, determina un impatto
notevole pure in campo sociale ed ambientale, per cui, alla presenza di un profitto (indispensabile per la remunerazione del capitale proprio aziendale), si può affiancare un’attività od
un fine non economico e comunque il conseguimento del profitto medesimo non deve danneggiare lo stato di benessere esistente e/o l’equilibrio ecologico della collettività.
L’impegno della responsabilità sociale comprende quindi:

una governance economica etica ed efficiente (orientata su risultati di sviluppo di lungo termine);

iniziative sociali interne (per i dipendenti) ed esterne (a vantaggio degli altri stakeholder);

iniziative interne per il miglioramento ecologico dei processi produttivi ed esterne (per l’eventuale finanziamento di opere ambientali, culturali, ecc.).

E’ chiaro che la ricerca ed il conseguimento di questi nuovi obiettivi, a fianco e ad integrazione dello scopo economico originario, creano non pochi problemi alla gestione d’impresa ed esigono
un’attività operativa molto più impegnativa e complessa di un tempo. Per questo, infatti, molte imprese rinunciano allo sviluppo e preferiscono ripiegare in un’attività molto ridotta e
circoscritta, che consenta un minimo di sopravvivenza economica, ma senza alcun impegno in altre direzioni. Tra l’altro, il conseguimento degli ulteriori obiettivi, a parità di altri fattori,
deprime inevitabilmente il risultato economico. Quindi, ad una diffusione vastissima dei principi di responsabilità sociale d’impresa nella società e nell’opinione pubblica, si contrappone
un’effettiva realizzazione molto più cauta e graduale.
Ciò non toglie che l’esigenza in argomento si diffonda progressivamente e che siano sempre più numerose le imprese che aderiscono convinte a questi nuovi principi, anche se esistono in pratica
pure molte dichiarazioni e comportamenti di facciata. In realtà, l’impegno maggiore conseguente ad una gestione sostenibile consente numerosi vantaggi.
Da un punto di vista generale, la consapevolezza delle tensioni sociali a livello nazionale e mondiale e degli effetti catastrofici dell’incipiente mutamento del clima, nonché le temute previsioni
sugli effetti dannosi dell’inquinamento e della carenza di risorse naturali inducono le organizzazioni più avvedute a controllare il proprio operato ed a non danneggiare ulteriormente una
situazione globale già abbondantemente deteriorata. Ma si vanno prospettando concretamente vantaggi considerevoli anche individuali per le imprese che adottano queste nuove tendenze. Infatti:

il perseguimento di fini sociali e/o ambientali crea attorno all’impresa sensibili riconoscimenti reputazionali presso gli stakeholder e presso l’opinione pubblica in generale e detti
riconoscimenti si ripercuotono favorevolmente in una maggiore disponibilità dei mercati di sbocco verso i propri prodotti e servizi (che possono ripagare anche totalmente o in esuberanza i maggiori
costi derivanti dagli accresciuti impegni);

per entrare in alcuni mercati occorrono requisiti indispensabili di qualità che presuppongono vari accorgimenti produttivi di natura sociale ed ecologica;

spesso la realizzazione di iniziative ed investimenti con contenuti etici o ambientali prevede l’accesso ad agevolazioni finanziarie pubbliche e tributarie;

il riconoscimento di merito, da parte di autorità e di organizzazioni qualificate, consente una notorietà che si riverbera anche su relazioni commerciali ed istituzionali più ampie e su una
maggiore disponibilità dei potenziali investitori.

Proprio quest’ultima considerazione apre la strategia verso nuovi orizzonti.
E’ noto l’attuale scollamento tra risparmio ed investimento nell’economia reale, per cui una quota rilevante dei risparmi delle famiglie finisce per finanziare investimenti improduttivi o
speculazioni a livello internazionale, con elevati rischi per la stessa incolumità dei capitali impiegati (sono sempre più frequenti le crisi dei mercati borsistici che provocano in breve tempo
effettive perdite ai risparmi accumulati dopo molti anni di ingenti sacrifici). Lo stesso sistema finanziario internazionale è basato prevalentemente su strategie di mercato orientate al profitto
immediato, mentre si verificano spesso diffusi comportamenti irrazionali che danneggiano l’equilibrio di tutto il sistema economico.
In un simile quadro di riferimento instabile ed estremamente volatile, si è ormai fatta strada da qualche tempo la finanza sostenibile.
Si tratta del finanziamento di investimenti che abbiano almeno un altro obiettivo apprezzabile oltre a quello economico. Pertanto, il potenziale investitore, sia con capitale di credito che con
capitale di rischio, richiede comunque una remunerazione per il suo impiego finanziario, ma è disposto ad accontentarsi di un reddito inferiore, purchè lo stesso investimento sia destinato, in
tutto od in parte, ad iniziative di carattere sociale e/o ambientale (o comunque con effetti derivati positivi in questi due settori). In questo modo, si diffonde sempre più la preferenza dei
risparmiatori verso la rinuncia al massimo rendimento, in favore di un maggiore valore etico e sostenibile, che, alla lunga, potrà dare dei migliori risultati anche economici. Anzi, alcuni recenti
studi sull’argomento hanno dimostrato che la finanza sostenibile:

è meno soggetta alla volatilità dei mercati finanziari;

consente spesso il conseguimento di un reddito superiore a quello di attività con obiettivi esclusivamente economici;

gode del favore delle autorità internazionali competenti;

si sta sviluppando sempre più tra gli investitori istituzionali (banche, assicurazioni, fondi comuni di investimento, fondi pensioni, private equity), per cui diventa sempre più ampia
la possibilità di finanziare attività di sviluppo sostenibile.

Di tale opportunità dovrebbero tener conto anche le PMI, almeno quelle che già sono indirizzate verso la responsabilità sociale. Se attualmente sono note le difficoltà finanziarie delle imprese
minori, soprattutto per trovare nuovo capitale che finanzi proprio gli investimenti di sviluppo,
la sostenibilità delle iniziative in programma può essere quella che fa la differenza decisiva, cioè quella che consente un accesso privilegiato a canali di finanziamento prima preclusi.
Senza entrare in dettagli particolari e con riserva di approfondire l’argomento in seguito, basti pensare che:

alcuni istituti di credito già hanno previsto finanziamenti dedicati alla finanza sostenibile;

molti degli altri investitori istituzionali a livello internazionale da tempo finanziano progetti di sviluppo sostenibile;

sul mercato sono già presenti canali di finanziamento non bancario per progetti innovativi di PMI, quali il crowdfunding ed i minibond.

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